Maestri del colore, 18: Toulouse-Lautrec

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Maestri del colore, 18: Toulouse-Lautrec

Mi prendo un momento e mi guardo questo “Maestro del colore”, uno di quelli che conosco abbastanza bene, per altri motivi.
Okay, non solo perché eoni fa ne vidi il film, che ricordo con piacere, ma era più sulla vita, ma perché era il pallino della sister ai tempi dell’arte istituita e quindi, di riflesso, guardavo i suoi lavori, soprattutto quel gatto nero che ossessivamente trattava con vari materiali.
E quindi ho pensato che mi fa bene passare un po’ di tempo a cercare quadri di Henry Toulouse-Lautrec in rete.
Anche perché, ve lo dico subito, quelli che questo numero 18 dei Maestri del Colore ha riportato sono quasi tutti tra quelli meno conosciuti e onestamente più bruttini del buon pittore francese,
Vedo di trovarvi di meglio,
Della vita forse sapete già, certo, ma giova ricordarlo. E’ nobile e intelligente e ricco, Henry, figlio di due cugini primi entrambi altolocati, ma è sfortunato. Si frattura, da giovane, entrambi i femori, prima uno e poi l’altro, con un calvario di operazioni e cure che lo lascia, di fatto, storpio, e taglia le gambe, è proprio il caso di dire, al suo futuro di sport e giochi e corse ecc. Niente, c’è da deprimersi, ma lui reagisce decidendo di diventare pittore.
Qui di fianco una foto per dir com’era.
Lui è del 1864, il primo degli incidenti è del 1878,  nel 1882 entra nell’atelier di Bonnat, uno figo, per l’epoca, facendo subito un sacco di progressi e passando a breve nell’atelier di Cormon, dove conosce altri pittori fighi (è dell’86 la conoscenza di Van Gogh e il trasloco a Montmartre).
Va detto che si interessa anche di teatro e di sport, anche, che gli stimolano altri quadri ecc. A Londra, nel 1895 incontra Wilde (si, Oscar) e poi viaggia in giro per l’Europa (Olanda, Belgio, Spagna, Portogallo). Continua a bere e a lavorare: nel 1899 ha dipinto di tutto (da manifesti a vignette, da litografie a disegni per libri) ma viene anche ricoverato per tre mesi tristissimi.
Ne esce, ma continua con la vita sregolata, tornando sempre dalla madre, isola di salvezza che lo accoglie, per l’ultima volta, nel luglio del 1901, nel settembre saluta tutti.
E’ il cantore di quelle che si chiama Belle époque, ma forse è qualcosa di più, aggiungo io. Forse è riduttivo pensarlo come pittore delle puttane, oppure no, forse è questo che è riuscito a essere, trascendendole. Certo, chiamarle ballerine a volte conviene, ma non ha dipinto solo quelle. Agli amici diceva “non ho mai anteposto niente al piacere di disegnare” e questo spiega molto, sul modo di intendere certi soggetti ed eternarli, dargli bellezza che non sanno di avere e che altri occhi, più pregiudizievoli, forse hanno. Io ho sempre trovato i suoi quadri dolci, dolcissimi, pieni di tenerezza, e non solo per una questione cromatica, di tinte e di stile. Son proprio le linee, le scelte sulle posture, il modo di recepirle… aveva l’occhio tenero, secondo me. Aspettate che vi cerco qualcosa.

Ecco.,, ve ne lascio una paccata, tutti molto belli, alcuni celebri e altri no:

Belli vero? Ma secondo me c’è di molto meglio, per dirvi di come e perché io lo trovi dolce. O almeno, parlo dei miei gusti. E’ uno che ti incanta, HTL.

Ma andiamo a vanti e parole.

Un suo vanto, per dire, è quello di non aver aderito a nessun movimento, a nessuna corrente, a nessuna difesa. Ammirava i vari Seurat, Gauguin, Degat, Monet e compagnia bella, ma non si schierava, è rimasto fuori dal fervore rivoluzionario e anche dalle scuole sorgenti.
E’ andato per la sua strada, essendo molto modesto, tra l’altro, almeno nel non paragonarsi a questi grandi maestri, maggiore dei quali di cui è debitore è Degas.
Passava per le stampe giapponesi appena scoperte, il suo entusiasmo, soprattutto per lui che – pur avendo provato l’en plein air – aveva deciso che non faceva al caso suo. Che dire… dipingeva i piccoli movimenti, Henry, ed erano perfetti nelle stampe, così fredde e pacifiche.
E infatti è nelle stampe, che regna e non ha rivali. Si inventa lui, quel tratto, quella stilizzazione di figure, l’uso di pochi colori, tratti nervosi ma fluidi: i suoi manifesti scandalizzano ed entusiasmano tutta Parigi.
Ci sarebbe da dire molto, e non mi dilungo, sulla scelta di Montmartre, terra di confine, legale, e di bellezza, come la sua condizione, di storpio, ma che trova il modo di non far provare compassione, di non farsi sottomettere, di rimanere in quel confine tra lustrini e tristezza.
E’ umano oltre misura, nel dipingere questo confine.
Ecco per dire, guardate la bevitrice, o anche Madame Poupole a la toilette, due che mi piacciono tantissimo. Capolavori davvero.

Ah, ovviamente devo mettere anche un altro ritratto, quello della madre, sua eterna comprensione, che però è anche donna molto religiosa e forse chissà, non certo morbida.
Eccolo qua:

Oh, ma aspettate, non vi ho messo nessuna stampa, da vedere. Che mona. Io non le apprezzo come i quadri, ma certo è che avere delle pubblicità così, da appendere… son gran cose!

Insomma… dinamismo e esseri umani, le due parole chiave.
Soprattutto, è chiaro, nelle donne. Yvette Guilbert, Jane Avril (sua unica sincera amica), Marcelle Lender… nomi dello spettacolo, di cui lui, seduto a schizzare febbrilmente sul blocco, è parte.
E adesso? Direi basta. Ci sarebbe da dire e mostrare molto. Fossi in voi un’occhiata ai suoi lavori, anche da wiki, io la darei. Sono eccellenze.
E per il raccontino? Non è facile. Vediamo se trovo qualcosa di strano, di laterale… non so.
Trovato!

Amiche
Stai su! Vieni di qua! Visto? Quello t’ha già guardata… E quello? Che maschio! E via così, a gonfiarle le orecchie di bisbigli, per coprire il can can furioso della musica, Yvette e Marcelle, vestite apposta di nero per lasciarle tutta la piazza. L’avevano fatta uscire a forza, lavata, profumata, pettinata, tolti gli occhi di pianto con un vestito, che se non le avessero fatto bere così tanto adesso starebbe lì, a tener le mani davanti ai capezzoli, pronti a fuggire a ogni passo. Dove siamo? Non siamo al Rouge? Chiedeva lei, scombussolata, incrociando gli occhi, bella a modo suo, sotto il trucco pesante. Non ti conosce nessuno qui! Nessuno sa che lavoro facciamo, Le avevano detto, e sì, quelle due erano pazze, erano pazze e le volevano bene e a lei, per la prima volta da quando Henry non c’era più, da dentro, a sentirsi donna, dopo tanto, e non puttana, era salito qualcosa che si era affacciato alle labbra.
Ah, finalmente un sorriso! aveva esclamato Yvette, stringendola più forte.

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