“Maus” di Art Spiegelman*****

“Maus” di Art Spiegelman*****

Okay. Ce la posso fare. A rimettere il naso su questo sito, aggiornarlo, fare delle cose lasciate indietro. Raccontarvi di piccole meraviglie.

Ho fatto delle vacanze, ho fatto delle cose, ho mangiato e bevuto parecchio, e ho eliminato i viventi da un paio di settimane. Quest’ultima cosa è stata abbastanza facile: sono quasi tutti stupidi ed è sufficiente togliere loro abitudine e semplicità di contatto. Spariscono al 95% circa.

Tuttavia, ho anche letto.

Tre cose complete, di cui, addirittura, due libri. Due libri che mi avevano regalato. E che ho addirittura già rivenduto, e anche questo fa parte della policy di eliminazione degli intorni. Dà molta soddisfazione. In matematica non si può fare, ma con la vita sì, e rende leggeri. How to disappear completely, del resto, è una delle canzoni più belle del mondo e adesso la metto nella playlist delle canzoni più belle del mondo.

La terza cosa che ho letto, ma l’avete già visto, è questo graphic novel, questa pietra miliare, diciamo pure, e non lo dico io. Lo trovate citato in quasi tutte le liste di graphic novel rilevanti e anche di quelli più belli e imprescindibili. Lo è. E il fatto che nel ’92 abbia vinto il Pulitzer ne è una conseguenza, non una causa. Tra l’altro, il libro è qui con me, e si sta spaginando. Un lavoro così non lo venderei mai, e se me lo rubassero, o Luca, a cui lo sto per prestare, non me lo restituisse, me lo ricomprerei. Per farvi un esempio, vi posso dire che è di quei libri che sono un bagaglio minimo ineliminabile per chi si occupa di una certa arte. Per me, per dirne uno, che mi occupavo di scrittura, non sarebbe comprensibile restare senza le Lezioni americane di Calvino, o senza i sessanta racconti di Buzzati… insomma, ci siamo capiti: “Maus” non è solo “un fumetto”.

E vi dico anche che adesso, come è mio buona abitudine, stacco già. Sta per piovere, e voglio fare un giro in bici, magari con la pioggia chissà. E sto ascoltando Mark Kozelek, che ho preso pure i biglietti del concerto. E mi ha fatto venire voglia di. Quindi a dopo, per fare due chiacchiere su questo capolavoro.

E rieccomi.

Sono le 22.10, e sto ascoltando un CD, nel senso di supporto fisico CD proprio. Ogni tanto lo faccio. Ne ho conservati un centinaio, forse più. Li scelgo perché si adattino. E sto ascoltando i Marlene Kuntz, Ho ucciso paranoia. E credo che a modo suo, questo disco, sia un angolo, un qualcosa che divide in un prima e un dopo, in un certo modo di fare rock in italiano. Maus” fa lo stesso. Lo fa nel fumetto, come media, e nel modo di raccontare l’Olocausto, come contenuto. C’è un prima e un dopo. Non potete dire di essere edotti del modo di affrontare questo argomento così artisticamente inflazionato se non avete letto questo Graphic.

E infatti, non so bene da dove partire, per raccontarvelo. Hanno scritto e continuano a scrivere tantissimo, sull’opera di Spiegelman. Non credo di potervi dire cose nuove o darvi angoli di visuali differenti. Ma faccio una cosa, che non faccio spesso. Non leggo nulla. Vi dico cosa viene in mente a me, a distanza di un mese dall’aver letto questo capolavoro.

Se volete andiamo per punti. Come dite? No? Basta liste? Okay… ma siccome il sito è mio faccio il cats che voglio io e quindi… andiamo per punti.

