"Il mio romanzo viola profumato" di Ian McEwan****

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"Il mio romanzo viola profumato" di Ian McEwan****

Ho pochi minuti perché ho voglia di avere pochi minuti.
Perché subito vado sul fiume, a cercare di leggere qualche pagina di Meneghello.
Perché domani vado a Milano per vedere i National venerdì. E anche i Franz. E anche Umberto Maria Moltheni Stella Maris Martini. E non mi va di lasciar morire il blog, perché ancora qualcosa leggo. Poco. Pochissimo. Ma qualcosa. 
Di leggere non si smette mai.
Questo libro l’ho comprato in libreria mentre ero in cassa, costava 5euro.
Ho letto McEwan e mi sono ricordato che di McEwan non ho letto un cats, ma ho letto abbastanza per sapere che è bravobravissimo, con le parole.Magari chissà, un giorno leggerò i suoi libri famosi.
Ma per ora ho letto questo.
L’ho comprato per leggero a e con Giulia, e infatti gliel’ho regalato. E glielo devo pure restituire.
Dicevo, che è un racconto. Il mio romanzo viola profumato.
Ma ci sono due titoli, nell’indice, e io ho cominciato a leggere il secondo, pensando che fosse un racconto, e invece non è un racconto. E’ un saggio. Un saggio che se lo leggi con attenzione narrativa, anziché saggistica, non capisci un cats. E quindi niente, fate finta che sia solo il racconto, di cui vi parlo, anche se poi, del saggio, ho riletto, ed è interessante, ma non proprio così tanto. Il saggio si intitola “L’io” e parla di cervello, di natura umana, di se stessi e dell’idea della prima persona, che non fu cosa scontata nemmeno in narrativa. Le parti più interessanti, in effetti, sono state proprio quelle che raccontavano storicamente quando la narrativa ha cominciato a raccontare l’interiorità dell’autore. La filosofia, insomma, è scienza più antica della letteratura. E l’io, a causa dei social, è cambiato in maniera drastica e velocissima, si parte da questa considerazione. E basta, non vi parlo più del saggio.
Il racconto. Il racconto è bello. Molto.
Per alcuni motivi.
Il primo è che siamo di fronte a un racconto i cui protagonisti sono gli scrittori, due, e il narratore è uno scrittore. Lo sapete vero, cosa penso io dei racconti in cui il protagonista è “uno scrittore”? Che fanno cagare. Che sono anacronistici, ridicoli, e figli di dell’ego e dell’ingenuità. Come dite? L’ho toccata piano? Può essere. Ma McEwan la risolve ambientando il pezzo in un tempo in cui fare lo scrittore poteva essere ancora professione, e da quella partenza evita gli altri due problemi. Quindi ci lascia in mano una storia credibile, e dove l’ego c’è, ma è quello dei protagonisti, ed è proprio il tema centrale della storia.
Seconda cosa. Il racconto è di quella lunghezza che io adoro. Chiamiamola novella, se volete, qualcosa che sta tra le 50 e i 100k, e questo è più verso la distanza breve. Mi chiedeva, un tizio via mail che non ricordo chi fosse, delle storie corte da far leggere ai ragazzi per avvicinarli alla lettura. Ecco, questa è una di quelle storie. Scritto bene, semplice, e che, alla fine, ti fa fare “Ohh” e non come i piccioni cerebrolesi di Povia, ma un Ooh che ti aspettavi, che era già sotto i tuoi occhi e che ti viene fuori col sorriso. C’è un bastardo, in questa storia, e se ti può stare simpatico un bastardo, che fa una bastardata, ecco, qui c’è.
E poi? E poi niente. Non vi dico nemmeno di comprarlo. Nel senso che è il tipico libro che potete leggere in Feltrinelli stando seduti a prendere l’aria condizionata, quando avete un’ora da buttare.
Basta così, dài. Vado a farmi i panini, pollo-mayo-pomodorini-mozzarella. E poi prendo le birre, che le devo finire, visto che col ritorno mi metterò a dieta seria. E metto giù questo libro sopra pippi calzelunghe.  
Altre cose?
E’ uscito Eminem. E lo sto ascoltando. E mi fa capire che porcozio, è bravo. Inutile menarla. 
Sono usciti i Justice, i Mogway, ma devo ancora ascoltarli.
Ho fatto la sangria, e ho perfezionato le regole poetiche per il suo confezionamento. 
E poi niente. 
Sono senza soldi di nuovo e mi chiedo come ho fatto. 
Ma ho un bel blocco di Mirò su cui disegnare con dei pastelli bicolore.
E ho scoperto che Gaudì è oltre ogni cosa comunicabile in fatto di genialità.
Anzi. Vi dico che Gianfranco mi ha mandato una poesia di Tavan, da scrivere sull’osteria. La trovate qua, sul sito in friulano. ma io ve la scrivo qua sotto. Diffondere poesia può salvarci un po’, da questo mondo sempre più brutto, sporco e cattivo. 

La poesia e forse i gatti. I miei gatti neri. Che magari che ne so, ne volete uno, e io ve li faccio vedere. Sono neri, satanici, antifascisti. Un affarone, tranne che per le vostre tende.

Bum
di Federico Tavan

inclaudatz
uchì
a scrive
poesies.
E soi sigûr
che chista
e n’eis
poesia.
Eis la
storia de un treno.
E soi sigûr
che su chiel
treno
al era
un barbon
un emigrant
un operaiu
una
studentessa
un pare de
famea…
E soi sigûr
che al barbon
al à la mê
etât
cença dincj
cença ciavei
e al rît e
al vai
e a nol va
da nissuna banda
e nol à
nissuna valîs.
E soi sigûr
che
l’emigrant
al à
cincuantatrè ans
e al ven da
la Gjermania.
E soi sigûr
ch’al va in
Sicilia
e inta la
valîs
na stecja de
cjicolata.
E soi sigûr
che
l’operaiu
al lavora a
l’Alfaromeo.
E soi sigûr
ch’al à
coratadoi ans,
inta la
valîs
l’ultima
paa.
E soi sigûr
che la
studentessa
eis mitant
biela
e à
disissiet ans.
E soi sigûr
ch’a va a
jode Roma;
inta la
valîs
na machina
fotografica.
E soi sigûr
che al pare de famea
al à i ocjai
sessantadoi ans
un nevout a
Bari
e inta la
valîs
“la cena per
i suoi rondinini”.
E soi sigûr
che i stan
spietant alc
e i rît
e al treno
al rît
e li valîs i
rît
e la
democrazia
platada sot
i binarius
come sempre
a rît.
BUM

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