“Sotto il sole ai Campi Elisi” di Sandro Veronesi**

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“Sotto il sole ai Campi Elisi” di Sandro Veronesi**

Scrivo qui, con brevità, ma voi non leggerete.
Si sta sistemando il blog, qua, e quindi ora sono come se fossi in una realtà virtuale, che magari potreste anche trovare, affidandovi alla casualità delle zampe fetenti di Google, ma non siete allora dei lettori abituali di blog, ammesso che io ne abbia.
Dicevo, liquido questo Corto di carta, che ho scovato l’altra settimana in una fortunatissima pesca al banco lib(e)ro che oltre a questo mi ha fruttato anche quattro libri di racconti italiani, uno per le scuole, che boh, forse fanno cagare (in uno c’è addirittura un racconto di Costanzo) ma magari scopro qualcosa di bello. Uno dei quattro lo sto leggendo adesso (ma per ora, dopo due racconti mediocri e uno sempre uguale di Benni, ha avuto l’unico effetto di farmi venir voglia delle Cosmicomiche di Calvino), al posto di Svevo e dopo aver letto la Kristof, ma in mezzo, per il puro gusto di mettere un libro nella libreria, mi sono letto questo corto.
Si sta poco, a leggere questa collana del Corriere della sera, e vi dirò, mi stanno facendo sempre più una pessima impressione.
Vuoi per il times new roman punto 15 o 16 e l’interlinea con dentro le galassie, che fanno lievitare a 60 e passa pagine un raccontino che starebbe in 15; vuoi per il fatto che quel “edizione speciale per il corriere della sera” fa pensare quasi a un “scritto a forza e col culo raschiando il fondo del cassetto proprio perché non mi rompano più il cazz con la edizione speciale per il corriere della sera”. E poi pure pagano. Insomma… ho trovato questo racconto piuttosto mediocre e soprattutto senza nulla da dire.
Una prima persona, uno scrittore, l’autore, a quel che si dà da intendere, ma non allarghiamoci troppo con le interpretazioni, comunque, lui che ci racconta di sé mentre è a Parigi, in compagnia di un altro scrittore, molto più giovane, e dedito allo spleen, all’alcool e all’autodistruzione molto più di lui, il nostro protagonista, che oramai ha imboccato la via dei più, ovvero moglie figlio e noia.
Ebbene, i due vanno a trovare un terzo scrittore, una da venti trentamila copie a botta, mica ciufoli, che è pure ricco, riccherrimo, e che è annoiato dalla vita, e che insomma… è qualcos’altro.
Dove ricercare il fuoco? In quello apparente sputato in bugie ellissi e vanaglorie dal riccastro fighetto o nella timidezza stranita del giovinotto che pare vivere come un universitario fuori sede? Scommetto che la risposta la saprete già ma il difetto di fondo di questo breve racconto è che della domanda posta non me ne fregava un cazzo, e leggendo, mi continuavo a chiedere, okay, ma dov’è? dov’è?
E intendevo, il nucleo narrativo, che se c’è, io non l’ho visto, e se invece mi si vuoi dire che è uno scritto sul senso della vita e delle cose della vita, beh, siamo tutti pronti per il suicidio.
A parte questo, non ho molta idea di chi sia Veronesi, e a parte sapere che ha vinto questo e quello che Caos Calmo è quello da cui è tratto forse credo un film, diciamo che mi sono fatto un’idea di un qualcosa che non fa per me, se è così. Quindi boh… Magari un domani, nelle prossime vite, lo leggerò, il Veronesi (detta così pare un pittore), ma per adesso non mi ha fatto venire voglia. Poi, ‘sta cosa del fare protagonisti dei propri racconti degli scrittori è così puerile e fuori dal tempo che la digerisco ogni volta assai male. Ma dico io, anche se fosse vero, anche se veramente questo riccone sopra le righe è uno scrittore da ventitrentamila copie a libro, per forza devo ficcarcelo in un racconto? Parigi, alla fine, che dal titolo dovrebbe essere un personaggio della storia, non lo è, e la città appare e scompare una riga ogni tanto, senza incidere.
Si può leggere, per carità, ma ti resta ben poco, tra le mani. Già appena finita l’ultima riga mi rendo conto che alcune cose mi sono sfuggite. Ho l’immagine finale, simbolica, di un uomo in mezzo a una strada perché ha tentato di attraversare con il rosso mentre l’altro aspetta il verde e alla fine il primo guadagna trenta secondi di vita che sputtanerà ad aspettare il secondo mentre attraversa, ecco, questa immagine è la sola che salvo. Ma più perché mi fa capire che sono diventato uno che non passa né col rosso, né col verde, ma tante volte si perde, lì, al semaforo, a pensare alle proprie cose, e se ne va anche il verde, e poi alla fine, guardo, e passo quando non c’è nessuno, senza sapere nemmeno il semaforo, di che colore sia. La vita è così, in fin dei conti. Almeno la mia.

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