"Phobia" di Marco Pezza**

"Phobia" di Marco Pezza**

Mi sono dato la zappa sui piedi!
Non avevo in programma di leggere questo libro, e anzi, non volevo più leggere cose fuori programma di esordienti. Ne ho lette tante, e ora che sto leggendo solo libri classici o comunque che so valere o servirmi. Però quando il Balestra ha proposto ai recensori questo libro, con una trama che diceva più o meno – prendo dal sito:
gli ingredienti ci sono tutti: il disturbo ossessivo compulsivo che caratterizza l’efferata mano omicida del killer, un commissario con la sigaretta penzoloni dalle labbra (in perfetto stile noir), il fedele assistente profiler di origine statunitense, il colpo di scena che fa capolino dietro l’angolo e che fa decollare la storia,
E io… dopo aver letto ciò, ho fatto la battuta: originalissimo!
E Alessandro, che ogni tanto comprende l’ironia come gli ornitorinchi la fisica nucleare, mi fa: Te lo mando!
Nooooo. E niente, ormai Phobia, di Marco Pezza, era mio.
Per altro, l’autore, è stato pure gentilissimo nell’invio e nell’allegarmi due righe, e lo ringrazio, ma resta che questa trama, di originale, ha molto poco.

Insomma… siamo oberati dai serial killer, efferati, cruenti, inafferrabili, psicologicamente stabili o instabili, intelligenti o maniaci, bianchi, neri, gialli, con armi da taglio, frecce, veleni, dischi di suor cristina… insomma… è difficile riuscire a essere originali raccontando un’indagine su un killer, anche se milanese. Ancora peggio se ci si affida agli stereotipi, come il commissario umano con la cicca in bocca (che fuma sul luogo del crimine, per altro) o il profiler americano che si è fatto da solo ed è sfigato da piccolo, piuttosto che il sindaco che deve difendere la faccia, o lo psicologo che entra “nella mente del serial killer” ecc…
Purtroppo, dentro al libro, sembra davvero di vedere un’accozzaglia di personaggi tirati fuori da una settimana a guardare Top Crime e Giallo.
Ma vabbè… sono cosciente che un esordiente, spesso, ha un’urgenza di raccontare una storia e prende spunto da quelle che ha già sentito,  e non è un male, è normale.

C’è un’altra cosa che mi lascia basito.
Ci sono due tre personcine che ogni scrittore deve farsi amici, prima di tutto. Poi ce ne sono altre, più avanti, ma due su tutte deve farsele amiche subito, il più presto possibile, perché senza di quelle, davvero, si rischia di essere attaccabili immediatamente. Queste due tre personcine si chiamano ortografia, grammatica e sintassi. E vada per la prima, che okay, ci mancherebbe (anche se qualcosa c’è, ma fingiamo sian sviste di battitura) ma già nella prima pagina – che è anche di tre quarti, ho trovato tante, troppe cose che non vanno. E non è (del tutto) colpa dell’autore.
L’articolo di pneumatico, piaccia o no, è lo, e quindi si deve dire Gli pneumatici. La macchina è quella per fare il pane, o la pasta, o da cucire, ma quella che attraversa la notte o corre giù per la scarpata si chiama automobile, E la d eufonica va solo quando vicine son due vocali uguali…
E se si parte con un’analessi di un fatto di tre anni prima, siamo comunque al presente, e quindi non si deve scrivere “tre anni dopo”, poi, sennò fanno sei anni…
Poi certo, ci sono tanti frasi fatte, voce che non è originale, frasi ed accoppiate che abbiamo sentito mille volte nelle voci altrui (quel maledetto incidente, lo ricordava come se fosse ieri, piovere in modo torrenziale…) ma questo, io so benissimo che è solo perché un autore deve trovare il proprio stile, riuscire a trovare un modo personale di scrivere che sfugga ai dolori lancinanti, ai pallidi soli, ai silenzi assordanti e insomma, a tutti i cliché linguistici del genere.
Queste cose sono perdonabili.

Quello che io trovavo poco perdonabile era il pubblicare qualcosa con le d eufoniche e con un vastissimo uso delle parentesi. (no, ziocan, non si mette le cose tra parentesi in un romanzo, tanto meno in un thriller, e ancora meno se è per dare informazioni aggiuntive tipo telegiornale o nota a piè di pagina). Perché? Perché cazz… una casa editrice te le deve correggere, queste cose, devi dirti: oh ciccio, guarda che è meglio scrivere acuiti, più che acutizzati; guarda che la d non la devi mettere, e la E’ non si scrive, che quello è un apostrofo, mica un accento, e vedi anche ci sono un sacco di ripetizioni, da togliere… e via così.
Ma sarà una casa editrice a pagamento, mi son detto, allora si spiega, la cosa, ma no, non mi pare, anzi, sembra molto volenterosa. Peccato che già nella scheda di invio manoscritti scrive:

E’ altresì obbligatorio inviare un recapito telefonico ed uno e-mail dell’autore/autrice in modo che la casa editrice possa contattare la persona interessata non appena presa visione del testo, sia in caso di valutazione positiva che negativa.

