Maestri del colore, 10: Michelangelo

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Maestri del colore, 10: Michelangelo

Da tanto ho questo Maestro del colore lì, muffito, che gironzola per comodini e scrivanie e tavoli e sedili, senza che lo legga.
Eppure è il decimo numero, e la pagina con i dieci raccontini, secondo me è venuta proprio carina.
Perché non lo cagavo, il buon Michelangelo?
Non lo so. Non amo le cose vecchie, spesso, ma in questo caso direi che non era per quello. Forse pensavo fosse una tartaruga ninja, o forse, banalmente, avevo poca voglia di affrontare un Maestro del colore che ha fatto di tutto, e quindi, ha un sacco da dire.

Eh, sì, perché davvero, ogni tanto mi sembra che non sia umanamente possibile che ‘sto qua, cosentino, nato il 6 marzo del ’75 (14 e 75 eh), prima fa il pittore, poi lo scultore, l’architetto e il poeta e salcazzo cos’altro.
Probabilmente, fosse nato adesso, vincerebbe i mondiali.
Buonarroti Simoni, dovrebbero essere i cognomi, ma era uno così figo da riuscire a toglierseli, cosa che 500 e passa anni dopo riusciranno a fare tutti, anche quelli del Grande Fratello.
Ma basta stronzate, suvvia. Vi posso dire che ha gironzolato per Roma, Firenze e Bologna, sfuggendo vicende politiche, soprattutto. Vi posso dire che la pietà è del 1498-99, giusto per farsi un’idea dell’età in cui si fanno i capolavori.
Vi posso dire che si spostava di continuo tra Roma, Firenze, Carrara e Pietrasanta, prendendosi cura personale della cava per i marmi delle proprie sculture. Solo dal 1534 si stabilisce definitivamente a Roma, e da lì comincia a lavorare al Giudizio Universale.
Da quegli anni è anche amicissimissimo di Tommaso de’ Cavalieri e ama Vittoria Colonna, una poetessa, marchesa di Pescara. A Roma fa di tutto, architettonicamente parlando, peggio del prezzemolo: dal Vaticano a Palazzo Farnese, dal Campidoglio a diverse sculture.
Crepa vecchiardo, nel 1564, il 18 febbraio, venerato da Papi, imperatori, principi e poeti. Un grande già in vita, che ha segnato un secolo e i successivi. Quindi, sapevatelo, ci sono tipo una dozzina di libri, su di lui, nel reparto arte, ed è per questo che mi permetto di dirvi poco, in questo post, visto che ci sarebbe tanto da dire che diventa troppo e quindi non è affar mio.
Tanto per cominciare, giusto per rendersi conto di chi e cosa parliamo, mettiamolo subito in chiaro con queste immagini

Ecco… ora che abbiamo messo le cose famoserrime mondialmente, possiamo vedere cosa si dice di lui.
Interessante, subito, cosa dice lui, in una lettera del 1549:
Io dico che la pittura mi pare più tenuta buona, quanto più va verso il rilievo, et il rilievo più tenuto cattivo, quando più va verso la pittura.

Si capisce che dentro, alla fine, il Michelangelo è scultore ed è plastico, anche se sa fare bene anche tutto il resto. E già nei primi disegni a matita, quando era allievo dal Ghirlandaio, si vede che è quasi come se scolpisse, con il segno. Nel Tondo Doni, una tavola del 1503 dove raffigura la sacra famiglia, si vede un atletismo esasperato che è criticato, vista la sacralità del soggetto. Ve la metto qui di lato…

