"Sempre meglio della realtà" di Daniele Titta****

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"Sempre meglio della realtà" di Daniele Titta****

E’ successo via mail, più o meno così.
– Ciao, abbiamo visto il tuo blog, siamo una casa editrice, ti piacerebbe un ebook…
– Ciao! Ne sarei lieto, ma ho un problema serio di tempo, e mi dispiace dire di sì e poi non riuscire a… 
– Ah, okay, grazie per la franchezza, ma niente niente che… sicuro sicuro… 
– No.. no.. davvero, non riesco a leggere quasi niente, sul reader, o meglio, solo quando guido e si, insomma… a malincuore, davvero, ma non… 
– Senti un po’, e se ti mandiamo la copia cartacea? 
– Orpo, ma no, ni, si, cioè, okay…. sono tentato, insomma, devo…
– No perché siamo sicuri che ti piacerà! Quando la leggi la leggi…
– Okay, dai, manda!
E fu così che ora sotto il mio naso una tra le migliori cose che mi è capitato di leggere in questo 2015 e senza dubbio una tra le migliori opere del mondo underground di racconti di genere!
E pensare che stavo per perdermela!
Sì, perché davvero io mi sento in colpa, con gli ebook, quando me li mandano, e può capitare che li leggo, magari anche subito, ma può capitare che no, e quindi, ecco… cerco di non dare speranze, se proprio me li mandano. Certo… la copia cartacea poi, poteva agire di più sul mio senso di colpa, avranno pensato, ma non sapevano che in realtà lo millanto ma non ne ho. Sono pieno anche di libri cartacei che mi hanno regalato e non leggo.
La verità è che faccio quel che mi pare 😀
O meglio, quel che mi piace, se si tratta di lettura.
Il libro è Sempre meglio della realtà, di Daniele Titta, che poi è uno che è stato anche finalista al premio Urania, ma questo non vuol dire niente. Vuol dire invece che appena ho cominciato a leggere il primo pezzo… (per la cronaca, non mi ero nemmeno reso conto che fossero racconti, e infatti, a un certo punto, nel primo pezzo, mi stavo dicendo “ecco, ora per come è costruito, questo pezzo dovrebbe finire, e non andare avanti altre pagine, e infatti, un paio di pagine dopo, il primo racconto è finito, rendendomi felice)  ho capito che la scrittura era buona, avvincente, con uno stile già maturo, e una costruzione della storia che sapeva già dove andare e quali pesi dare ai vari personaggi e avvenimenti. E il primo pezzo, un horror sovrannaturale intriso di intimità quotidiana e umanità con egoismi vari, non è nemmeno tra i miei preferiti, pur essendomi piaciuti tutti, i racconti.
Il fil rouge è l’ambientazione post-apocalittica, con una nave spaziale – la Geenna – con cui Satana (lui? quel satana? o un altro potere cui è stato data questa personificazione, visto che è piena di demoni al proprio servizio, ma che nulla mi vieta di pensare siano alieni demoniaci) ha lanciato il psicoattacco alla Terra, devastandone le menti, a cominciare dal quelle meno strutturate dei bambini. Oh, certo… l’umanità è dura a morire, si sa, e proprio in questi suoi rigurgiti di vita, fra epidemie e follie, Titta ci racconta storie.
Rassegnazione, nichilismo, profondissima quiete del senno… ingredienti che ti lasciano ancorato alla pagina, in mezzo a una piacevolissima malinconia, a uno struggimento grigio e potente. Si rimane soddisfatti e pensierosi, dopo ogni racconti, in cui – consciamente o inconsciamente, non so – ci sono simboli e la quotidianità orrifica di un mondo allo sbando si mescola a quella molto più spiegabile e accettabile di una psico invasione aliena.
I cultori delle storie post-apocalittiche devono, dico devono, leggere questi racconti. E anche gli scrittori d’horror, quelli che non hanno ancora capito come si costruisce l’orrore, e spesso lo confondono con lo splatter, o con la paura.
Non ne hanno, i protagonisti di queste storie. Provano altri sentimenti, ma non la paura, non il terrore. Non ne hanno avuto tempo e ora non ne hanno più voglia.
Io invece una voglia ce l’ho. Voglio farvi leggere qualcosa. Vado a prendere uno dei miei pezzi preferiti. Una storia innestata sull’invasione, ma che la utilizza per raccontarne un’altra potenzialmente già valida, ma a cui il contesto fa da megafono.
Ecco, ho trovato. E’ un pezzo lungo, ma se lo leggete, vorrete leggere anche il resto.
Cristina ha subito un’operazione, di quelle che ti sfigurano, che ti fanno diventare da donna a nulla, e Vanni è il fratello di un folle omicida, che occulta le donne nei bagagliai della montagna di carcasse d’auto del loro parco di demolizioni. E qui si innesta l’incrocio con la psico invasione, in un contesto di senni quasi folli che si incrociano, personaggi credibili, lei in fuga verso il nulla, lui orfano del fratello e del mondo, tutto che va a rotoli. Ecco qua, leggete un po’ voi:

