“Felicità” di Katherine Mansfield***

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“Felicità” di Katherine Mansfield***

Oggi è una di quelle giornate consacrate a Murphy, e non intendo l’attore.
Sono andato a restituire le chiavi del mio ex-lavoro numero 2 e le ho mescolate con quelle del numero 1 rimanendo chiuso dentro in biblio e mi scappava pure la pipì e avevo un gran bisogno di un caffè e poi la cosa più comica è stato uno che bussava e gli ho dovuto dire che.
Poi mi serviva della spesa, per i vecchi, che hanno il frigo vuoto e maggio ne ha 31, e allora sono andato via prima, perché soprattutto mi serviva la birra, quella analcolica, del Dpiù, ma c’era solo un D+ e ho allungato, e indovinate? Non la tengono.
E allora dovevo prendere il caffè Pollini, che adesso al Despar è al 50%, e allora mancavano 10 minuti, ce la faccio ce la faccio e indovinate?
Niente, sta arrivando.
E allora compro due birre per me, così, tanto perché avevano i tappi colorati e li volevo, e indovinate? Niente, ho beccato la tizia in cassa che ovviamente ci deve passare più tempo possibile contando spiccioli fino a, per poi accorgersi che abbastanza non ne ha.
E stamane, sì, ho messo 4 sveglie per riuscire a. E pure ne ho sbagliata una, e mi son svegliato alle 2.40 con Drumming di Florence che scampanellava e poi non ho dormito fino a chissà che ora con l’unica nota buona che mi sono letto questo piccolo libercolo di cui non vi metto la copertina e nemmeno ve la scanno, ma vi metto un quadro, del 1918, che mi piace.
Sono edizioni strane, vecchie, di collane strane. 
Questa, per esempio, si chiama Libri da una sera, è del 1993, costava 3000lire, porta scritto La Spiga, come editore e Felicità, come titolo. 
Lo ha scritto Katherine Mansfield, pseudonimo di Kathleen (?!) e sono quattro racconti. Prima della collana dei Racconti d’autore, io non sapevo nemmeno chi fosse, ‘sta qua, ma ricordo che i suoi racconti brevi, poetici, femminilissimi, mi era piaciuti, e allora l’ho preso. E l’ho ficcato in mezzo alla lista dei libri che non leggo proprio perché era cortissimo e almeno vado avanti con la lista senza smonarmi.
Infatti adesso tocca alla Munro, e mi fa piacere, ma mi rendo conto che ci metterò una vita, salvo sorprese.
Ma vediamo di parlare del libercolo, dai.
Ci sono quattro racconti e ho cominciato a leggerli al contrario.
Aneto sottaceto“. Racconto dal punto di vista di lei, almeno all’inizio, che ci racconta di un incontro con un suo vecchio amore, o meglio, IL suo vecchio amore. Lui parla, e parla, e lei si rende conto, quasi subito, dei motivi che l’hanno portata alla rottura, le sue scenate, la sua pignoleria… vagamente, potrei dire, ricorda il personaggio di Verdone, quello famoso che fa ammattire le donne, solo che questo, alla fine, non è poi una persona così brutta, perché, e la tizia lo deve riconoscerlo, ha dei modi, delle visioni, delle tenerezze, che solo lui sa muovere in quel modo, e che è inutile negarlo, lei non troverebbe in nessun altro uomo.
E viceversa, poi. Sono due solitudini quelle che si incontrano…
E allora? E’ ancora possibile… No 🙂
Il secondo è quello che forse mi è piaciuto di più. Qui il protagonista è un uomo, ma è solo un tramite. Ci sono tante donne, intorno, e la principale, sua moglie, che lui proprio non riesce a riconquistarsi, a capire come ha fatto a, ecco, la donna esce praticamente pochissimo. Lui è un cantante, fa lezioni alle donne, le fa cantare, loro stravedono per lui e gliela mettono sotto il naso in tutti i modi. Non si capisce nemmeno se lui alla fine le accontenta o meno, tanto è preso da se stesso. Insomma… alla fine si cambia idea, sul conto de La giornata del signor Reginald Peacock, e aleggia questa idea di futilità e di tempo sprecato.
Poi c’è Vento. Ecco, l’avevo già letto questo, ne ho la quasi certezza, ma non mi aveva fatto impazzire nè lo ha fatto adesso a rileggerlo. Troppi puntini di sospensione e direi che è quasi sperimentale, rispetto agli altri. Anche qui c’è un signor Bullen insegnante di musica, anche qui dei rapporti in nuce tra studentessa e maestro, e il vento, che spira e infastidisce; non che sia un racconto brutto, ma è meno denso degli altri, e scivola veloce.
Il primo, invece, è bello. Si chiama Felicità e il quadretto che l’autrice costruisce sulla protagonista inizia con una descrizione perfetta di quella che è la immotivata felicità, per poi, via via, riuscire a irritare il lettore con la spocchia dei pensieri della stessa, per finire con… beh, non ve lo dico.
Vi ricopio l’incipit, che mi è piaciuto molto, e magari vi aiuta a capire come scrive la K Mansfield e se è autrice che può fare per voi o meno.

Nonostante i suoi trent’anni, a Bertha Young capitavano ancora momenti come quello, nei quali aveva voglia di correre invece di camminare, di saltellare su e giù dal marciapiede a passo di danza, di dare un calcio a una palla, di tirare qualcosa in aria per riprenderlo, o di ridere per niente, semplicemente per niente.Cosa fareste voi se a trent’anni, girato l’angolo della vostra vita, vi sentiste improvvisamente sopraffatti da una sensazione di beatitudine assoluta, come se aveste inghiottito un pezzetto lucente dell’ultimo sole del pomeriggio e vi bruciasse in petto emanando una piccola scarica di raggi in ogni vostra particella, dalla testa alla punta dei piedi?Oh, ma è possibile che non esista un modo per esprimerlo senza venir considerati “ubriachi e molesti”? Che sciocchezza la civiltà! Perché avere un corpo se bisogna tenerlo rinchiuso in una custodia come un raro violino di grande valore?

Com’è? Piaciuto? A me sì. E direi che con questa chiudo, sperando che la giornata Murphyana non prosegua in questo modo e.. boh, niente. un ciao sfigato.

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