"Sempre meglio della realtà" di Daniele Titta****
Qualcuno aveva scritto con uno spray rosso sulla colonna del cavalcavia: “Distruggete Geenna!”
Fu in quel momento che vide la Clio venire giù a forte velocità dalla rampa del viadotto. La strada era sterrata e gli pneumatici sollevavano volute di polvere che nella luce pallida della mattina prendevano la tonalità del rame.
Tre ragazzini vestiti di stracci correvano dietro l’auto brandendo spranghe e bastoni. Vanni li aveva visti spesso gironzolare in zona, abitavano nell’accampamento di vagabondi poco distante. Dovevano aver percepito che in giro era cambiato qualcosa e si erano lasciati andare all’anarchia.
La donna al volante della Clio iniziò a suonare il clacson per attirare la sua attenzione. Non si sarebbe mai fermata in tempo. Per fortuna il cancello era aperto e lungo la discesa l’auto si era distanziata dagli invasati che le correvano dietro.
La Clio si infilò nello sfasciacarrozze, le gomme bloccate dai freni ma spinta in avanti dall’abbrivio. Senza pensarci, Vanni si precipitò a chiudere il cancello, che adesso gli sembrava pesantissimo.
L’auto si schiantò contro il muretto opposto. Il radiatore esplose, il parabrezza si imbarcò e si polverizzò. L’airbag si aprì, schiaffeggiando Cristina e ricoprendola di polvere sintetica.
Il primo dei ragazzi che raggiunse il perimetro dello sfasciacarrozze cercò di colpire la mano di Vanni con la spranga, ma mancò il colpo. Aveva il viso sporco e puzzava. Sedimenti di bava secca agli angoli della bocca. I denti avevano già iniziato a marcire. Vanni non aveva mai avuto noie con i vagabondi, perché si stavano comportando come cani rabbiosi?
– Vado a chiamare mio fratello. Sta dormendo, ma lo sveglio se non vi levate dai coglioni. E lui odia essere disturbato…
Vanni mimo con pollice e indice il segno della pistola.
Erano arrivati anche gli altri due inseguitori.
Sembravano perplessi, come se riuscissero a controllare il furore che li rodeva solo con immenso sforzo. D’un tratto, il primo arrivato al cancello si immobilizzò, sollevò il mento e si mise a fissare un punto indefinito a mezz’aria. Vanni si voltò per controllare che non ci fosse nessuno alle sue spalle, ma vide solo la ragazza alla guida della Clio che scendeva dall’auto in una nuvola di borotalco.
Senza una parola, senza un gemito o un lamento, il ragazzo si mise seduto a gambe incrociate. Non aveva espressione: non di estasi, non di noia, non di spavento o rassegnazione. Ogni impulso emotivo era defluito dal suo volto con rapidità sorprendente.
Gli altri due restarono pietrificati dall’evento. Non doveva essere nuovo per loro. Scapparono via, urlando mozziconi di frasi: – Anche lui… Il diavolo ti riduce a bambola…
Prima si sfamarono con le scatolette che Cristina aveva portato con sé, poi lei chiese a Vanni di potersi cambiare. Si sentiva lercia. Mentre si spogliava nel minuscolo cessetto della baracca uso ufficio, Cristina lasciò la porta semiaperta per accertarsi subito delle intenzioni di Vanni. Lui non la deluse. Fingendo di sistemare la finestrella basculante a metà strada tra la branda e il bagno, Vanni sbirciò il corpo nudo di Cristina. A lei non dispiacque. Se la stava godendo, senza preconcetti, senza giudicarla migliore o peggiore di com’era prima delle operazioni.
Quando Cristina tornò nella sala ufficio, Vanni non cera più.
Lo trovò fuori, accosciato vicino alla Clio, intento a valutare i danni dell’impatto contro il muro perimetrale. Tutto in quel luogo sembrava un misto di polvere e metallo. Lo spiazzo era riarso, la terra compatta e dura. Sulla sinistra, la montagna di auto che incombeva su di loro.
– Puoi rimetterla a posto?
Cristina dava per scontato che, per sdebitarsi della carne in gelatina e dei fagioli, Vanni dovesse aggiustarle l’auto. Di pezzi di ricambio ce ne dovevano essere in quantità.
– Devo cercare in giro. Sì, qualcosa si può fare… Pareva imbarazzato, si grattava la testa.
– Sei gentile. Ce la fai entro oggi?
– Dipende.
Vanni odorava di selvatico. Di pelo bagnato, di scarsa igiene intima, di sbavata di bestia. Cristina inalava quel sentore di stallatico a pieni polmoni. Era carne, era vita, per lei che da troppi mesi era stata toccata solo da mani sterili e guanti di lattice.
– E di quello laggiù, che vuoi farne?
Con l’indice Cristina indicò il vagabondo fuori dal cancello. Non si era mosso di un millimetro. Sembrava non sbattesse nemmeno le palpebre. Di certo i suoi bulbi oculari si erano già seccati. Immaginò i corvi affamati che calavano sul quel corpo e lo smembravano. Prima si sarebbero cibati degli occhi, strappandoli fino alla radice a beccate, poi avrebbero banchettato con le sue parti molli, sbranandolo pezzo per pezzo, fino a quando il cuore del contaminato non fosse esploso.
Vanni fece spallucce. Con quella salopette di jeans rendeva alla perfezione lo stereotipo del bifolco.
– Dai, fammi lavorare – disse. – Tu intanto fai quello che ti pare.
Anonimo
Bellissimo davvero.
Me lo sono comprato al Salone di Torino, dopo aver letto questo post. E l'ho detto pure ai tipi della casa editrice.
Ah, sono una Pecorella ancora viva…
Ogni tanto passo e do una sbirciata. Qualcosa di utile si trova sempre.
Buona giornata!
gelostellato
Ah… le pecorelle! sopratutto quelle del 75, grande annata! ottime anche sulla griglia 😀
GRazie, comunque, che piaccia una cosa che hai consigliato è una gran cosa e dà un senso al blog e al metterci dentro del tempo 🙂