Qualcuno aveva scritto con uno spray rosso sulla colonna del cavalcavia: “Distruggete Geenna!”
Fu in quel momento che vide la Clio venire giù a forte velocità dalla rampa del viadotto. La strada era sterrata e gli pneumatici sollevavano volute di polvere che nella luce pallida della mattina prendevano la tonalità del rame.
Tre ragazzini vestiti di stracci correvano dietro l’auto brandendo spranghe e bastoni. Vanni li aveva visti spesso gironzolare in zona, abitavano nell’accampamento di vagabondi poco distante. Dovevano aver percepito che in giro era cambiato qualcosa e si erano lasciati andare all’anarchia.
La donna al volante della Clio iniziò a suonare il clacson per attirare la sua attenzione. Non si sarebbe mai fermata in tempo. Per fortuna il cancello era aperto e lungo la discesa l’auto si era distanziata dagli invasati che le correvano dietro.
La Clio si infilò nello sfasciacarrozze, le gomme bloccate dai freni ma spinta in avanti dall’abbrivio. Senza pensarci, Vanni si precipitò a chiudere il cancello, che adesso gli sembrava pesantissimo.
L’auto si schiantò contro il muretto opposto. Il radiatore esplose, il parabrezza si imbarcò e si polverizzò. L’airbag si aprì, schiaffeggiando Cristina e ricoprendola di polvere sintetica.
Il primo dei ragazzi che raggiunse il perimetro dello sfasciacarrozze cercò di colpire la mano di Vanni con la spranga, ma mancò il colpo. Aveva il viso sporco e puzzava. Sedimenti di bava secca agli angoli della bocca. I denti avevano già iniziato a marcire. Vanni non aveva mai avuto noie con i vagabondi, perché si stavano comportando come cani rabbiosi?
– Vado a chiamare mio fratello. Sta dormendo, ma lo sveglio se non vi levate dai coglioni. E lui odia essere disturbato…
Vanni mimo con pollice e indice il segno della pistola.
Erano   arrivati   anche   gli   altri   due   inseguitori.
Sembravano perplessi, come se riuscissero a controllare il furore che li rodeva solo con immenso sforzo. D’un tratto, il primo arrivato al cancello si immobilizzò, sollevò il mento e si mise a fissare un punto indefinito a mezz’aria. Vanni si voltò per controllare che non ci fosse nessuno alle sue spalle, ma vide solo la ragazza alla guida della Clio che scendeva dall’auto in una nuvola di borotalco.
Senza una parola, senza un gemito o un lamento, il ragazzo si mise seduto a gambe incrociate. Non aveva espressione: non di estasi, non di noia, non di spavento o rassegnazione. Ogni impulso emotivo era defluito dal suo volto con rapidità sorprendente.
Gli altri due restarono pietrificati dall’evento. Non doveva essere nuovo per loro. Scapparono via, urlando mozziconi di frasi: – Anche lui… Il diavolo ti riduce a bambola…
Prima si sfamarono con le scatolette che Cristina aveva portato con sé, poi lei chiese a Vanni di potersi cambiare. Si sentiva lercia. Mentre si spogliava nel minuscolo cessetto della baracca uso ufficio, Cristina lasciò la porta semiaperta per accertarsi subito delle intenzioni di Vanni. Lui non la deluse. Fingendo di sistemare la finestrella basculante a metà strada tra la branda e il bagno, Vanni sbirciò il corpo nudo di Cristina. A lei non dispiacque. Se la stava godendo, senza preconcetti, senza giudicarla migliore o peggiore di com’era prima delle operazioni.
Quando Cristina tornò nella sala ufficio, Vanni non cera più.
Lo trovò fuori, accosciato vicino alla Clio, intento a valutare i danni dell’impatto contro il muro perimetrale. Tutto in quel luogo sembrava un misto di polvere e metallo. Lo spiazzo era riarso, la terra compatta e dura. Sulla sinistra, la montagna di auto che incombeva su di loro.
– Puoi rimetterla a posto?
Cristina dava per scontato che, per sdebitarsi della carne in gelatina e dei fagioli, Vanni dovesse aggiustarle l’auto. Di pezzi di ricambio ce ne dovevano essere in quantità.
– Devo cercare in giro. Sì, qualcosa si può fare… Pareva imbarazzato, si grattava la testa.
–  Sei gentile. Ce la fai entro oggi?
– Dipende.
Vanni odorava di selvatico. Di pelo bagnato, di scarsa igiene intima, di sbavata di bestia. Cristina inalava quel sentore di stallatico a pieni polmoni. Era carne, era vita, per lei che da troppi mesi era stata toccata solo da mani sterili e guanti di lattice.
– E di quello laggiù, che vuoi farne?
Con l’indice Cristina indicò il vagabondo fuori dal cancello. Non si era mosso di un millimetro. Sembrava non sbattesse nemmeno le palpebre. Di certo i suoi bulbi oculari si erano già seccati. Immaginò i corvi affamati che calavano sul quel corpo e lo smembravano. Prima si sarebbero cibati degli occhi, strappandoli fino alla radice a beccate, poi avrebbero banchettato con le sue parti molli, sbranandolo pezzo per pezzo, fino a quando il cuore del contaminato non fosse esploso.
Vanni fece spallucce. Con quella salopette di jeans rendeva alla perfezione lo stereotipo del bifolco.
– Dai, fammi lavorare – disse. – Tu intanto fai quello che ti pare.

