“Ombre dei vivi e dei morti” di Lucio Besana***

“Ombre dei vivi e dei morti” di Lucio Besana***

O madò, da secoli che non aggiorno il sito con un libro. E se internet continua a saltare come un canguro mi sa che non lo farò nemmeno stanotte. Ma ci provo. Che poi… il motivo è che è da altrettanti secoli che un libro non lo leggo. E il motivo è che sto facendo i corsi di abilitazione e blablabla… e pure lavorando, okay. Ma alla fine, il motivo per cui sono riuscito a leggere il libro è proprio lo stesso per cui non li leggo.

Nel senso. Ero dal vampiro, a rubargli un giaciglio proprio perché i corsi live li devo fare a Milano e mi son fatto una paccata di km in questi ultimi due mesi. E insomma… io vado a letto tardi e mi sveglio presto. E in mezzo spesso manco dormo. Muoio un paio d’ore e poi risorgo e boh, son fatto così. E quindi succede che da lui alle sei e mezzo già son sveglio. E dopo ‘na mezzora mi son reso conto che avevo scrollato tutto l’internet e che non avrei ridormito e allora mi sono alzato e ho fatto come fossi a casa mia, e gli ho rubato un libro dagli scaffali e mi sono divanato come una merda a leggere.

No, non l’ho finito. Questi della vampiro family alle 8 e spiccioli si sono svegliati, ma insomma… ne ho letto comunque una buona metà. E la scorsa settimana me lo sono finito. Anche perché l’avevo scelto apposta. Una novella, e io adoro le novelle. Sono corte. Soprattutto come quelle che fanno in questo formato tascabile. Trovo che la distanza della novella, tipo che ne so, 30-50, anche 70k, roba così, un centinaio di pagine insomma, o poco meno, ecco, trovo che sia la distanza ideale per l’horror, il fantastico e il weird. Quelle cose lì che mi piace leggere e pure scrivere.

Vabbè. Ma venendo al libro, poi, ho pigliato questo perché era di Zona42, come quello di Gigi, Pupille, e già sapevo che buono o cattivo fosse il racconto, la produzione era sicuramente buona. E infatti… libro fatto bene, questo “Ombre dei vivi e dei morti” di Lucio Besana. Che poi scopro essere anche sceneggiatore e altre cose, ma boh, col libro non c’entra. Scrivere è scrivere, scrivere per le immagini è un’altra cosa. E poi io l’ho scoperto 15 minuti fa. Ma di cosa stavo parlando? Ah, sì, del libro. Curato, dicevo. C’erano pure i segnalibri e una dedica, ma credo fossero per il vampiro. Che tra l’altro, povero, manco è riuscito a leggerlo, visto che gliel’ho rubato. Toccherà andare a riportarglielo, prima o poi.

Ma… ah, sì, scusate. Mi son perso di nuovo. Tra l’altro, bello questo disco nuovo di Father John Misty. Ma quello di Kendrick mi piace di più. Ma il primo va meglio, per questa storia. Una storia di montagna. Uno di quei libri dove si decide fin da subito che il luogo è un personaggio, e anche uno tra i principali. Scelta sempre pericolosa, perché è più difficile dare un senso alle volontà, agli atti del luogo, che hanno sempre quel senso di trascendenza e immutabilità. Anche qui è così. La Valle, è il personaggio. E siamo in montagna. All’inizio, quando cercavo di capire il luogo, mai esplicitato, ho più volte pensato al Vajont. Per la diga, soprattutto. E la povertà, e la chiusura delle anime, e la solitudine. Gli anfratti umani che si rintanano in luoghi così. E poi c’è la questione sociale, la solita. Lo schiacciamento del progresso sulla natura e l’uomo, quello povero, in mezzo. Quando via via ho capito che si parlava di luoghi del nord-ovest, devo ammetter che non è cambiato molto. La Valle è un archetipo. Se lo pensate così, diventerà un personaggio molto valido. Anche perché c’è una scelta, nella novella, che mi ha un po’ indispettito. Mancano i nomi. Scelta che forse su un racconto breve è gestibile ma qui, all’allungarsi delle pagine, quando alcune analessi erano necessarie e appena appena complesse, si fa un po’ fatica, ecco che dover parlare di “il nonno” “la sorella del nonno” “la prozia” ” la sorella” “la zia del cugino…” okay, non così ma ci siamo capiti. Vada per il protagonista, che gestisce una prima persona  e possiamo fare a meno di etichettarlo. Ma gli altri, almeno ad alcuni, io i nomi glieli avrei dati.

A parte ciò, la scrittura è buona, secca, adatta alla storia e a una prima persona al classico passato remoto, con un lungo racconto a noi, che la vogliamo stare a sentire. Alla fine, il mistero della Valle, il confine tra umano e ciò che umano non è, con le vicende che camminano proprio su questo crinale, alla fine regge. Lo finisci e sei abbastanza soddisfatto. Credo sia soprattutto per validità con cui è riportata l’ambientazione e la sua antropizzazione, che alla fine scopri nascere da esperienza diretta dell’autore. E poi c’è il forte impatto folkloristico, il pescare nella mitologia montana. Le creature, le entità, gli spiriti, questi Kodama poco pacifici, se disturbati, di cui alla fine scopriamo ben poco, non sono decisamente protagonisti. Compaiono, sono la spinta della narrazione, ma non ne fanno parte, se non in un paio di frangenti, a inizio e alla fine della storia. A me è andato bene così, ma se qualcuno mi venisse a parlare di coitptus horror interruptus, be’, non gli posso dare del tutto torto.

Il fatto è la scelta della prima persona. Ché non poteva certo reggere troppi colpi di scena e troppo orrore vissuto, ma doveva accontentarsi di quello raccontato (la nonna, la prozia, il nonno, il padre…) e intravisto (il fratello). E’ una storia vista da lontano, insomma, narrata da chi, dalla Valle, è riuscito a fuggire, a stare lontano, a non farne parte. Ho pensato, dopo averlo finito, che avrei voluto avere il punto di vista del fratello, che della valle ha fatto parte e ne è stato fagocitato. E che sia stata una discesa all’inferno o all’eterno non sappiamo. Possiamo, alla fine, farci un’opinione.

Poi? Che vi devo dire. Che son passato a Kiwanuka. Anche lui… bel disco, ma leeeeento. No. Avrei voluto un po’ più di cattiveria, dico nel libro, sì. Anche nel disco, certo. Sarei stato anche felice di qualche pagina in più. O magari qualcuno in meno sui fatti non vissuti dal protagonista, che partono bene, ma si raffreddano, sepolti dalla storia che avanza. Voglio dire, se nelle prime pagine ti si ammalia con un racconto di un gigante che vive in una grotta e ammazza un po’ di poveri operai. Ecco… io lo voglio tenere in caldo, voglio ritrovarlo, e ritrovarlo nello stesso modo. Invece qui sparisce. E quel che torna è lui senza essere lui. Sì, lo so, mi son spiegato male. Ma io mi sono capito. Voi potete leggervi il libro. Oppure lo andate a rubare a casa del Vampiro, appena glielo restituisco.

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