"Zeus e altre semplici storie" di Ingo Schulze***

"Zeus e altre semplici storie" di Ingo Schulze***

Ma lo sapete che è ben strano, questo libro?
O meglio, questi racconti di questo Ingo Schulze che non conoscevo, ex-DDR, molto addentro alle cose di arte, alle cose di sceneggiatura e alle cose di lingua tedesca, vista la sua bio, dicevo, questi racconti sono strani.
Mi hanno ricordato un certo modo di non raccontare di Carver e una certa sua aria di decadenza, benché dal punto di vista dello stile i punti di contatto siano pochi.
Non so nemmeno io, a dire il vero, perché li trovi strani.
Sono scritti in modo normale, senza stili particolare o che, e raccontano storie normalissime, quasi fotografie, senza inizio né fine, che tra l’altro sono precedute da tre righe di abstract. Ecco, forse già questo è strano.
Aspettate, ve ne copio un paio.
Nel racconto “Uccelli migratori“:

Lydia racconta della dottoressa Barbara Holitzschek, che afferma di aver investito un tasso. Lunga conversazione sugli animali. Il luogo dell’incidente. Finale enigmatico senza tasso.

Oppure, nel racconto “Sorrisi” 

Martin Meurer racconta coma ha rivisto il padre carnale dopo ventiquattro anni. Una confessione inaspettata. I credenti si ammalano di meno e vivono di più. Atti degli Apostoli e presine.

E poi, leggendo il racconto, più o meno sì, è di quello che si parla, e quel che può sembrare inconcludente un po’ lo resta. Parlano dell’immediato periodo post-caduta muro berlinese, questi racconti, e forse, così azzarderei, si portano dietro un po’ di quell’inquietudine e di quel non sapere trovare il proprio posto nel mondo che possono aver avuto i cittadini ex-DDR. Un po’ come quando apri la gabbietta al canarino ma lui non esce, conscio che potrebbe succedergli di tutto, là fuori, però, dentro, comincia ad agitarsi e fare cose strane.
Ecco, non si agitano poi molto, i personaggi dei brevi racconti di Schulze (ce n’è sei, in queste sessanta pagine), ma si agitano molto i loro pensieri, tanto da renderli tutti un po’ spannati, un po’ assenti, da farli sembrare quasi incoscienti, in quel che fanno e dicono, pur non dando mai l’appoggio del narratore esterno, a sostegno di ciò. Vediamo… forse meglio spiegarsi con qualche sua riga.
Ecco qua, il racconto “Panico” il mio preferito, dove il protagonista perde il lavoro, okay, lui e la moglie si arrangiano come possono, poi, come capita, decido di farsi una vacanza, perché ogni tanto ci vuole, e spendono tutto quel che anno. Peccato che gli arriva una multa per eccesso di velocità, confisca del veicolo e non so quanti marchi da pagare… per di più, lui, è in prova per un lavoro di sei mesi come chimico. Si organizza, prende il treno, deve stare fuori dei giorni, arriva e telefona alla moglie, e badate, non ha ancora fatto niente di lavorativo, in quella città:

Quando Sabine disse “Pronto?” nell’indicatore il 45 dopo la virgola si trasformò in un 26, e Sabine ripetè “Pronto?”.
Raccontai che il dottor Sidelius, il geologo della Tutela monumenti, aveva ascoltato tutto e alla fine mi aveva stretto la mano e augurato buona fortuna.
I taxi partivano in continuazione, e quando non ne rimase nemmeno uno dissi che adesso tutti i taxi se n’erano andati.
“Presto ne arriverà di sicuro un altro,” rispose lei e disse che proprio davanti al nostro ingresso – abitavamo in Brockhausstrafie al Lerchenberg – era successo un incidente, ma la cosa non era riuscita a distoglierla dalla decisione di andare con la bicicletta fin su al supermercato dello Steinweg. Continuava a parlare del supermercato. Sabine sosteneva che con la bicicletta ormai se la cavava e che adesso avrebbe sempre fatto così. Si chiedeva anzi perché non l’avesse fatto già prima. Tra l’altro, era il miglior modo di esercitarsi per la settimana dopo, dato che voleva fare una breve gita con Tino e Danny, la quale, apposta per lui, si era procurata una bicicletta col seggiolino per bambini. L’avevano deciso oggi pomeriggio.
Il 2,88 si trasformò in 2,69 e poi in 2,50. Arrivò un taxi e si fermò, spegnendo i fari. Il supermercato, disse Sabine, aveva persine una lunga rastrelliera per biciclette con sopra una pubblicità. Dovevo indovinare quale. Ma subito sbottò: “Prince Denmark, la mia marca”.
“Una settimana fa non ti saresti azzardata,” dissi. “Già! Speriamo che adesso costruiscano altre piste ciclabili,” rispose Sabine e fece seguire alcune parole in francese che io non capii. Risi. Doveva farmi gli auguri per domani, dissi, perché riuscissi a liberarmi di quella robaccia.
“Non parlare sempre di robaccia, Martin. È così importante!” esclamò. “L’intera storia dell’arte non serve a niente, se tutti i begli edifici si sbriciolano. E con lo schifo che c’è nell’aria, Martin, si sbriciola proprio tutto ! ” Arrivò un altro taxi, e stavolta glielo dissi.
“Riattacca subito!”
“Aspetta,” risposi, sussultai e mi girai di lato. Le borse c’erano ancora. “Ti amo,” dissi e aggiunsi che non lo dicevo perché ero lì solo e senza macchina. “Che carino.” rispose Sabine. Prima pensai che avremmo interrotto a 1,17, ma questo poi divenne uno 0,98 e poi uno 0,79, e dopo il suo “ciao” precipitò a 60 pfennig e io gridai “amore”, ma lei aveva già riattaccato. Lo feci anch’io e presi la scheda. Adesso i taxi erano tre.