  • Parto da Primo Levi. Ogni volta che sento consigliare “Se questo è un uomo” a scuola, o lo sento spiegare, o sento qualcuno che te lo racconta, mi girano i coyote. Penso sempre che non hanno capito un cats. E non perché mi ritenga più abile a capire eh. No. Dico questo perché lo ha detto Primo Levi, nell’introduzione al libro. Io non voglio raccontare l’Olocausto, ha detto, più o meno. E se la leggi con attenzione, la sua intro, lo capisci che lui vuole raccontare il più grande esperimento sociale che sia stato messo in atto dagli esseri umani sugli esseri umani (okay, da un paio d’anni a questa parte, diciamo che in Palestina ce la stanno mettendo tutta a riprendersi questo primato teutonico). Levi lo dice, che il suo è più un libro di sociologia, che di testimonianza storicca. Eppure tutti a dire che racconta l’Olocausto e Auschwitz e… basta. No! Cazzo no. Lui racconta molto altro. Moltissimo altro. Ecco… con Maus succede la stessa cosa. Spiegelman autobiograficamente intervista suo padre, sopravvissuto al lager polacco, e ci racconto la biografia del padre, attraverso i suoi frammentari ricordi. Ma lo fa dal presente, ci racconta dell’ombra lunga del nazismo, ci racconta di se stesso, di come viva con un senso di colpa perenne. Ci racconta del rapporto padre e figlio, quando il padre è un reduce. Ci racconta il presente. E ci racconto, attenzione, di come il fumetto sia media all’altezza di tutti i grandi media storici, dal cinema alla letteratura, dall’arte visiva al teatro. Il fumetto è solo più giovane. Insomma… la prima cosa è questa: non travisate, non confondete, non limitatevi al contenuto di Maus senza spingervi sulle sue innovazione nel media.
  • Legata alla precendente, ‘sta cosa. Mi fa ridere che definiscano, qua e là, quest’opera come un “romanzo a fumetti“. Cioè… serve riferirsi a un’altra tipologia di arte, quella letteraria, per definire questa arte, fatta di disegni e testo sequenzialmente abbinati per creare una storia, senza limiti di stile, genere, emotività, profondità. Spiegelman ci regala un capolavoro perché aveva dei vantaggi competitivi chiari, cioè suo padre, ma non è tutto qua. Lui crea, inventa, innova, stravolge. Guardate qualche tavola, va:
  • Ecco. I poveri ebrei sono topi. I tedesci gatti, eccetera. ma non limitatevi alla trasposizione animale, anche se è davvero un colpo di genio maleficissimo. Guardate, se volete, il segno, il modo come con pochissimo dia emotività ed espressioni a tutti i personaggi in ogni tavola. Io lo trovo bravissimo, Artie Spiegelman. Tipo ecco, vi metto un tavola a caso, sempre coi topi…

Visto che roba? Due puntini sono spesso sufficienti per tutte le emozioni. E questo è solo nei topi, cioè negli ebrei, mentre per gli altri animali (non solo i gatti-nazi) come le rane francesi, i maiali polacchi, i cani americani, ecc lui ci lascia più segni, più complessità.

  • E andando avanti con le riflessioni sul media, piuttosto che su contenuto, ci sono trovate e inserimenti che sono perfetti, e magari non saranno un’innovazione dirompente, ma sono comunque un qualcosa di nuovo  che si inserisce in un progetto innovativo e primo nel suo genere, almeno con questo livello qualitativo.

