“Giù in fondo” di Leonora Carrington***

“Giù in fondo” di Leonora Carrington***

Giorgia legge libri strani. Se li cerca, di solito per colpa di qualche input esterno da chissà quale media o articolo, e poi se li compra. Foss’anche per spendere quasi una ventina d’euro per questo libercolo da 77 pagine della Adelphi. Che se non altro li vale, per serietà e qualità editoriale. Le serve per capire la mente umana, dice. E in effetti, un po’ questo ha senso, in questo senso.

Io ne approfitto, quando i libri sono così sottili, anche se poi va a finire che ci metto una settimana perché sono densi. Poi salta fuori che quello che pareva cosa sconosciuta serve solo a curare un po’ di ignoranza. Come questo “Giù in fondo” che credevo fosse di persona sconosciuta o quasi.

E invece… Meraviglie. Io non sapevo chi fosse Leonora Carrington fino a poco fa, dopo aver letto la suo bio su wiki, e altre cose interessanti. Anyway, per farla corta. Questo libretto è del 1944 ed è autobiografico. Lei, Leonora, ci racconta del periodo che va dalla fuga da casa sua, in Francia, credo, verso la Spagna, nel 1939, con i nazisti alle porte. Fuga di salvezza ma fuga della disperazione e del distacco, visto che Max, il suo compagno, era stato internato. Ma Max chi? Max Ernst! Il surrealista. Una storiona, la loro, pur pur a singhiozzi, e soprattutto una storia anche artistica. Eh sì, perché la Carrington è scrittrice, prima che pittrice. E già che ci siamo, al Guggenheim trovate questo, che vi lascio tanto per:

Insomma… questo libro è una parentesi buia di una vita lunghissima, vissuta per lo più in Messico, di una ribelle cronica, e contestualizzando direi che è un passaggio piuttosto rilevante per capire l’artista Carrington. Però visto che non me ne frega una mazza, direi di fermarmi a dire due cose del libro.

Sono memorie spaventosamente puntuali. Certo, la follia è fatta di buchi, ma dove si racconta anche la follia è davvero puntualissima, con poche lacune. Ah, non crediate di trovare una povera normale che viene internata e fatta diventare pazza. Leonare, in quel manicomio di Santander, in spagna, ci finisce da ricca, tanto per cominciare, e ci finisce pazza per davvero, anche se poi possiamo discutere sui trattamenti. Resta che i suoi ricordi sono ricordi lucidi di follia e credo sia l’aspetto più interessante. Non è un libro che ha intenti sociali, o di protesta, ma li ha pricologici, soprattutto.

Leonora racconta le sue follie, i suoi pensieri, le sue costruzioni mentali complicatissime per giustificare tutto, persino la guerra. I suoi deliri di onnipotenza e onniscienza, le sue fisse, i suoi deliri ossessivo-compulsivi… insomma… in pochissime pagine, con uno stile dinoccolato e volutamente sfilacciato, ci parla della follia. Anzi, ce la mostra. “Giù in fondo” (en bas) non è altro che un’area della casa di cura che ha idealizzato, dove si sta bene. Per lei è Gerusalemme, e alla fine ne sarà persino delusa.

Aspettate che vado a cercare un pezzo qualunque che vi mostri come sia lucida nel descrivere la sua follia col senno di poi. Dai vi copio questo estratto, secondo me davvero esemplificativo, anche se siamo alle battute finali della pazzia.

Tre giorni, forse, dopo la mia seconda iniezione di Cardiazol, mi retituirono gli oggetti che mi avevano confiscati al mio arrivo e me ne diedero qualche altro. Capii che con essi dovevo cominciare a lavorare: a combinare dei sistemi solari in modo da regolare la condotta del Mondo. Avevo alcune monete francesi che rappresentavano la caduta degli uomini a causa della loro passione per il denaro; quelle monete dovevano rientrare nel sistema solare come unità e non come singoli oggetti, la ricchezza non produceva più sventura. Il mio lapis, rosso e nero, senza mina, era l’intelligenza. Due bottiglie d’acqua di Colonia, una piatta: gli ebrei, l’altra cilindrica: i non ebrei. 

E avanti così, a dare un significato folle a ogni oggetto. Dalla cipria al rossetto. Che dire? Da leggere? Non lo so. Solo se vi capita, come è capitato a me. Se siete interessati a tutte le costole del surrealismo. O se siete interessati a una visione memorizzata lucidamente della follia. E ovvio, certo, se siete fan di Max Ernst, ché senza questo libro, la sua storia d’amore travolgente e inquieta con questa donna, non la si capisce bene.

Poi certo, se volete un libro diverso, diciamo “di culto” o se non altro poco reclamizzato e conosciuto, ecco, questo è un buon libro. Vi fa sentire più colti, questa esperienza raccontata. 

Ah… chiudo dicendovi che è importante notare la scelta della prima persona, che se da un lato ci garantisce verità, dall’altro potrebbe nascondere bugia… come tutte le cose insomma.

 

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