"Barnabo delle montagne" di Dino Buzzati***
Prima che io dia due stelline a Buzzati, dovrete passare sul mio cadavere. Questo è chiaro. Però vi devo anche confessare che questo Barnabo delle montagne è imperfetto.
C’è poco da fare, ho faticato a entrarci e solo nella seconda parte, quando Barnabo non è più “delle montagne” ma è altro, sono riuscito a veder scorrere un po’ le pagine.
Fatto sta che è da un bel po’ che riposa qui, vicino al pc, in attesa di essere riposto vicino agli orsi e al bosco vecchio.
Aspettavo che mi venisse l’ispirazione per parlarne, e non mi veniva, e anzi, praticamente non dico che ho cominciato a dimenticarlo, ma la prima parte, la presentazione di Barnabo e dei guardiaboschi, mi sta risultando un po’ nebulosa.
Andiamo per ordine, però, e cominciamo con finire questo latte caldo che mi sta a fianco e questo panettone siciliano glassato al pistacchio di Bronte mentre ascolto i Radical Face. Gran disco, quest’ultimo, e dovreste sentirlo solo perché è suonato solo con strumenti disponibili fino al 1910. Curioso, vero? E’ piuttosto magica, come atmosfera, ed è forse questa sorta di magia, che manca a questo Barnabo.
C’è, e questo trasuda da ogni pagina, l’amore di Barnabo/Dino per la montagna, la sua purezza, la sua essenza, per così dire. Ma non basta questo, per dare alla storia un colore deciso, anche se ha molte sfumature. E diciamo che, in nuce, ha tutti i temi buzzatiani, tranne forse quel fantastico che forse arrivarà in seguito.
Anzi, facciamo così, lo sezioniamo, questo “Barnabo delle montagne”, anche se prima direi che vi meritate un po’ di trama, che potete leggervi sulla wiki, ma vi posso anche raccontare io. Barnabo il guardiaboschi vede segnata la sua vita, una vita che gli piace, in montagna, tra i suoi colleghi, a far la guardia alla polveriera, ecco, la vede segnata da un atto di vigliaccheria, un voltare le spalle nel momento in cui avrebbe dovuto affrontare i briganti, rischiare la vita. La paura è umana, insomma. Ma gli costa il posto, e finisce in pianura, a fare l’agricoltore, e insomma, ci si abitua, sì, ogni vita è bella, se vissuta con serenità, ma le montagne… sì, le montagne. E il riscatto, che si aspetta una vita.
E arriverà, quell’occasione…. e Buzzati la risulvorà a modo suo.
Dunque, dicevo di sezionarlo, ma prima vado a metter su il caffè. ché io non ho dormito niente, e pazienza, tanto vale che non ci provi più.
Tanto per cominciare c’è la tristezza, anzi, che dico, la melanconia, che attraversa il romanzo. Forse è la stessa che ti danno le montagne, con la loro bellezza intoccabile, quella malinconia che non è cattiva, ma è sempre presente. E non è solo la delusione di Barnabo per se stesso, e per quel che gli succede. Ma è anche quella che prova per le cose giuste della vita, per la sua cornacchia che lo deve “lasciare”, per la cena che prepara con zelo per tutti gli altri e che invece… insomma, un misto di delusione e accettazione, che ritroveremo, poi, sian nel bosco vecchio, sia nei Tartari.
Poi c’è l’affetto e la simbiosi animale-uomo. La natura, insomma, che tocca il punto più vicino proprio con la cornaccia che Barnabo alleva e cura, e che resterà con lui. Certo, la natura è dentro la montagna, ma anche nella pianura, è nei comportamenti umani, è in una conoscenza che hanno i guardiaboschi delle leggi che la governano, a volte crudeli.
