“Il ballo” di Irene Nemirovsky***

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“Il ballo” di Irene Nemirovsky***

E’ una giornata partita piovosa. Ieri un sole che spaccava ma non potevo andare a prenderlo, oggi che potevo niente. In realtà non ne ho nessuna voglia.
Dovrei fare delle cose, delle cose che dovrei, ora che lo spettacolo cinquecentesco ha avuto fine.

Non ci voglio perdere una vita a parlarvi di questo racconto d’autore. 
Voglio fare qualcosa di utile, poca roba. Sistemare un cassetto, une dei tanti che sto sistemando, come un perfetto suicida che vuole lasciare tutto in ordine. Dà una certa soddisfazione, lo ammetto.
Ci sono cose che ti tolgono il passato, alcune il presente e altre il futuro. 
Si sa che le ultime sono le peggiori, contro le quali c’è ben poco da fare, di solito. Ma come dice il saggio, se non puoi fare niente, meglio, così non devi fare niente. E oggi niente farò.
Ora vediamo di rendere produttivo un po’ di tempo però.
Vi parlo di questo ma faccio cose.
Ora voglio provare a registrare i cambi della mountain bike, e so che su internet ti spiegano tutto ma io non è che sono tanto bravo a capire le cose.
E infatti non sono stato capace di fare un cazzo. Ho rimesso tutto come stava e funzionano male come prima e mi toccherà portarla da qualcuno che.
Ma il racconto. Il ballo. Sì racconto e non romanzo breve, direi. Ché è corto e si legge in poco, anche io che non leggo quasi mai. Questo l’ho letto al mare, in uno degli ultimi giorni della mia vita precedente, quando sono riuscito ad andare al mare in bici. Era un altro dei libri che ho rubato e che ho deciso di tenermi invece di restituire… boh, niente dai… non ce la faccio. Non ho testa. Lascio il post qui così e continuerò quando riesco.

E sono passati giorni.
E succedono cose.
Belle. E brutte o quasi bruttissime.
Si rimane fermi, muovendosi, ed è quella cosa della sabbia che che si toglie da sotto i tuoi piedi, portata via dalle onde. Quella sensazione insomma… che è piacevole finché puoi spostarti. A volte, non puoi. E quindi, direi, vediamo di parlarvi solo del libro.
E’ un racconto.
Lungo ma non troppo, famoso, credo, vuoi per il film, vuoi per le numero edizioni, vuoi perché le autrici ammazzate dal nazismo diventano sempre famose.
E aveva pochi anni, la Nemirovsky, o come cats di scrive, e lo scrive, questo racconto, in Francia, e l’ambientazione è la sua. E’ un racconto di una famiglia arricchita, ma che nobile non è e non lo sarà mai, e una delle strategie per diventarlo, o almeno tentare, è appunto circondarsi di altri nobili, darsi rango con il riflesso del rango altrui.
E ci provano, i genitori della nostra protagonista, Antoinette.
Che poi, al pari di lei, io dico che la vera protagonista è la madre, Rosine.
Rosine e il suo dramma pronto per essere vissuto. Rosine e la sua fame di fama, di voglia di essere ciò che palesemente, ci accorgiamo da fuori, non sarà mai.
E’ un bel racconto, dai, godibile, con questi due personaggi, madre e figlia, che alla fine si passano il testimone. Lei, Rosine, una ex troia, la figlia forse, un germe di nobiltà, pur nella sua capricciosità, sembra poterlo acquisire.
Ci si rende conto che in questo racconto c’è cattiveria, ma non si riesce a odiarla fino in fondo.
Ci si rende conto di una sorta di giustizia, ma che alla fine giustizia non è.
Non ti sta simpatico quasi nessuno.
Né le due donne, né il padre, svanito e meno duro, ma ugualmente bramoso di nobiltà.
E la macchietta dell’insegnante di piano, ridicola quanto penosa, alla fine è l’unica che ne esce vincitrice? Perché? Boh.
In ogni caso, è tutto qua. Oggi non riesco di più. Devo andare a bagnare il campo, mio padre non può, chissà quando e se potrà mai. E io, a stare un’ora e mezza al buio, sotto la luna piena, da solo, non lo so se sarà più un morire o un rinascere. Vi saprò dire.

Comments

  • 8 Agosto 2017

    dai: tirati un po' su!

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