“Epistassi” di Stefano Cucinotta****

“Epistassi” di Stefano Cucinotta****

Epistassi è un libro di racconti horror ambientati a Milano ed è fighissimo, compratelo leggetelo e non rompete i coioni.

Mi sarebbe piaciuto cominciare così a mettere via il libro, uno dei pochi che ho letto in poco tempo in questo ultimo anno o due, ma no, in verità non volevo nemmeno parlarvene e io non sono convinto di riuscirci prima che arrivi il momento degli scrutini. Sono le 16.34 sto bevendo une Eku e forse non è indicata, e speriamo che non mi chiedano conto di qulacosa, nello scrutinio, ché il bello del farli on line è che puoi berti la birra mentre, ma il brutto è che potrebbero accorgersene e già la dirigente pensa che sia uno non tanto a posto ed è meglio non avvalorare le sue credenze. Insomma. Dicevo, vediamo se riesco a parlarvi di questo libro.

Perché l’ho comprato? E’ colpa di Silente, che mi ha detto che è bello, ma a lu lo aveva detto Gigi, ed è colpa di Gigi, che tra l’altro adesso io sto leggendo lui, lui Gigi, intendo, ma in realtà è colpa di mia madre. Sì, perché un paio di settimana fa è riuscita a rompere il telefono, uno di quelli per vecchi, con lo sportellino perché non schiacci cose accazz chiamando il 112 ogni 3×2 (che fa sei e non 112) e niente lei è riuscita a romperlo anche da chiuso. Come? Ho intuito, ma non lo so veramente. Era nella tasca, dice, e una donna di settanta e passa anni quasi inferma comecazzofa a rompere i cristalli liquidi stando ferma? Fa. Insomma, dovevo comprare stocats di telefono per vecchi e costava – come al solito, bioparco – 10cent meno dell’evitare le spese di spedizione e allor mi son detto. compro un libro, un libro accazz. ho aperto i social e mi è caduto l’occhio su Silente che parlava di questo e tre nanosecondi dopo l’ho comprato. E cazzo se ho fatto bene!

Oh, intendiamoci, io di gigi mi fido. Scriviamo molto uguale, e leggiamo forse allo stesso modo. Ci piacciono nello stesso modo le barche abbandonate sui laghetti fatiscenti e quindi anche gli stessi racconti horror. Ma la verità è che questi racconti horro hanno la luccicanza. Stefano Cucinotta ha una cosa che apprezzo, in cui cerco sempre di diventare bravo e quindi invidio subito chi bravo lo è già. Sentire il sentire delle persone che non è tuo. Descrivere le emozioni. Di un vecchio, di una donna, di un divorziato, di un orfano, di un coione, di un qualcosa, o qualcuno, che non sei tu. Lo fa molto bene e questo ti prende per mano e ti porta dentro le storie.

Oh, intendiamoci, non tutte sono WOOOO, ma molte sono WOOOO e le altre sono OKAY, CI STA! e nessuna, dico nessuna, è MEHH, o ancora peggio BAH. E credetemi, anche se ce ne fossero state, quelle WOOOO comunque vi avrebbero ripagato dalla lettura delle altre,

Dicevo, Cucinotta ambienta a Milano, e Milano, ma più che altro il nord industriale e i suoi provinciali dintorni, sono un personaggio valido dei racconti. E le idee, a volte nuovo, a volte no, ma sempre ben gestite, risultano spiazzanti, o disturbanti, o anche solo soddisfacenti. Ma ci sono le idee narrative, dietro le storie, e diciamo che un costruttore di racconti, o storie, questa architettura l’apprezza.

C’è un ricorso alla classicità delle strutture narrative che non preoccupa. Non ti dà fastidio il racconto fatto in lunghe analessi. Sai che ci sarà modo ri raccapricciarsi, lo capite dai primi 2-3 racconti.  Comunque, aspettate che alzo il volume a Bonobo (che delusione ‘sto disco nuovo però) mi prendo la crema al pistacchio e vi racconto dei racconti, o almeno di qualcuno.

Eccomi.

