Gennaio 2015

Io ti vedo laggiù, dormi alla fine della strada.  E non vai, non ritorni,  Passo vicino a casa tua.  Ma non so, non l'ho saputo mai,  Dove abiti dove dimori,  Dove nascondi le mani,  Quando non accarezzi o non lavori.  Ti ho portato il latte caldo. La

Ti ho vista quando mi sei camminata incontro.  Ti sei seduta sul mio respiro, eri stanca.  Hai affondato le mani, avevi fame.  Scalciavi e i capelli scarmigliati erano elettrici,  disegnavano in aria le tue tenerezze.  Quando ti sei alzata mi è mancato il fiato.  Sono passati

Sono giorni, mesi Anche anni ormai, Che la primavera non c'è più,  Dura un attimo, la sera tardi, il tempo di una birra Due parole ancora troppo sporche del lavoro del giorno,  Del suo invadere, infiltrare, abbattere, deformare. Poi arriva la stanchezza, a volo di drago, O

Cualchi volte mi sconfont la superstrade, che no sai cemût, si cumbine cu lis stelis. Maluserie, lancûr, rivoc, a montin un parsore chel altri, slungjantsi fintremai a rompi il scûr dal cîl, piturât di criùre. Come ecuilibriscj di un circ

A volte mi confonde la superstrada, che non so come, si accorda alle stelle. Malinconia e tristezza e nostalgia salgono una sulle spalle dell'altra, allungandosi tanto da coprire il cielo scuro, dipinto di freddo. Come funamboli di un circo storcono