"Lo specchio cieco – Il capostazione Fallmerayer" di Joseph Roth**

"Lo specchio cieco – Il capostazione Fallmerayer" di Joseph Roth**

Mentre è notizia di questi giorni che l’altro Roth, quello vivo, si è roth di scrivere, è notizia di questi giorni anche che ho finito di leggere questo Roth, diversamente vivo, dopo non so quanto che me lo tiravo avanti.
Vi dirò di più.
Il primo di questi due racconti, quello della piccolapoveratenera Lisi, l’ho finito ieri notte, cioè mattina presto, ché tipo volevo andare a dormire, ma poi mi sono messo ad aggiornare il blog parlandovi della Berberova, e poi, quando pensavo di andare a dormire, ho beccato il nuovo Soundgarden in streaming, e me lo volevo ascoltare, e poi, quando ormai cantava il gallo e io volevo obbligarmi a dormire, mi son detto, be’, mi leggo una pagina di questo racconto sulla piccola Lisi, che ogni volta mi fa dormire dopo 10 massimo 20 righe.
E indovinate?
Nella seconda parte del racconto, Lo specchio cieco, la piccola tenera Lisi comincia a darla via a tutti e il racconto scorre e io, ovviamente, l’ho finito. Poi, per dire, mi sono obbligato a non leggere subito il capostazione Fallmerayer, perché mi son detto, va che va che anche questo è avvincente e chi dorme più. (tanto poi non ho dormito lo stesso, ché mi son  messo a scaricare runtastic sul cell e ora devo solo imparare a usarlo)
Ah, a proposito. Oggi, lo trovate già nell’elenco dei Racconti d’autore, con il Sole comprate un altro Joseph, (le ragnatele del caso si sprecano, oggi), ovvero Conrad, con il ritorno, mentre la settimana che viene ci sarà Garcìa Lorca. E adesso basta parlare d’altro, perché lo voglio liquidare subito, questo arretrato.
Sono due racconti tristi, in fin dei conti, che parlano d’amore e d’Austria, di vecchia Europa e passioni continentali. Nello specchio cieco, okay, io l’ho presa in giro, la povera piccola Lisi, e le sue prime mestruazioni, e il come lei si sente donna, e la soggezione di lei, essere femminile, verso il mondo maschile. Eppure è un racconto che sa di sottomissioni fin dall’inizio, benché alla giovane protagonista la vita sembri arridere, farla felice, sorpresa da tutto questo mondo di adulti che le si schiude davanti. 
Il racconto però, arricchito di aggettivi e descrizioni e sfumature e pensieri, non mi ha mai rapito. Semplicemente mi annoiavo un po’. Lisi conosce tizio, ci passeggia nel parco, timorosa anche solo di essere sfiorata… poi però si cambia marcia, arriva questo violinista, un uomo alla deriva, e si mette a frignare, Lisi scopre la debolezza maschile per lei insospettabile e affascinante e la cura nell’unico modo che puà una ragazzina pronta per scoprire l’altro sesso. E questa ingenuità, questa bontà, le costerà parecchio, in un evolversi della sua vita che è davvero tristezza e decadenza e che non può non farmi pensare ci sia un sorta di parallelismo con l’altra protagonista femminile del racconto: Vienna.
Perché sì, è la stessa Europa che si concede, si innamora, di cose che la porteranno in rovina, o cose che di per sé lo sono già, come gli uomini di Lisi, deboli o approfittatori, inutili e senza qualità. La purezza va via via sporcandosi e svanendo, senza che in questo vi sia colpa alcuna.
Poi c’è l’altro racconto, il buon capostazione Fallmereyer. 
Persona ordinaria, di quelle che il mondo è intorno a loro e non serve si spostino, vede la sua vita cambiare per amore, per un colpo di fulmine, dopo una sciagura ferroviaria. Ama ed è d’amore disperato, che si parla, ricambiato, poi, mentre sullo sfondo c’è la guerra e l’invasione austroungarica in Russia, a Kiev. E Fallmereyer, per conquistare la sua contessa, conquista un intero stato, diventando militare, tenente, e abbandonando moglie e figlie. E poi? E poi un finale triste, insoddisfacente, volutamente rapido ma che non ho gradito. A me va bene, il significato. L’amore è coscienza, e se c’è un’arma che lo può sconfiggere è la pena, la commiserazione. 
Non amiamo, ma non lasciamo, quando vediamo, sull’altro fronte, la disperazione, l’abisso, il tracollo.
E va bene, okay, ci sto. Ma con quel finale… non ho potuto nascondere, stamane all’ennesimo canto del gallo, un moto di fastidio.
E allora basta parlare di questo Roth. 
Io ricordo ancora con molto piacere, La cripta dei capuccini, ma questi due brani, pur, alla fine, possibili da leggere, perché qualcosa ti danno, certo, non mi hanno convinto. Tant’è che stavolta non vi lascio nessuno scannamento… anzi, vediamo. Apro a caso, se trovo una cosa bella la trovate qui sotto, sennò…. alla prossima!
Vabbè, avete culo, ragazzi… ho aperto esattamente dove Lisi si concede per la prima volta a Ludwig, e siccome è l’epifania di questo racconto, che alla fine porterà alla rovina, ve lo scanno e ve lo lascio.
Non udì i leggeri movimenti di Ludwig e si rese solo conto di essere chiusa lì con l’uomo che era pericoloso, ma che la lasciava ancora in pace e lei si godette quell’ora che le rimaneva, come un condannato si gode l’ultimo lasso di tempo che lo separa dalla sua condanna.
Ora le stava vicino parlando e guardandola negli occhi, e, prima che avesse compreso, cadde in ginocchio, nascondendo la testa nel suo vestito, e pianse. Piangeva Ludwig, l’uomo, la bestia; il suo corpo sussultava, le sue spalle larghe tremavano. Fini, la piccola, non capiva come fosse potuto succedere, il suo dolore la addolorava.
Quando si è così piccole e insignificanti, ci fa doppiamente male se un uomo grande, che vive in alto sotto il ciclo vicino a Dio e suona melodie soavi, è steso ai nostri piedi, più piccolo e insignificante di noi – e solamente noi possiamo salvarlo. Con che facilità ci cadono di dosso i vestiti, scorza appassita e inutile, i bottoni si allentano e si sciolgono da soli. Dentro di noi trionfa il sangue, rosso, la testa è pesante, nella nebbia vediamo il petto villoso dell’uomo, sentiamo il profumo di animale sconosciuto, vediamo il volto estraneo, ancora più estraneo da vicino. Fini chiuse gli occhi, sentì il suo seno nella coppa calda e protetta della mano di lui, che stringeva amorevole e dolorosa, percepì le sue dita frementi premere più a fondo nella cavità segreta del ginocchio. Caldo le alitava il suo respiro ardente sul corpo coprendola, le mordeva le labbra con impeto, e come in un grande giubilo che stordisce, doloroso e terribile, l’uomo penetrò in lei, lo sentì dentro di sé, ardere e fondersi con il suo corpo e al contempo estraneo, ospite e signore.

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