Maestri del colore, 43: Kandinsky

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Maestri del colore, 43: Kandinsky

E’ da tanto che non vedo un pittore, dai. e adesso cominciamo con i numeri casuali… scelti solo perché A) ce li ho B) me li voglio leggere.
Tocca a Wassily Kandinsky, che visto dal vero era bello bello bello e ne serbo un buonissimo ricordo anche se è russo. 🙂
Ordunque…
leggo che mi nasce a Mosca il 4 dicembre del 1866 e che studia a Odessa, città che dopo aver letto Levi mi pare una chimera portuale, e si sposa prima una cugina e poi una pittrice, trasferendosi a Monaco invece di fare il docente universitario come gli avevano offerto. Leggo anche che fonda un sacco di movimenti, che nel 1895 ha conosciuto gli impressionisti con una mostra a mosca, e che comunque a Parigi era già stato.
Fa cose e conosce gente: nel 1901 fonda Phalanx, nel 1902 conosce Munter, la donna pittrice cui si unisce per una dozzina d’anni, nel 1909 costituisce, in alta Baviera, la Neue Kunstlervereinigung (non ce li metto, gli umlaut, inutile che rompete le palle) e poi il primo acquarello astratto è del 1910, aspettate che ve lo metto…

Bello, tra l’altro. Comunque, si diceva che fa cose e vede gente, tipo Klee, MAcke, Kubin, Franz Marc e tutto verso il 1911 poi arriva la guerra e okay, pausa.
Torna a mosca e nel 1917 sposa una terza quaglia, stavolta russa (morta strangolata nell’80, tra l’altro), e questa se la tiene finché schiatta, cosa che farà nel 1944, il 13 dicembre, con ancora la torta in gola del 78 compleanno… no, dai, scherzo, c’era la guerra di nuovo, e lui aveva avuto la bella idea di diventare cittadino tedesco, e nel 1933, dopo la chiusura della Bauhaus (era un insegnante) è costretto a partire da Berlino per andare a Parigi, che almeno ha il gusto di vedere liberata (I simpatici tedeschi gli sequestrano tutte le opere e le vendono a prezzi irrisori).
Comunque sia la Munter, sia la terza quaglia pare avessero un sacco di quadri, rimasti dal buon Wassily e vabbè, insomma… fine, per quanto riguarda la vita.
E dell’arte, che dire? Che era un rivoluzionario! Ovvio… questo lo si sa, ma magari non lo si sa troppo. Tanto per dire è lui il primo a dire che l’arte astratta sarebbe stata l’arte del futuro e ci ha beccato in pieno, ed è tra l’altro rimasto uno dei più bravi anche a distanza di tre quarti di secolo.
C’è da chiedersi come ci sia arrivato, a questo percorso. Insomma… prima dipingeva cose più normali, con le figure, tipo queste:

Molto belle, tra l’altro. Poi però si è allontanato da queste cose, dopo i trentanni, tra l’altro (ed era un giurista, per dire), Diciamo pure che è schiavo del colore. Si capisce la devozione che prova per questo, più che la figura (lo sto dicendo io, non il libro, ma insomma, si capisce).
Un quadro che lo strega, per dire, è “Covoni di fieno” di Monet, che vede a Mosca e che gli provoca un sentimento misto: si incazza, perché non si capivano che erano covoni e pensava che un pittore non avesse il diritto di fare così, di dare così poca chiarezza… ma poi si rende conto che quel quadro è rimasto indelebilmente fissato dentro di lui, in tutti i particolari, per l’intensità della tavolozza. L’oggetto del quadro era screditato in favore di una forza e uno splendore molto più vasti e duraturi.
Insomma… arrivato a Murnau, studia, e pian piano si trasforma. Non dipinge un cazzo di notevole se non per l’abilità formale, ma comincia pian piano a detrarre forma e a far diventare i suoi soggetti – monti, villaggi, alberi – un puro pretesto.
Vi lascio qui un’opera poco conosciuta, giovanile, un San Giorgio e il drago, che insomma… a fianco del cavaliere, tipica icona, mostra già qualche cosa di nuovo.
Ma veniamo al sodo… anzi, a una sua frase, questa ve la riscrivo perché dice moltissimo:
Dovevano passare parecchi anni prima che io arrivassi, per via razionale oltre che per adesione sentimentale, al convincimento che la natura e l’arte hanno finalità (e dunque anche mezzi) essenzialmente, organicamente e storicamente diversi – finalità ugualmente grandi, e dunque ugualmente importanti… Questa convinzione mi liberò, mi spalancò davanti nuovi mondi.
Al figurativo comincia a contrapporsi il concetto di astratto. Si deve guardare le opere dipinte dal 1908 al 1912 per seguire la trasformazione: la rappresentazione cede il posto alla composizione e alla improvvisazione.
Sempre del 1910 è il trattato: l’elemento spirituale dell’arte, che sicuramente conoscete, e se non lo conoscete c’è wiki e google.
E io ora vi faccio vedere un po’ di quadri, di quelli famosi.

