Ir, vuê, doman… il mês passât

Ir, vuê, doman… il mês passât

Questo sito che doveva essere un sito di autore è così poco d’autore che la news che vi do ha ormai più di un mese. Credo fosse infatti il 12 maggio, giorno più giorno meno, era un lunedì, la sera della premiazione del concorso “Ir, vuê, doman” di Gemona del Friuli.

Un concorso di narrativa per ragazzi, ma anche opere didattiche, ma anche sezione dei ragazzi. Credo di averlo vinto già un sacco di anni fa, perché a casa della vecchi c’è un diploma uguale identico a quello che mi hanno dato. Purtroppo non so con cosa vinsi, perché è riportato il “motto” che serviva a mantenere l’anonimato di partecipazione, invece che il titolo dell’opera/lavoro/queldiavolocheè.

Vabbè, ma non facciamola lunga. Oppure sì, facciamo lunga. Ho vinto in questo 2025 e stavolta, visto che è passato solo un mese, mi ricordo benissimo anche con cosa. Era un racconto nato nel gennaio 2024, il primo dell’anno, quando ero andato a camminare col mio libro del primo dell’anno proprio a Gemona, laddove dal Tagliamento viene tolto, come una costola, il canale Ledra (che non ha nulla a che vedere con il fiume Ledra eh). Riflettevo, all’epoca, su come il canale ledra, opera irrigatoria della prima metà del secolo scorso, dirami le sue acqua in rivoli e piccoli canali che diventano identità per i paesi piccoli. Il nome viene addirittura volgarizzato e diventa – in friulano – sinonimo di piccolo canale. La ledra, qui a Sclaunicco, è un posto dove si pesca, dove si prende l’acqua per gli orti, dove si tirano i sassi, dove si guarda le rondini mangiare i moscerini quando sta per arrivare un temporale, dove possono esserci delle anatre, dove una volta, da giovani, ci si poteva addirittura buttare dentro, presi per mani e piedi, negli atti più scellerati della goliardia. Qualcuno negli anni ci è morto, qualcuno quasi, ma molti godono del beneficio acqueo, che corre dietro gli orti e porta suono e pace. Insomma… Un canale per l’irrigazione, anche se ora non viene più usato ed è spesso in secca, quando non lo è, rende i posti migliori. Si vive sempre bene quando vicino hai l’acqua che corre, perché ci aiuta a venire a patti con il tempo.

Bene.

C’era questo concorso ed era del paese in cui c’è questa diramazione. E io avevo queste idee che mi giravano per la testa. E ho scritto. E’ l’ultimo racconto scritto in lingua friulana prima che smettessi definitivamente di. Ora che ci penso ha quasi un anno di vita. Non credo ci fossero molti partecipanti, ovvio, ma era uscito bene. Una storia di paese, di vita, di morte, di spiriti e rimorsi. Era un racconto di formazione, per adolescenti. Rientrava appena nella categoria, secondo me, ma mi piaceva.

Poi la cosa bella non è solo che ho vinto io, ma che ha vinto pure questo individuo che vedete qua di lato, con la sua espressione più intelligente. Lui ha vinto la categoria didattica, con un racconto-game, che conteneva una caccia al tesoro.

Così abbiamo festeggiato. Panino birra e foto con le nostre espressioni migliori.

E siccome non vi scrivo solo per dire ho vinto qualcosa, ovviamente, vi lascio l’incipit del racconto, e ve lo traduco alla buona per i non friulanofoni. Visto che è l’ultimo in questa lingua, potete anche vederlo come un piccolo testamento.

 

 

Luvin

 

E di chê strade dâi di tete,

tant che mari gjenerose,

a borcs, andronis e paisuts,

cui lôr mulins, lis canaletis,

cu lis pissandis e i cifons,

dulà che a smalitin trutis,

passudis di sanguetis.

 

 

Prin di tacâ a vignî chi, a pensâ a la vite e a la muart, sentât sui puartelons di fier, cu lis gjambis a pendolon come il batecul di un orloi cence numars; in polse, inmatunît dal contâ lis grispis de aghe, che an dopo an e cambie muse cence mai invecjâ, no varès mai dite che il luvin dal Friûl si cjati propite achì, a Glemone, a une spudade de Pontebane e dal cori e cori e cori, in dì di vuê, di int e di machinis, come une lame di see, che e pâr vê voie di dividilu, chest Friûl.

 

__________

Prima di cominciare a venire in questo luogo, a riflettere sulla vita e sulla morte, seduto sui portelloni in ferro, con le gambe penzoloni come un batacchio di un orologio privo di numeri; riposando, intorpidito dal contare le rughe sull’acqua, che anno dopo anno cambia volto senza invecchiare mai, non avrei mai detto che l’ombelico del Friuli si trovi proprio qui, a Gemona, a uno sputo dalla Pontebbana e dal correre e correre e correre, al giorno d’oggi, di persone e automobili, come la lama di una sega che sembra abbia voglia di dividerlo, questo Friuli.

Post a Comment

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.