Cioè, c’è “E’ “, c’è un “ed un” e c’è un “sia-che”. E allora ho smesso di pensarci… Quegli amici, ortografia, sintassi e grammatica, manco lì, stavano… come pretenderli dentro il libro?
Ma sorvoliamo.
Questo sono cose che potrei anche perdonare, anche se la lettura è davvero sgradevole, quando si deve districare in una selva di piccole imprecisioni e inesattezze. Anche perché, mi dico: ma un controllo ortografico di word, no? Ma vediamo la storia…
E niente, la storia, purtroppo, originale non è. I personaggi sono tutti stereotipati, purtroppo, e parlano allo stesso modo. Simpaticissima per esempio, l’espressione “Mio dio!” che è usata dal dottore psicologo, dal tenente, dal profiler, dal sindaco… tutti dicono “Mio Dio!” e la cosa, strappa un sorriso, lo confesso. Un cliché il medico in carrozzina, la moglie che si sacrifica, il commissario che inorridisce e prende a cuore le vittime, il killer, persino… con le solite, immancabili, criptiche, frasi in codice scritte sul luogo degli omicidi (fa che non siano della bibbia, ti prego… e invece…)
La storia, poi, è abbastanza classica. Il killer, efferatissimo, comincia a uccidere, e in pochi giorni ecco che , due, tre donne vengono subito massacrate… e i sospetti sono già stati fatti cadere su un tale che, già dalle prime pagine, sappiamo essere affetto da manie ossessive-compulsive con comportamenti aggressivi atipici ecc… Ovviamente sappiamo che non sarà lui il colpevole, e in effetti, il colpo di scena non è prevedibile, ma più che altro perché era piuttosto inverosimile, non sto a dirvi perché, sennò spoilero.
E quindi? Quindi niente. Si vede che c’è tanta voglia di raccontare, questo sì, c’è la città di Milano, il che, come ambientazione, è adattissima, e anche se si esagera un po’, con certe cose, e un paio, di nuovo, strappano il sorriso, perché si vede che sono ingenuità, esagerazioni dovute alla voglia di scrivere, e chi sono io per dirne male.
Non lo so… per esempio il giorno stesso in cui si scopre il primo cadavere, senza naso occhi e orecchie, “tutte le prime pagine dei quotidiani mostravano implacabili l’orrore di quel visto distrutto“.
E tu ti chiedi: no, ma come, maddai! ma non può essere, non si fa, non si può, è illegale, non è mai successo, e poi scusa, cioè, hanno appena scoperto il corpo, quali giornali?! il web, forse… ma i quotidiani… ma non può essere.
Tant’è che, un paragrafo più tardi si è ancora più perplessi leggendo che, tornando alla centrale,
Tiraboschi riunì i suoi assistenti più stretti (la squadra “anti-mostro” erano stati soprannominati dalla stampa, sempre solerte nell’affibbiare evocativi nomignoli) e a porte chiuse inizio ad assemblare i pezzi per creare una sorta di puzzle con cui confrontarsi.
Ma come? C’è un solo cadavere, il giorno del suo ritrovamento, e già la stampa parte coi nomignoli ecc.? E no, cazzo, stavolta non ti credo proprio! E pum, svanita la sospensione, e tanti saluti al libro. Tanto più che, poco dopo, quando la porta di un appartamento resta socchiusa per tre giorni senza e le parenti piangono disperatamente una donna scomparsa senza che a nessuna venga in mente semplicemente di andarla, o mandarla a cercare, beh, non ci si fa quasi caso.
Dai, la chiudo qui. Il giudizio non può essere negativo in toto, perché c’è la comprensione dello scotto da pagare per l’inesperienza e molte ingenuità che paiono proprio provenire da film e telefilm ma che nella vita reale stonano assai. Però si vede la voglia di scrivere e di raccontare, che è sana, e alla fin fine, questo è un prodotto onesto, seppur con i suoi limiti. Non è grave. Mi chiedo però dove sono finiti i forum, i consigli, i confronti fra scrittore esordienti che almeno certe cose te le insegnavano. Non dico tutto, ma diamine, d eufoniche di troppo e parentesi, almeno, qualcuno più esperto di te ti avrebbe detto di toglierle.
Di bello, e questo mi è piaciuto molto, ci sono i disegni, in b/n, stile copertina, quasi tutti molto gradevoli e con un proprio stile. Di Bianca Baldasseroni, sono. 
E dai, basta così. Vediamo di fare una recensione, in questi giorni, quella vera, per il sito, e magari questa la pubblichiamo domani, va, che oggi non ho voglia. 🙂

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