
I Maestri del colore, 1: Mantegna

Ho a disposizione, adesso, sicuramente i primi 150 numeri, o giù di lì, mentre poi, nei numeri successivi (arrivano fino a 285 o poco più) ho qualche buco. Ordunque, di che si tratta?
Si tratta della collana “I Maestri del colore” ovvero quei librettini sottili ma larghi quanto un A3 che raccontano un po’ di vita, un po’ di descrizione delle qualità artistiche dei dipinti, e poi mostrano, a pagina grande, una ventina, tra quadri e particolare, dell’artista in questione.
Ebbene, nonostante io sia una che guarda i quadri con grande interesse, meraviglia e trasporto, e nonostante ami, ogni tanto, disegnare e dipingere, ho ben chiaro di essere – per formazione – a totale digiuto di concetti base.
Sono in grado di sfoggiare, per capirci, frasi come:
– Ah, ma è quello che ha dipinto quella roba li?
– Ah, bella merda, son tutti uguali questi soggetti religiosi
– Ah, ma è uno del ‘400? Pensavo fosse ancora vivo…
– Ma non era meglio che continuava a dipingere invece che a cantare? Ah, non è lo stesso Ligabue?
– Beh, i quadri non erano granchè, ma almeno ha vinto un Nobel per l’economia!
Quindi, insomma, avete capito. Ho deciso che, a cominciare dal numero 1, mi porterò a casa, ogni tanto, quando sono ispirato, uno di questi librettoni. E lo sfoglierò. E recupererò un po’ di cultura di immagini.
Cominciamo con il numero 1.
Mantegna, che poi di nome faceva semplicemente Andrea, ed era nato a Padova. Era un classe 1431, per capirci, e a 17 anni aveva già dato prova di sè in lavori interessanti, al pari di gente più affermata. Di simpatico, nella sua biografia, il fatto che avesse scoperto il suo talento in quanto di famiglia povera e ficcato da un maestro padovano, lo Squarcione, il quale gli romperà i coglioni continuamente, cercando di ostacolarlo – per lo meno finchè resta a Padova. Ha una vita altalenante, un po’ povero e un po’ ricco, a secondo di chi lo aiuta o meno. La maggior parte dei successi li miete a Mantova, dove, nel 1506, quindi vecchio, per l’epoca, crepa.
Pare fosse anche di carattere litigioso e piuttosto impulsivo.
Il quadro che avrete sicuramente visto è il Cristo morto, che vi ho ficcato qua sotto, e che pure io devo aver visto, a Brera. Poi, a me piace molto il san Sebastiano. Ma guardando un po’ di immagini mantegnanesche, ho gradito assia le sue matite, tipo il baccanale, qua sotto pure quello.
In particolare, tra quelli che magari non si conoscono, a me ha colpito La battaglia degli dei marini. Dategli un’occhiata, vale la pena di cliccare e notare i particolare come le ali dei cavalli o le mani palmate o ancora di più il teschio-scudo… molto, molto bello, secondo me.
E’ un quadro che è già una storia. Anzi, se avessi due vite aprirei un blog di storie di poche frasi raccontate dai quadri. Vi piacerebbe eh? Magari a fine post lo faccio. O magari accontentativi di quelli che ho, suvvia. 🙂
E anche per questo post accontentatevi di quanto detto, è solo una scusa per guardarsi qualche quadro insieme e sapere di chi sono.
180/78
Franco aprì la porta e le grida lo investirono. Vide due seni rinsecchiti, agitati e stracciati come sacchi vuoti, dita spezzate e saldate in goffe pinne, mani che brandivano pesci e scheletri e serpi e spade e corni e specchi e bastoni e trombe e forche e mille e mille altri incubi e deliri. Udì cavalli deformi nitrire e bussare con gli zoccoli alla sua pietà. Una guerra straziante tra gli dei del senno e dell’altrove. Richiuse, sconvolto. No. Non era umanità, quella, e lui avrebbe lottato per porvi fine.