La felicità terrena di G. Mozzi***
Torniamo a parlare di libri va, che sarebbe ora.
Ormai è passato quasi un mesetto che mi sono letto questa raccolta di racconti che a Ian non piaceva per nulla e che mi ha gentilmente donato, privandosene a malincuore (lo si capiva dalla frase sibillina “Te lo puoi anche tenere”)
Ebbene, vi dirò, a me questo libro è piaciuto.
Bisogna capirsi, però.
Dipende da quello che vi piace leggere. Se vi piacciono le piccole storie, con i piccoli gesti, i pensieri comuni, le persone di provincia, i difetti e le piccole paranoie che sono di tutti noi. Beh, allora è un libro che vi piacerà, perchè più o meno di questo si tratta. Sono episodi che non si basano tanto sulla trama, quando sulla descrizione delle persone e dei loro pensieri. E viene proprio da chiamarle storie, più che racconti.
Spessissimo hanno l’aria autobiografica e probabilmente lo sono. Ma la cosa non è certo un segreto, perché l’autore, a volte, si chiama tranquillamente per nome e non ne fa mistero.
Sono storie, peraltro, che danno il loro meglio durante, la lettura, piuttosto che dopo. Ora come ora, quel che mi è rimasto non è che una piccolissima percentuale di quel che è successo dentro questi racconti; ma se vado a rileggerli mi ricordo subito, non tanto dei fatti, quanto degli stati d’animo dei personaggi, ed è un pregio.
Lasciandovi qualche indicazione sui vari racconti, così, per farsi un’idea, vi posso dire che tra i più riusciti c’è quello in cui si racconta della AnnaMaria, che le muore il bambino a 4 anni e vive fingendo che esista ancora, con mezzo paese che la compatisce e mezzo che la asseconda, oppure quello dove Lele trova un portafoglio con due milioni (i racconti fotografano l’italia di una ventina d’anni fa) e alla fine li spende e se li fa rubare in una notte che gli lascia solo un vuoto; oppure ancora Michele che corre (fa jogging, diremmo oggi) e pensa a sè e al suo rapporto col mondo; o infine storie toccanti come quelle della Tilli, un po’ strana, che in realtà è un catalizzatore per raccontare le vite fallite dei giovanotti di belle speranze della provincia italiana anni ’80, Oppure di Vanessa, che lavora in posta e che ci mette una vita a fare un conto corrente, perchè è un po’ pazza e crede che il diavolo abiti lì dentro.
Storie, insomma. Non c’è fantastico, non c’è avventura, non c’è thrilling, non ci sono galline sgozzate, fate impalate, killer incalliti, draghi parlanti, lame rotanti investigatori saccenti.
E’ un libro vintage, questo. Non vi consiglio l’acquisto, ma diciamo che se vi capita di vederlo su qualche scaffale dell’usato a qualche spicciolo e vi interessa il genere, potreste anche comprarlo.
Ormai è passato quasi un mesetto che mi sono letto questa raccolta di racconti che a Ian non piaceva per nulla e che mi ha gentilmente donato, privandosene a malincuore (lo si capiva dalla frase sibillina “Te lo puoi anche tenere”)
Ebbene, vi dirò, a me questo libro è piaciuto.
Bisogna capirsi, però.
Dipende da quello che vi piace leggere. Se vi piacciono le piccole storie, con i piccoli gesti, i pensieri comuni, le persone di provincia, i difetti e le piccole paranoie che sono di tutti noi. Beh, allora è un libro che vi piacerà, perchè più o meno di questo si tratta. Sono episodi che non si basano tanto sulla trama, quando sulla descrizione delle persone e dei loro pensieri. E viene proprio da chiamarle storie, più che racconti.
Spessissimo hanno l’aria autobiografica e probabilmente lo sono. Ma la cosa non è certo un segreto, perché l’autore, a volte, si chiama tranquillamente per nome e non ne fa mistero.
Sono storie, peraltro, che danno il loro meglio durante, la lettura, piuttosto che dopo. Ora come ora, quel che mi è rimasto non è che una piccolissima percentuale di quel che è successo dentro questi racconti; ma se vado a rileggerli mi ricordo subito, non tanto dei fatti, quanto degli stati d’animo dei personaggi, ed è un pregio.
Lasciandovi qualche indicazione sui vari racconti, così, per farsi un’idea, vi posso dire che tra i più riusciti c’è quello in cui si racconta della AnnaMaria, che le muore il bambino a 4 anni e vive fingendo che esista ancora, con mezzo paese che la compatisce e mezzo che la asseconda, oppure quello dove Lele trova un portafoglio con due milioni (i racconti fotografano l’italia di una ventina d’anni fa) e alla fine li spende e se li fa rubare in una notte che gli lascia solo un vuoto; oppure ancora Michele che corre (fa jogging, diremmo oggi) e pensa a sè e al suo rapporto col mondo; o infine storie toccanti come quelle della Tilli, un po’ strana, che in realtà è un catalizzatore per raccontare le vite fallite dei giovanotti di belle speranze della provincia italiana anni ’80, Oppure di Vanessa, che lavora in posta e che ci mette una vita a fare un conto corrente, perchè è un po’ pazza e crede che il diavolo abiti lì dentro.
Storie, insomma. Non c’è fantastico, non c’è avventura, non c’è thrilling, non ci sono galline sgozzate, fate impalate, killer incalliti, draghi parlanti, lame rotanti investigatori saccenti.
E’ un libro vintage, questo. Non vi consiglio l’acquisto, ma diciamo che se vi capita di vederlo su qualche scaffale dell’usato a qualche spicciolo e vi interessa il genere, potreste anche comprarlo.
Titolo: La felicità terrena
Autore: Giulio Mozzi
Anno: 1996 – Pagg:171
Edizioni: Einaudi
ISBN: 88-06-14069-8
Anonymous
grazie per la segnalazione
adoro il genere…
:))
banshee
gelostellato
ehi
sono stato utile
figo 🙂