Ci sarebbe poi tutta una storia del lavoro per la battaglia di Anghiari, che doveva fare il  Leo (Da Vinci eh, non Messi) e quella di Pisa il buon Michelangelo, che non vi sto a raccontare e che, comunque, mette quasi in competizione il vecchio contro il nostro giovanotto.
Michelangelo, in ogni caso, fa solo i cartoni, e poi si mette a scolpire e si dimentica dei pennelli fino al 1508, quando stipula il contratto per la Cappella Sistina (nel 1510 a metà, nel 12, completa)
Anzi, è curioso dirvi che per lavori come la volta della Cappella, che insomma, è una roba impressionante, all’inizio non era certo nella testa del Buonarroti, che in una lettera dice tipo:
E’l disegno primo di detta opera furono dodici apostoli nelle lunette, e’l resto un certo partimento ripieno di ornamenti, come si usa.
Da notare, mi si dice, che cambia stile a seconda delle figure che rappresenta: “silenziose crudezze per le storie bibliche […] difficile potenza dei nudi e dei veggenti […] per gli Antenati una ferma essenzialità […] malinconica dolcezza nei gruppi serrati in meditazione.
Dopo aver fatto una Cappella si blocca ancora (okay, lascia cartoni e idee, ma non dipinge) fino al 1536, quando si accorda per il Giudizio Universale… perché, ‘sto qua, dipinge poco, ma quando dipinge, lo guarda e lo guarderà tutto il mondo per tutto il tempo. Lo completa nel 1541 e ovviamente i bigotti (alcuni) si scandalizzano (l’Aretino, per esempio) fino a far coprire dei pezzi di nudi con dei rivestimenti.
Ah, una curiosità, per dipingere il Giudizio, non solo deve distruggere – per motivi di spazi –  delle pitture del Perugino, ma pure due lunette che aveva dipinto lui. Non eseguì mai, e questo è un peccato, la caduta degli angeli ribelli, che comunque aveva in programma, pare.
Che dirvi, di tutto ciò? Che è il corpo umano, il fulcro della pittura michelangiolesca. Egli pensava addirittura di scrivere un trattato su: ” tutte le maniere de’ moti umani, e apparenze, e dell’ossa, con una ingegnosa teorica” e fu lui, mi si dice, a dare a Marco Pino (che non so chi cazzo sia) il precetto “che la figura sia piramidale, serpentinata, moltiplicata per uno per due o per tre” chiave spericolata del manierismo.

Altri dipinti?
La conversione di San Paolo (1542-1545) La crocifissione di San Pietro (1546-1550) e poi boh, io la chiudo qui, e anche lui, direi. E adesso passiamo alle cose che piacciono a me: i mostri!
O meglio, i demoni, nel caso del Buonarroti. Vi lascio, qui di fila, una carrellata di demoni e mostri che albergano là, nella Cappella romana, in cui, senza dubbio, il Michelangelo si è lasciato prendere un po’ la mano, fino ad arrivare a figure grottesche e molto, molto fighe!

Belli, eh? Sì, dai, son fighi. Peccato che quando ci vai non li trovi mai. Ma so già cosa tutti vi state chiedendo: e per il raccontino? Quale usi per il raccontino? Dai dai, usa uno di questi!
E invece no! Ho scoperto un quasi Michelangelo che è diventato celebre per un po’ delle solite chiacchiere mediatiche. Dico quasi perché non siamo sicuri al 100% che sia suo, ma secondo me lo è, o voglio pensare che lo sia. Viene da un’incisione di Schongauer, che lui ha ricopiato e dipinto. Potete leggere qualcosa sulla disputa in questo articolo, e vi dico che è uno dei quattro quadri (soltanto) dipinti sul cavalletto dal nostro Eroe, nel 1487-89, ovvero quando era a bottega dal Ghirlandaio e aveva 12-13 anni. E’ in Texas, ora, ed è stato venduto a un’asta da Sotheby’s per una cifra che non si sa ma mooooolto grossa. Non ve la faccio lunga, ma vi riporto questa cosa da Wiki che mi ha fatto sorridere, ovvero le parole di un critico che sottolinea come “nessuna parte coloriva, ch’egli prima col naturale non havesse conferita, si che andatosene in pescheria, considerava di che forma et colore fusser l’ali de pesci, di che colore gli occhi, et ogn’altra parte, rappresentandole nel suo quadro“, che poi, si mormora, sarebbe il primo. Insomma… sto parlando del Tormento di Sant’Antonio, un tecnica mista olio/tempera su tavola che vi metto qui mentre anche io me lo guardo e penso a una storia. 🙂

I tormenti di Antonio
Erano mostri, demoni, vampiri, creature repellenti e indegne.
Tony non aveva dubbi: quel martirio dava corpo a tutti i suoi timori.
Severino gli poggiava una mano sulla spalla, sfiorandolo col nasone gocciolante; Amilcare gli tirava la sciarpa, ridendo e sputazzando, mentre Tarcisio gli dava manforte, in uno scuotere di pelle vizza e rugosa, sul collo sulle guance. Adalgisa, col suo viziaccio di mettere le mani in faccia, e Nicodemo, le cui battute sarcastiche parevano bastonate, completavano l’assedio. Quando anche zia Armida si unì alla masnada, avvinghiandosi al braccio col suo fetore, credette d’essere tornato il piccolo e timido Antonio di decenni prima, con l’aria sempre mesta e imbronciata, a bighellonare per il borgo.

Organizzare quell’imponente, caotico e assurdo pranzo parentale, per festeggiare il suo ritorno dal Texas era stata davvero una pessima, pessima idea.

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