
"Il muro dietro la porta" di Elisa Sala Borin***
Quale felicità? Io stavo vivendo in un incubo che
non finiva mai.
Le mie notti erano lunghe e difficili. Faticavo a prendere sonno e sognavo ad occhi aperti la mia fuga e al mattino, quando suonava la sveglia, non riuscivo a tenere aperte le palpebre dalla stanchezza. Alcune compagne di camerata mi prendevano in giro, perché di notte piangevo e urlavo nel breve sonno. Per fortuna erano poche.
Rivedo quell’enorme camerata: grandi porte a vetri davano sulla terrazza e tende bianche e leggere svolazzavano nel sole. Rivedo quelle brande, tante. In un angolo c’era un letto grande contornato da tende, era la camera della nostra vigilatrice.
Di quel tempo ricordo tutto anche i più piccoli dettagli, ma di questa ‘simpatica’ signorina non ho memoria.
Le nostre cose erano riposte dentro le valige nascoste sotto i lettini. La mia valigetta di cartone, comprata e riempita dalla mamma con tanto amore, in pochi giorni si vuotò. Ebbi una punizione perché avevo smarrito il suo contenuto! Non era vero, avevo la certezza di essere stata derubata, non sapevo difendermi.
Nessuno mi scioglieva le lunghe trecce, nessuno mi pettinava… E poi di corsa a lavarci, ma quando arrivava il mio turno… l’acqua era finita e riuscivo solo a pulirmi gli occhi con il gocciolio.
Si scendeva tutte in fila nella sala della refezione: le scodelle di legno, nere dall’uso, e i cucchiai di ano strano metallo opaco mi facevano schifo. Mi si rivoltava lo stomaco al pensiero di bere quel liquido giallastro col suo deposito melmoso sul fondo, Lo chiamavano latte in polvere, ma! Mi trasformai in fachiro, vivevo d’aria. E pensare che la mamma ci aveva mandati in colonia perché il nostro medico glielo aveva suggerito. Eravamo inappetenti.
Sì, c’era anche mio fratello. Non sapevo dove fosse andato a finire perché era proibita la promiscuità. Chiedevo di lui e non ricevendo risposta, pensavo fosse morto oppure, beato lui, tornato a casa.
La palazzina della Croce Rossa di lesolo era nata negli anni trenta e si capiva; lo stile inconfondibile ci riporta alle costruzioni dell’antica Roma e al fascismo che ne aveva colto l’esteriorità. Ricordo i parapetti a croce di pietra. Ci sono ancora!
In quel tempo non si usavano gli ombrelloni, solo poche tende a vela quadrata fissate con i paletti sulla sabbia, erano disposte in maniera ordinata davanti la scalinata, ad uso del personale della colonia. Per noi, ai lati della costruzione, c’erano dei portici sostenuti da colonne, che ci servivano da riparo nelle ore più calde della giornata.
Io non capivo il perché del comportamento della maggior parte delle compagne. Esse ridevano serene, mangiavano anche la mia porzione e cantavano felici… non tutte ovviamente, avevo alcuni compagni di sventura!
Unknown
Grazie!
Hai ragione, quando pensai di mettere giù i ricordi era una mia necessità, e scrivendo ritornai bambina ridendo e piangendo a ogni ricordo. Fu una figlia a insistere per una eventuale pubblicazione.
Unknown
Dimenticavo.
Ti aspetto per il caffè!
Unknown
E a questo punto ti mando Maria voleva le ali !!!!!!!!!!!!!!!!!
Altra storia altro giro… anche questo scritto per ricordare la storia di una famiglia.
gelostellato
noooo!!! 😀 pensavo fossero finiti! 😀
no ci provare sai! a spedirmelo, intendo, me lo verrò a prendere col caffè. 🙂
dimmi un sabato o domenica che ti va bene e vengo a fare un giro a treviso 🙂
Unknown
Scusami, come potevo dimenticarmi di "Suites da piccola musica notturna". Già ci sarebbe anche lui povero cristo… se trovo una copia te la metto via…
E' bello scrivere!
Ciao Prof.