Il primo è un pezzone da novanta. Forse il migliore. Indubbiamente quello che ti resta addosso per più tempo. Si racconta l’amore, la mancanza. Ma un amore impreciso, quello nostro di uomini sghembi, traditori, superficiali. Lo si fa con un cliché, si parte da lì, ma poi la storia diventa qualcosa di estremamente dark e quasi splatter (immaginato) e sapete chi mi ha ricordato? Samuel. Sì, Marolla. Io sono sicuro che Malarazza e altre cose, Stefano lo deve aver letto (e metabolizzato, credo). Se no lo ha fatto dovrebbe farlo. Deve. Se mi avessero dato questo racconto da leggere, e mi avesso chiesto di chi può essere, io avrei detto Marolla. Ancora di più Alba sul fiume, che raccoglie le suggestioni odorose di Sirene, il racconto che era in Archetipi, e di Il Palazzo d’autunno, che ne raccoglie da una altro pezzone che forse, non so, era in Malarazza o quell’altra raccolta che non ricordo. Anyway, questo stile simile, questa capacità di rendere empatici i personaggi, di entrare nelle segrete del nostro inconscio, è davvero apprezzabile e quindi, direi, non mi sembra male dirvi: “Se vi piacciono i racconti horror e disturbanti ambientati in Italia, comprate questo libro e non rompete i coglioni”.

A tra l’altro ho scoperto che il mio telefono, che ha la funzione degli asterischi per le parolacce, tipo che gli detti t****, c***, f*** e lui scrive appunto t**** c*** f***, con la parola coglioni non asterisca. Boh… Fatto sta che mi tocca dettare tutte le parolacce sostituendo coglioni alle altre, perché non me le asterizzi. Tipo che ne so, Sei un figlio di coglioni, o robe così. Ma sto divagando. Torniamo ai racconti.

Sono 12 per 200 pagine circa. Buona edizione, semplice e ben curata. Cucinotta mi sembra uno che se li edita da solo, si vede. Il primo, La fessura nel muro, è il migliore, se come tutti i curatori di AAVV ben sanno, è in quella posizione proprio per. Poi c’è Invito a pranzo, una storia di horror puro, meno valida proprio perché più fantascientifica. C’è sempre il solito dubbio che ti rode. Se sparisce qualcuno, al giorno d’oggi, la rete di relazioni che abbiamo porta a una tale selva di reazioni, non ultimo quelle mediatiche, che la cosa non passa inosservata. Quindi, quando si fa sparire qualcuno, soprattutto un conoscente, le reazioni che io da lettore ho sono 2) Impossibile che succeda, quindi non ti credo 2) okay, ti credo, ma allora è la prima volta che capita, poi non capiterà più. Comunque è un buon pezzo, eh, con il giuisto raccapriccio nelle pagine finali. Poi c’è Alfredino Rampi. O meglio, una rilettura di une delle decine di storie horror di bambini caduti nel pozzo. Evidenti riferimenti agli aspetti sociali del caso Rampi (e anche di più a quelli mediatici) ma poi la svolta c’è e e se fino a metà stavo pensando che fosso un po’ troppo lungo e derivativo poi il racconto ha preso la giusta direzione. Bel pezzo!

E poi… quei due che vi ho segnalato, ottimi. Poi insomma… non vado spesso a Milano, ma c’è una piacevole immersione nel Naviglio o nelle periferie meneghine, senza indugiare in descrizioni sofisticate e con una immediatezza che secondo me è il pregio maggiore di tutti i racconti, o meglio, dello stile generale. Quanto basta per la storia che ti devo raccontare, potrebbe essere il livello di dettaglio narrativo. Qualche sbavatura c’è, intendiamoci, tipo La porta, che forse si poteva anche lasciar fuori.

PAUSA SCRUTINIO

E niente… non ci sono riuscito a finire prima. E poi scrutinio, cena, sanremo, sonno, e siamo già oggi, stamattina. Ma vi avevo detto quasi tutto. Dei racconti, Il secondo figlio, gran titolo rispetto allo sviluppo della storia, a a mettersi su un tema classico ma lo fa bene, e Notturno con cinghiali, anche qua, molto buono, da godersi soprattutto perché si è riuscito a rendere credibile una classica prima persona fatta di soprannaturalità ma celata di mistero. Anche qua, il tema della condanna all’immortalità è trattato bene (ricorda molto i sopramorti, okay, ammettiamolo) e idem anche il racconto successivo, l’ombra dei morti, che ricorda moltissimo una puntata di love death and robots, ma il racconto regge, e quindi okay. Insomma… se vi sono piaciute le cose che ho citato, di nuovo, la lettura di questi pezzi fa per voi.

Vabbè, ragazzi. Basta. Devo decidermi a fare colazione, e poi un sacco d’altre cose.

E adesso leggerò Uironda, ma ci metterò un po’ di più.

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