E insomma… lo studio è sul colore e sulle forme, a ognuno assegna significati, messaggi, in una grammatica dell’astrattismo che lo rende senza dubbio maestro indiscusso e precursore inarrivato.
Tipo questo qua sopra, per dire, è il diluvio universale… mentre questo qui sotto è Macchia nera I
Ciò dovrebbe dirvi molto del suo range di interpretazione dell’astrattismo.

E adesso basta parole… è ora di alcuni quadri che magari non avete visto e del raccontino.
Vediamo…
Guardate per esempio questo lavoro giovanile, La dama russa (1905)… meraviglioso, secondo me.

Oppure guardate Improvvisazione n° 6
che è brutto, ma fa capire come sia “per strada” il buon Wassily
E subito dopo vi metto l’improvvisazione 26, di tre anni dopo (1312)

e poi vi ho messo, qui sopra, la 34.
E adesso basta improvvisare… Vi lascio ancora qualcosa, a cominciare da Azzurro cielo, visto, che era davvero bellerrimo.

Ho scelto questo… e sono andato a cercarmi un monaco russo, per l’ispirazione.

L’isola

Del processo farsa e della condanna all’esilio, Dmitrij Pavlovic ricorda ben poco, ma non ha interesse a farlo. Si è addormentato lungo il viaggio, e nel dormiveglia il secondino che guidava la carrozza, gli è parso portare una lunga barba ricciuta, minacciosa sopra il bavero alzato. Sorrideva.
Si è svegliato in un deserto vermiglio, che terminava con una costa lineare, a strapiombo sul mare blu. Ha camminato per ore, tenendo l’acqua a sinistra e seguendo la costa fino a un angolo di insospettabile perfezione. Davanti al suo sguardo l’acqua pareva meno profonda – il blu digradava in azzurro – e oltre una sottile striscia di terra nerastra aveva scorto una vasta pianura, verdissima. Aveva notato, in lontananza, diverse costruzioni: una torre circolare, nera, senza porte o finestre, in mezzo al verde, altre con le stesse fattezze, dalle tinte inverosimili, che si innalzavano fra alle onde, irraggiungibili. Si siede, disperato. Stranamente non ha fame, né sete. ma le vesciche ai piedi lo tormentano. Che stregoneria è mai questa? Si alza e prosegue, verso nord, oltrepassando la striscia nera, il rosso e camminando in equilibrio tra il verde e una sabbia finissima e biancastra. Dovrà pur esserci una fine…

Comments

  • 14 Marzo 2015

    Ho ancora il catalogo di una mostra itinerante di più di 200 dipinti di Kandinski organizzata, credo, dall'ultima moglie o figlia,ma molti di quelli qui sopra non li ho visti e fa piacere di ritrovare questo pittore col suo linguaggio fatto di segni,geroglifici, linguaggio stenografico che non si sa da dove siano venuti. Fattostà che non si é limitato a capovolgere o misciare le lettere del nostro alfabeto per tradurle in cirillico ma ha inventato un linguaggio tutto suo. E questo a partire delle sue prime esperienze che avrebbero potuto accantonarlo con i fauvistes.
    Pertanto i colori, in molti casi sono tipicamente russi( I rossi sono spesso dei fucsia, i blù oltramarini più freddi che da noi e sempre tali e quali come escono dal tubo e nelle composizioni si puó dire che é anche orientale. I titoli sono spesso lì solo per identificare il dipinto.
    A proposito di Odessa, la canzone O sole mio di Eduardo di Capua fu scritta proprio a Odessa nel 1898 mentre lui e suo padre si trovavano li per lavoro.Questa città é conosciuta in Russia per le barzellette sugli ebbrei (Molto presenti da sempre). Per finire: Una coppia di ucraini entra in un albergo e chiede se c'é una camera e l'impiegato risponde: – Adesso no. -cosa ha detto? Chiede la moglie. -Ha detto che per quelli di Odessa non ci sono camere.
    Questo proviene dalla confusione che fanno i russi come gli ucraini con la lettera O che per loro si pronuncia sempre A salvo quando c'é un accento. Mandi

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