"Scala C" di Piero Colaprico**

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"Scala C" di Piero Colaprico**

Non mi è piaciuto tanto, tocca dirlo.
In media, a parte il primo di Camilleri che era davvero superbo, gli altri Corti di Carta che ho recuperato (compreso questo, che ho beccato per chiulo, qualche giorno fa) non mi hanno entusiasmato.
Non conosco Colaprico, non si può legger tutto, e ammetto che sto lasciando perdere un po’ quella scena italiana di gialli noir anche se so che tra i Lucarelli, i Baldini, i Colaprico, ecc si nascondono senz’altro belle cose. 
E’ vero, certo, che questi raccontini non hanno la pretesa di essere capolavori, e questa resta comunque una storia onorevole, nel senso che mica non la leggi. Anzi. (Ma non ti resta).
Solo che, credo, l’aver indovinato il colpevole vero alla sua prima comparsa in scena, non mi ha fatto bene… e devo dire, ho sospettato fortemente che questo fosse un racconto cavato da qualche cassetto, rimesso a nuovo, che ma sconta ancora l’ingenuità di chi, per non fare capire che tizio è il colpevole sta talmente attento che lo si capisce subito. 
Anche perché, di questa storia milanese che in realtà, vuole mettere in luce soprattutto il degrado di una palazzina milanese con decine di abusivi, i drogati della scala C, e dei gestori degli abusi, che trattano la cosa come se fosse normalissimo.
Pallina, il morto e protagonista involontario dell’indagine, massacrato a coltellate in una cabina telefonica mentre cerca di chiamare il maresciallo che ci racconta la storia, diventa anche lui specchio di come la vita ti può andar male e finire a essere un borderline di punto in bianco.
Non ho trovato granché, questo personaggio, e pure tutti gli altri erano piuttosto ligi a stereotipi già visti e sentiti. Una lancia solo per il carabiniere straniero e irritante, nonché lecchino.
La storia, narrata dal maresciallo, ambientata nel 1979, mentre adesso siamo trentanni dopo, è messa in una cornice londinese, nel senso che il vecchio carabiniere non la racconta a noi, ma al nipotino, che è figura davvero poco credibile, visto che si interessa del destino degli uomini facendo domande degne di un sofista greco. Non l’ho trovata determinante, la cornice londinese: la stora stava benissimo in piedi senza, e il figlio del carabiniere, il non saper usare un tablet del nonno, e l’insegnargli del tecnologico e informatico nipotino, sanno ancora di già visto e sentito. 
Quindi okay, resta una storia giallo-noir che si può leggere, ma non l’ho trovata granché. 
Rimandata. E rimandato Colaprico che giudicherò da altre opere. 
E direi che è tutto. Oggi non mi va di dilungarmi. Ho lavorato fino ad ora e nel giorno e mezzo di non lavoro devo fare millanta cose, compreso comprare un regalo alla vecchia, medicine alla malata, fare una corsa e disegnare e insomma, anche un sacco d’altro lavoro e robe così.
Ma prima di mettere via il libercolo assieme agli altri vi lascio un po’ delle prime righe, tanto per.

Sulla poltrona di vimini, nella casa londinese del figlio Umberto, nella zona di Bloomsbury, l’ex maresciallo Pietro Binda staccò gli occhi dal computer.   .
«Nonno, che cos’è il destino?» Quel suo nipotino, el Palmer, com’el ciamaveni, era un portento. Una volta, a sette .nini, gli aveva chiesto: «Nonno, cos’è davvero importante? Avere una bella vita o essere ricordato in un modo speciale?», lui aveva risposto qualcosa a proposito della conoscenza di se stessi e del tentare di fare le cose che ci rendono felici: «O, se non felici, tranquilli».
«Senti, ma tranquillo come il mare, che anclie se è calmo ha sempre le onde? O come una montagna, che non si preoccupa delle nuvole anche quando portano pioggia e neve? Che dici, nonno Peder?» aveva chiesto il nipotino.
«Ciumbia, che domandone… Meglio essere tranquillo come uno scoglio, che sa che il mare lo bagna, ma poi esce il sole e lo asciuga. Non c’è nessuna vita dove tutto filerà liscio, caro el me neudin.»
Adesso, a nove anni, Palmer gli parlava di destino. Chissà, magari sarebbe diventato uno scienziato, un bambino così curioso e introspettivo. O forse, come tanti nonni, anche lui immaginava un’immensa fortuna per il nipote di un semplice  maresciallo, per il figlio di quel suo figlio che era stato più in gamba di lui e aveva lasciato Milano, l’Italia, la sua lingua per fare fortuna a Londra, con i computer. Peder un po’ diffidava di quei nuovi mezzi, ma l’Umberto era stato inesorabile: «Alla tua età, sei andato a rischiare la pelle per mettere in galera una banda di albanesi e sei vivo per miracolo. Il medico è stato chiaro, papa. Se vuoi tornare in forma, devi usare il cervello come fai nelle indagini. Anche perché, finché non guarisci del tutto, non ti lascio partire per le tue Grigne, no no, te ne stai qua con noi. E. se hai nostalgia di casa, ti spiego come superarla grazie a questo schermo ultrapiatto che stiamo brevettando…».

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