E c’è anche l’attesa. Molta attesa. Non tutta quella del deserto, ma c’è quella dei briganti, del riscatto, dei guardiabnoschi… insomma, E’ empre lui, Bàrnabo, con l’accento sulla prima a, mi raccomando, che aspetta ed è sempre attraverso i suoi occhi che noi, lettori, la gestiamo e filtriamo. Occhi giovani e ingenui. Ecco, l‘ingenuità… altro elemento di questo libro. vi dico tre momenti, uno, quando Barnabo, sciocco, quasi rimane stupito al suo licenziamento,anche se lo sapeva benissimo, se sono le regole, se sa che non c’erano altre vie d’uscita, eppure… spera. Due, lui che sciocco spera di nuovo di essere richiamato, reintegrato, e invece finisce come un parìa, in questa casta di guardiaboschi, che un po’ sul cazzo, alla fine, devo confessare che mi stavano.Eppure lui, Barnabo, darebbe un braccio per tornare a essere ciò che era, salvo accontentarsi poi di ciò che la sua natura anela veramente, ovvero la montagna. Tre, la scena clou, la parte migliore del libro, la battaglia dell’eroe con la cena che egli prepara e i briganti che – non dimentichi delle loro promesse – tornano per vendicarsi.
E poi? Non so. Vi potrei dire la scrittura di Dino, quel suo essere semplice ma estremamente profondo ed efficace, ma non ve lo dico, perché secondo me non è così. Soprattutto all’inizio io ho fatto fatica, anche solo a “vedere” la casa dei Marden, e questo ha un po’ influito sul resto.
Insomma… chiudiamola e riponiamo il libro.
Questo “Barnabo delle montagne” è da leggere o no? Vale la pena?
Dunque… se siete amanti di Buzzati (e chi non lo è? chi essere umano e lettore non può amare Buzzati e i suoi racconti) dovete leggerlo per completezza, sapendo che ha un ruolo nella sua produzione successiva e che comunque, alla fine, una storia la racconta. Chi invece, non ha questa pretesa, confesso che può mettere questo libro in coda, o anche evitarlo. Si legga i racconti, si legga il segreto del bosco vecchio, si legga l’invasione degli orsi in Sicilia o anche il Reggimento parte all’alba.
A proposito, il libro che vedete, la copertina lassù, è un disegno delle stesso Buzzati, a china, che così aveva in mente il suo Bàrnabo. E io chiuderò il post con un altro quadro di Dino, o due, che adesso vado a cercare, e uno scan di una pagina presa a caso, se mi piace…
Dodici guardiaboschi, con un cappello verde, su cui qualcuno mette una piccola piuma. Sulla giacca un distintivo che rappresenta lo stemma del paese. Il capoguardia, Antonio Del Colle, con i baffi bianchi è già ormai vecchiotto, ma si arrampica ancora bene per le montagne, porta i càrichi e quando spara il fucile nessuno l’ha mai visto sbagliare. Il suo schioppo inglese è sempre chiuso nella custodia di cuoio. Sulle canne c’è disegnato un serpente che si attoreiglia fino alla bocca. Di solito Del Colle ne adopera un altro, un fucilazzo da non aver tanti riguardi, che aveva trovato nella sua casa. Del Colle è piccolo di statura; lo si vede bene da lontano con il suo passetto dondolante; si ferma ogni tanto a guardare. £ vecchio, lui, della montagna; vede le malattie degli abeti, conosce il canto di tutti gli uccelli, ricorda tutte le più piccole strade. Sente il cattivo tempo che si avvicina. E li conosce bene i suoi compagni: il sottocapo Giovanni Marden e poi Giovanni Bertòn, Paolo Marden, cugino del primo, Pietro Molo, Francesco Franze, Berto Durante, Angelo Montani, Primo e Battista Fornioi, Giuseppe Collinet, Enrico Pieri e Bàrnabo, che lo chiamano solo per nome, e sarà poi il Bàrnabo delle montagne.
Anonimo
Il Barnabo! L'ho letto qualcosa come 7- 8 anni fa, non è al livello dei 60 racconti ma è comunque carino.
Matteo Bigarella
gelo stellato
ma si, poi alla fine, riflettendo, ha il suo perché 🙂