Piaciuto? Io lo trovo ottimo. Con clima e una magrezza delle frasi che è quanto cerco quando leggo storie di questo tipo, e che ben si adatta a ciò che sta raccontando.
Gli altri racconti sono tutti sulla stessa linea, forse un paio più classici, ma non scontati e comunque gradevolissimi. Oltre a questo, che si intitola “Distruggete Geenna” a me è piaciuto molto “Cornelius” dove un gruppo di superstiti accetta in vario modo il virus che li deforma e che, già lo sappiamo, li ucciderà. E mi è piaciuto “Risacca” una storia d’amore con sullo sfondo quel che resta del mondo e un aereo. E stavolta ambientato in mezzo alla foresta inaccessibile e ai cannibali, anche Il sogno del Delfino è stato tra i miei preferiti. In totale sono 9 pezzi, per poco più di 200 pagine, e tutti belli.
Poi che altro dire… Che lavori come questi servono a capire la bellezza dei racconti, della narrativa breve. La storia da raccontare, qui, è pesata e misurata per lo spazio che le è concesso, non si va oltre, allungando, non ci si concede personaggi o azioni superflui.  Insomma… mi è piaciuto proprio. 
E chiudo dicendo che è uno di quei libri che ti va di tenere lì, nella libreria, dove magari ti dimentichi i titoli e le trame, ma le ambientazioni, il nichilismo serpeggiante, ecco… quelli ti restano addosso. Te li ricordi, ti entran dentro ed è questa, la cosa migliore: l’umanità descritta senza filtri e senza attenuanti. 
E direi che è tutto, e che voi, là fuori, se amate questo letture che risuonano di echi che vanno dal Barker al Palahniuk, dal Pelevin a tutto quello che è cupezza e mancanza di speranza, ecco, leggetelo, soprattutto se amate gli scenari post-apocalittici e le storie che usano il piede di porco della fantascienza per scardinare la porta serrata della cruda natura umana. 

Comments

  • Anonimo
    4 Giugno 2016

    Bellissimo davvero.
    Me lo sono comprato al Salone di Torino, dopo aver letto questo post. E l'ho detto pure ai tipi della casa editrice.

    Ah, sono una Pecorella ancora viva…
    Ogni tanto passo e do una sbirciata. Qualcosa di utile si trova sempre.
    Buona giornata!

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