“Solo bontà” di Jhumpa Lahiri***

“Solo bontà” di Jhumpa Lahiri***

Ma lo sapete che non riesco a capire se questo racconto lungo mi è piaciuto o meno?
Cioè… Io di questa scrittrice, Jhumpa Lahiri, non avevo mai nemmeno sentito il nome, e quindi non mi dispiaceva scoprire chi è, come al solito, né leggere quel poco di bio e di cose che ha fatto. 
Leggo che ha vinto il pulitzer, per esempio, e che, come i protagonisti di questa storia, è bengalese, nata a London, ma vive a NY.
Perché sì, inutile fingere che non ci sia lei, dentro a questa sorella, Sudha, di cui si racconta, dal suo punto di vista, il rapporto con Rahul, suo fratello con problemi di alcol.
Due vite che devono emanciparsi, uscire dal bozzo dell’emigrazione di seconda generazione, che vede i genitori essere ancora in difficoltà, con le loro origini, anche se vengono dall’inghilterra, e non da Bengasi.
Genitori quasi ciechi, su certe cose, estremi, forse su altro.
C’è almeno un triplo binario, in questo “Solo bontà
Anzi, potremmo dire tre gradi.
Primo, la storia della dipendenza dall’alcol di Rahul, che viene raccontata dall’esterno, e ha luci e ombre. E’ corretto, per esempio, il modo con cui Sudha, alla fine, ignori i problemi del fratello, rincorrendo e costruendo la sua vita, pur cosciente che dietro, nascosto, si è lasciata qualcosa di irrisolto. L’ombra, invece, è data dal modo, soprattutto verso la fine, di trattare il problema alcol, che è un po’ troppo da pubblicità progresso, ovvero “non bere perché sennò vedi cosa ti succede e quanto sei fallito”- Solitamente, è il modo per ottenere l’effetto opposto, e in effetti, alla fine, la vita da fallito di Rahul è quella che ti dà meno malinconia, rispetto al castello di carte in cui vive Sudha.
Secondo livello, ovvio, le difficoltà di integrazione di una famiglia bengalese nell’america del “sì, okay, ti teniamo ma non sei dei nostri“. Diciamo che non mi è piaciuto il fatto scontato che l’autrice ne parli, ma non mi è dispiaciuto il taglio psicologico che ha dato alla questione, non descrivendo con accadimenti, ma con ragionamenti e comportamenti, soprattutto dei genitori, che a volte quasi ostentano la loro americanità.
Terzo livello, ed è quello che io trovo più interessante, anche se è sviluppato solo in parte, è il rapporto che Sudha, con la sua vita bella, un lavoro bello, gli studi che vanno bene, tutta mostra d’arte – ufficio e maritino, e infine un figlio, costruisce con suo marito. Ma basta una leggerezza, il fratello che ritorno col suo problema irrisolto, per gettare un velo su tutto questo. Chi è più vero? ti chiedi alla fine… Sudha o Rahul? 
E no. Non riesci a darti una risposta di un colore solo.
Per il resto, la scrittura di Jhumpa (bioparco, che nome anche questa… mi fa venire in mente la canzone gloriosa degli house of pain 🙂 è fluida e lineare, oserei dire quasi scarna, in certi passaggi, senza troppe sfumature. Si legge volentieri, comunque, anche se non è certo una di quelle che ti viene da sottolineare qualche paragrafo. 
Concludiamo, dai… che dire? Sì, una lettura che non fa male, ma forse, per dare un giudizio su questa autrice, c’è bisogno di qualche riga in più. 🙂
A proposito, adesso sto leggendo Ingo Shulz. Poi fanno pausa, e l’otto gennaio c’è Scerbanenco! Finalmente, un narratore italico! Me ne compiaccio. 🙂

Comments

  • Anonymous
    27 Dicembre 2011

    Su una scala da 1 a 10, per me "Solo bontà" si merita un onesto 6,5.
    Non brilla per stile, né per i temi proposti, ma ho trovato interessante la scelta di scolpire la storia a tre livelli diversi: quello dei genitori, monoliti appena abbozzati le cui fattezze impersonali finiscono per farli assomigliare a degli archetipi che incombono sullo sfondo; il fratello, il cui volto distorto prende vita attraverso le parole dell'io narrante acquistando uno status di semiriconoscibilità; ed infine l'immatura Didi, cesellata fin nel più intimo dettaglio.
    Nel complesso, la lettura non mi è dispiaciuta, ma non mi ha fatto venire voglia di affrontare altri lavori della Lahiri.
    Ciao!:-)

    L'Anonima Maiuscola

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  • 27 Dicembre 2011

    quindi la pensi più o meno esattamente come me, solo che l'hai detto meglio 🙂

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  • Anonymous
    27 Dicembre 2011

    Concordo con te sul giudizio dell'opera, certo, solo che la tua analisi si concentra maggiormente sui temi (cosa), mentre le mie considerazioni riguardano più che altro il metodo (come).
    Per usare il tuo metro di giudizio, per me questo libro merita due stelle e mezza.

    L'Anonima Maiuscola

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  • 27 Dicembre 2011

    ma no dai, due stelle e mezzo è tipo cinque e mezzo…
    e poi uso le cinque stelle per obbligarmi a decidere sempre se
    a) è valsa la pena di leggere il libro
    b) potevo farne a meno
    ma poi, stestelle non hanno tutta questimportanza 😀

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  • Anonymous
    27 Dicembre 2011

    Per me due stelle e mezzo valgono la sufficienza, mentre tre stelle su cinque implicano un giudizio che va dal discreto al piuttosto buono. Comunque sì, le stelle (ed i voti in genere) non contano poi molto.

    L'Anonima Maiuscola

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