Tipo qui, guardate l’inserimento di una foto realistica…

  1. Poi cosa vi devo dire? Almeno altre mille cose, ma cercherò di limitarmi. Tipo vi dico che c’è un intreccio perfetto tra presente e passato, scandito dal mondo di parlare di Vladek, il padre di Art, intervistato per tutta la durata del racconto. Vladek è un personaggio geniale, complesso, che riesci a non sopportare, a tratti, ma che un attimo dopo ti gonfia il cuore di tenerezza.  Non dubiti nemmeno per un secondo che Vladek non sia credibile. Ogni suo gesto, comportamento, sclero… sono perfettamente compatibili con la realtà di un reduce che non si scopre leggendo.
  2. l’occhio che vi offre sui fatti storici è molto poco “scolastico” e molto vero. Qui non parliamo di popoli, qui parliamo di famiglie. Qui non diciamo che molti si nascondevano o venivano traditi o morivano in questo o quel modo. Qui abbiamo un nascondiglio e ce lo descrivono talmente bene che ci viene voglia di replicarlo, in questo controverso ventennio. Qui parliamo di una famiglia. E di una famiglia ricca, che se la passa comunque meglio di altri. Insomma… è un approccio micro, quello di Spiegelman. E le parole del padre non vengono mai messe in dubbio. Del resto… come si potrebbe?
  3. E poi c’è questo spaccato di autobiografia che è sincera da tirarti dentro la paranoia, e non quella dei Marlene. Come puoi vivere sapendo quello che ha fatto e passato tuo padre (e tu madre suicida post conflitto). O più che altro, come puoi dare valore alla tua vita? Il senso di colpa. Ecco. Traspare da ogni pagina in cui Artie vive nel presente, con sua moglie ebrea convertita, in modo normalissimo. Insomma, non è una questione di colpa che ricade sui figli, ma di sopruso, prevaricazione, cattiveria, sofferenza… non è facile essere il figlio di un sopravvissuto.

  • E poi, c’è anche la cosa dell’Olocausto, certo. Ti rendi conto di come stavano le cose e del perché molti non sono fuggiti, non sono riusciti a capire quello che stava succedendo o non ci hanno creduto. La testimonianza di Vladek e il suo comportamento paranoico e folle hanno valore indipendentemente dalla storia recuperata. Vladek è comunque un protagonista controverso, per chi legge il lavoro. Non è un super eroe, ma a modo suo è qualcosa di unico, degno di ammirazione o, a tratti, fastidio. Insomma… è un lavoro apprezzabile anche come gestione dell”eroe, che non si capisce bene chi sia, tolto Vladek.

Bene. Ora è mattina. Ieri mi sono addormentato. Ma avevo finito.

Cioè… no. Non puoi aver finito, con un lavoro simile. Ma insomma… non è che ci posso passare la vita. Giusto un po’ per le cose tecniche. E le cose tecniche sono questo.

Questa graphic dell’Einaudi è uscita nel duemila e oltre, e raccoglie due graphic. I capitoli sono usciti a puntate non ricordo dove. Ed è un fatto di quanto non sia stata presa in considerazione – nonostante il Pulitzer –  dall’editoria. Tra l’altro, è un insieme di due libri, ed è stata scritta da Spiegelman in parecchi anni, con visite a suo padre mentre il padre invecchiava (e peggiorava). Questo lungo tempo di scrittura, secondo me, si sente. C’è sia una evoluzione (di segno e di testo) e sia uno staccamento, tra le prime strisce e le ultime. Abbastanza normale, direi. Poi, se dovete comprarlo, sono 21euro per 281 pagine. Per tutto quello che c’è dentro è un ottimo, ottimo prezzo. Poi… è pieno i idee e invenzioni fumettistiche, che vanno ben al di là del contenuto. Anche qui torno a Primo Levi. Nel senso che Levi è uno scrittore magnifico (i racconti, diocristo, i racconti!) tra i più abili italiani di sempre, e un dio del Novecento letterario. Ma non riesce ad avere questa fama e riconoscimento perché lo si continua a incasellare nello slot “Olocausto” e tutto quello che è fuori (persino La tregua, che è tanto quanto il precedente, finisce fuori). Ecco, idem per Art Spiegelman, che è un fumettista galattico. Per dire solo una cosa, dentro il fumetto c’è un fumetto, che lui aveva disegnato, ed è diverso, per segno e stile, ed è una gran trovata. (Prigioniero sul pianeta Inferno) si chiama. Vediamo se trovo una striscia che ve la metto qua…

Poi, vi posso dire che è un libro che dovrebbe stare in tutte le biblioteche scolastiche. Tutte! Poi… ah, poi vi posso dire anche che ci sono trovate linquistighe (che no so, Mauschvitz…) e grafiche (che ne so, vignette con le strade che formano una svastica) da inchino.

E poi basta, cats. Leggetevelo da voi stessi, che vi fa bene, soprattutto di questi tempi in cui tutto succede di nuovo.

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