"Maria voleva le ali" di Elisa Sala Borin****
Ecco. L’ho finito di leggere ieri.
Qui in parte a me avrei altra roba da recensire, tipo un libro di Houllebecq, o Odissea 2001 di Clarke, o uno di racconti di Bianciardi che già ho il posto cominciato.
Oppure potrei recensire il mio gatto nero, che mi dorme a destra, e per fortuna non mi rompe troppo, e non vuole zampettare sulla tastiera.
Invece no.
Vi parlo di questo Maria voleva le ali, di Elisa Sara Borin.
Dovevo leggere tempo fa, lo so.
Elisa me lo ha regalato di persona quando sono andato a trovarla. Regala troppe cose, Elisa, è fatta così. E chi sono io per lamentarmene?
E infatti non me ne lamento, soprattutto perché il libro mi è piaciuto proprio e adesso vedo di scriverle anche, per dirglielo, e magari trovare il tempo per andarla a trovare, ché Treviso è bella, e chiederlo direttamente a lei, cos’è successo dopo.
Ma vediamo di andare per ordine, in questa domenica inutile che ho deciso di concedermi, con niente mare, niente lavori, niente sveglie, e forse chissà, giusta una corsetta appena finisco di scrivervi queste cose, se il tempo tiene e non arriva un’altra bufera.
E cercando di non perdermi per i campi come ho fatto due giorni fa che alla fine ho fatto 20 km per riuscire a tornare a casa, impiegandoci tre ore e di grazia che ho trovato un passaggio gli ultimi due km. Ma dicevo, il libro. L’ho preso dallo scaffale dei libri di amici e gente che conosco, ché cominciava davvero a essere troppo pieno. E questo era il libro che più volevo leggere, e non perché sapessi che era bello, o che mi sarebbe piaciuto, ma perché era di Elisa, e ci sono affezionato, e non so come sta, ma per fortuna fb mi dice che è viva e quindi…
Allora, lo sapete, vero, che ho scritto Contis di famee… okay, è in friulano, ma ci sono tanti, tantissimi punti in comune con questo libro. Maria voleva le ali è una sorta di racconto di famiglia diluito, che allunga le proprie mani su buona parte della vita di Maria, che a questo punto, se non sbaglio, è la ascendente diretta dell’autrice. (ma chiederò anche questo a voce). Ecco… ora piove di nuovo, mi sa niente corsa oggi.
Torniamo al libro, vi copio un pezzettino per parlarvi di una cosa che mi interessa, e per farvi capire perché è vicino alle storie che racconto anche io e che mi piace mettere in forma narrativa.
Maria seguiva attenta l’andirivieni di Gigetta Dragoni fra le lavoranti della sua sartoria che negli ultimi anni s’era ampliata, e sorrideva guardando i piedi dell’amica calzati da scarpe invertite. Gigetta, che consumava i tacchi verso l’esterno, aveva adottato questo sistema per raddrizzarli: il suo motto era l’economia.
Ecco… sono proprio queste cose che mi fanno venire voglia di raccontarci una cosa intorno. Solo che mentre io attorno a una cosa così ci avrei scritto un racconto breve, inventando situazioni verosimili e personaggi, in Maria voleva le ali le situazioni sono messe in questo modo, di contorno, intersecate alla vita della protagonista del libro, Maria, e del suo matrimonio con Francesco, e di tutto quel che succede dopo. Alle spalle c’è la storia, la guerra soprattutto, ma anche l’Italia della provincia di fine Ottocento, e davanti, anche davanti a molti dei personaggi, ci sono i luoghi.
Tre, almeno, i principali, ma non i soli.
La Piegora, soprattutto, luogo di partenza e arrivo, casale di scambi commerciali, della provincia, a Fiesso d’Artico, sul Brenta. Luogo dove Maria è nata e ritornerà solo dopo la guerra, in vedovanza, abbandonando incredibilmente tutto che diventa lontanissimo anche se, semplicemente, si è trasferita a Treviso. Il senso delle distanza è ben chiaro, in questo romanzo, e se si vuole capire cosa sono i mondi diversi, basta mettere a confronto la Piegora con la Trattoria di Treviso, e con la città tutta, che per quanto piccola è una città, ed è un altro pianeta.
Mentre il terzo luogo, le campagne di Modena, sono il terzo luogo, e sono in pratica, un altro Universo, per la protagonista. Se si vuol avere uno spaccato vero della provincia italiana a cavallo del secolo questo è un ottimo romanzo. Ottimo perché racconta i contorni con parole semplici (lo stile di Elisa è così, prendere o lasciare) paesane, senza paura di inserti dialettali (la gnagna Isa, per esempio) o di descrivere linearmente i fatti, senza corbellerie lessicali, senza fuochi d’artificio narrativi.
Dimenticativi quindi le cose che scrivo io, piene di flash forward o analessi, di cambi di soggetto e di piani temporali intersecati… no, qui regna la semplicità.
Si racconta la vita di Maria. Il matrimonio, uno di quelli lo sposo ti ordina per posta e lo vedi solo il giorno delle nozze. Si racconta dei figli, dei parenti serpenti, soprattutto, della cattiveria della gente, che forse, a chi dice che è peggiorata, non so… parliamone. Si racconta soprattutto di un’epoca che non tornerà e che vediamo attraverso la solitudine e la tempra malinconica di Maria, che ha qualcosa, dentro, lo si percepisce, ma ogni volta che sta per crescere, per svilupparsi, per prendere fiduca e volare via, ecco che arriva il destino (il tifo, la guerra, le cattiverie, le falsità, la sfortuna) a tarpare quelle ali che avrebbero fatto spiccare il volo.
Poi, gran gala, il finale non è con la fine della protagonista. No. Il finale ci lascia l’amaro in bocca, ma un amaro giusto, di sofferenza, di lotta continua… Eppure, nonostante tutto questo, ho avuto di fronte un libro positivo. Maria è l’equivalente di mia nonna. Ha fatto più o meno lo stesso, le stesse lotte con i parenti del marito, non voluta, non accettata, fuori casa. Le stesse lotte per dar da mangiare ai figli. Anzi, l’unica nota è da fare proprio su questo. Sono due famiglie non poverissime, quelle che si uniscono, e quindi si ha uno spaccato della vita rurale e cittadina che non è quello della miseria fortissima, come avverrà dopo il ’20, nel primo dopoguerra.
Poi? Ah sì, la descrizione di Maria, personaggio che è quasi simbolico, per certi versi, del periodo che vive. O meglio, di alcuni, quelli più docili, più emotivi, più sensibili, che vivono all’ombra delle cose, degli accadimenti, spinti qua e là dalle cattiverie della vita e del loro intorno sociale, ma che al tempo stesso, di quella vita e quell’intorno, ne sono la spina dorsale e l’ossatura tutta. Insomma… le persone come maria, schive, malinconiche, testardissime, forti, sono quei grossi massi che fanno fare le curve ai fiumi, o ne tengono a bada gli argini. Molti altri, anche lo stesso marito Francesco, per quanto brave persone, non ne escono sempre bene.
Chiudo dicendo che è anche questione di emotività nella scrittura. E’ una cosa di cui mi sono accorto scrivendo della mia family, anche di chi non conosco. C’è un modo diverso di vedere le cose, una sensibilità, che è più naturale rispetto a quando si scrive d’altro.
Un po’ come farsi una pastasciutta e mangiare quella da scongelare… si potrebbe essere anche meno buona, quella che ti fai, ma se ti viene bene…
Unknown
Grazie.
gelostellato
non funziona così, è che legge che deve ringraziare. quindi Grazie lo dico io 🙂