Ecco, direi che ho fatto anche troppo, si capisce, direi, questa attenzione per il dettaglio e questo modo di scrivere. Non so se riuscirei a leggere racconti su lunga distanza, con questo tipo di rarefazione, ma in effetti, non so nemmeno se l’autore li scriverebbe. In questo formato, tuttavia, sono particolari, e meritano una lettura attenta, perché se li leggete così, accazz, rischiate di trovarli molto superficiali, e non lo sono.
Chiudo tirando le somme di questa collana, Racconti d’autore, del Sole 24 ore, che per fortuna si prende un po’ di pausa, e ricomincia con l’8 gennaio. Bene, è stato un’ottima, ma un’ottima idea. Ho imparato un sacco di cose, assaggiato molti autori ed è stata data dignità alla forma racconto, facendola apparire per quella sua difficile, complessa e sublime zona narrativa che è. Sono contento di avere tutti i numeri usciti finora, e anzi, se ve ne siete perso qualcuno, sapete dove trovarli 🙂

Comments

  • Anonymous
    27 Dicembre 2011

    Non ho ancora trovato il tempo di leggermi i racconti di Schulze (chi era costui?), ma la tua analisi mi incuriosisce parecchio (soprattutto le considerazioni stilistiche).
    Appena mi sbarazzerò del Checov arretrato passerò a questo… 🙂

    L'Anonima Maiuscola

    reply
  • 27 Dicembre 2011

    ah, ma questo si legge in un attimo
    Checov no, in effetti
    però… il monaco nero-..
    bello!
    😀

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  • Anonymous
    28 Dicembre 2011

    Ricordo bene la tua recensione positiva a proposito de "Il monaco nero"; tuttavia, dopo aver letto il racconto (si tratta del mio battesimo con Checov),fatico a comprendere il tuo entusiasmo.
    Non nego i pregi qualitativi della scrittura (davvero buona), ma non sono riuscita ad appassionarmi alle vicende di questo docente che soffre di allucinazioni e muore di emottisi (ho imparato una parola nuova). L'aspetto che mi convince meno è proprio quello legato alla reazione del protagonista quando comincia a vedere il monaco e ad interagire con lui: a mio parere manca di credibilità, ecco. Inoltre, ho trovato la seconda parte del racconto poco avvicente rispetto alla precedente.
    Vedrò se gli altri due brani mi convinceranno di più…
    Ciao 🙂

    L'Anonima Maiuscola

    reply
  • 28 Dicembre 2011

    oh, beh, gli altri due a me piaceveano di meno, quindi a te piaceranno di più.
    comunque il discorso credibilità proprio non mi ha infastidito, nel senso che fin dall'inizio mi sono ritrovato a pensare a una racconto metaforico, che di credibile aveva ben poco, visto che poi era una prima persona del pazzo, quindi, insomma, figuriamoci. beh, mi dirai degli altri.
    A me, pensare al monaco continua a entusiasmare, ogni tanto mi sembra quasi di vederlo! 🙂

    reply
  • Anonymous
    29 Dicembre 2011

    Primo: hai torto! 😛
    Anch'io preferisco "Il monaco nero" rispetto agli altri due racconti. Ho trovato "Dell'amore" stucchevole e "La fidanzata" ripetitivo.

    Tornando al monaco, dissento dal giudizio cha hai espresso circa il difetto di credibilità del racconto in quanto narrazione di un malato di mente. Il punto non è se si possa prestare fede ad uno schizofrenico, quanto piuttosto se questo schizofrenico sia credibile come tale. Qui abbiamo un docente, un intellettuale che medita su tutto, uno che si interroga per mestiere e che, quando comincia a soffrire di allucinazioni, anzichè piombare in un vortice di tormenti, accetta tutto con una passività disarmante, una assenza di problematicità che lo rende poco credibile e non coerente con se stesso. Spero di essere riuscita a spiegarmi decentemente…

    Non so se leggerò altro di Checov: nel mio caso non credo sia scattata la scintilla.

    Ciao 🙂

    L'Anonima Maiuscola

    reply
  • Anonymous
    29 Dicembre 2011

    Mi sono appena resa conto di avere sempre piazzato la "h" di Cechov al posto sbagliato.
    Sono errori che mi amareggiano…

    L'Anonima Maiuscola

    reply
  • 29 Dicembre 2011

    è vero, questa cosa della h sbagliata rende poco credibile tutto quanto hai detto, in quanto riferito a un altro autore, non a quello che intendevo io, che l'h la leggevo altro, quindi anche io ho ragione! 🙂

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  • Anonymous
    29 Dicembre 2011

    Il pareggio è sempre un buon risultato.

    L'Anonima Maiuscola

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