Un gioco da bambini di J.G. Ballard***

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Un gioco da bambini di J.G. Ballard***

Ebbene, questo è il primo dei (pochi) Ballard che ho letto, che non mi ha lasciato completamente soddisfatto. Per ora.
Non che sia brutto o che l’abbia letto malvolentieri eh, intendiamoci. Solo che… boh, mi ha lasciato quel senso di “mancanza”, quell’attesa di qualcosa che poi non è arrivato. Vabbè, poi ovviamente è personale, la cosa, comunque parliamo un po’ del libro.
Tanto per cominciare diciamo subito che questo “Un gioco da bambini” più che un libro è molto vicino a un racconto lungo. E questo spiega già molte cose, come il mancato approfondimento di alcune ambientazioni e personaggi. Seconda cosa, da chiarire subito, onde evitare fraintendimenti da quarta di copertina, il libro non è un giallo e non è un thriller. Il protagonista-narratore nonchè psicologo, svela praticamente dopo un ventina di pagine i suoi sospetti e il dire che i colpevoli siano chi esattamente si possa pensare che siano, non è certo uno spoiler.
Per capire che cazzo sto dicendo però vi devo fare una breve riassuntino dei fatti, giusto?

In un complesso residenziale con diverse famiglie e bambini, tutti gli adulti vengono trovati uccisi. 32, per la precisione. I bambini, tutti più o meno dagli 8 ai 15-16anni, svaniti nel nulla.
Chi sarà il colpevole?
Ora, da che mondo e mondo, quando c’è tizio e caio, caio viene ucciso e tizio svanisce, la prima cosa che viene da pensare è: dove cazzo è andato quell’assassino di tizio.
Quindi, per il lettore, via pensieri del narratore che sta indagando, la logica è la stessa.

Non vorrei tirar fuori storie da antigiallo à la Durrenmatt, ma non siamo nemmeno in territori molto distanti. Cambia solo che Caio sono 35 adulti, e Tizio sono una decina di bambini.
E allora dov’è il senso del libro?
Beh, in almeno un tema caso a Ballard e in altro, suo stretto cugino.
Il tema caro al buon James è quello dell’estraniamento umano dovuto alla perdita della libertà, in senso lato, e alle conseguenze che causa. Mentre nell’isola di cemento il protagonista si costruiva un microcosmo e in “condominio” regrediva a una stato tribale, i bambini “imprigionati” nel complesso residenziale di Pangbourne trovano la via della ribellione violenta.
Così, mentre metà del libro è dedicata alla spiegazione tecnica, come un flashback progressivo, del modo (non sempre digeribile nella verosimiglianza) in cui i marmocchi ha fatto fuori in (quasi) contemporanea i proprio genitori, l’altra metà è dedicata all’analisi del perché, si siano comportati a quel modo e del cosa, avrebbero fatto una volta ri-acquistata la libertà.

Il secondo tema, meno collegabile ai lavori di Ballard che ho letto finora, ma sembre interno alla sua continua analisi dell’essere umano inteso come animale sociale, è la cecità di quella che possiamo chiamare banalmente “società”. I bambini hanno fatto questo? sembrano dire tutti gli indizi; NAAAAA Non può essere? Maddai?! Checcazzostaiaddi! sembrano dire tutti gli altri. Dai poliziotti alla gente. E nemmeno dopo la conferma diretta del fatto c’è la voglia di credere alla verità, ma si parte a testa bassa verso la ricerca di un colpevole misterioso.
Bè, insomma. Fin qui tutto bene.
E allora direte? cos’è che non ti soddisfaceva, brutto chiappone e criticone che non sei altro.
Beh.
Non mi piaceva il personaggio (troppo stereotipato e senza mordente) che Ballard aveva scelto per far raccontare la storia.
Non mi piaceva il suo insistere sul concetto “la società crea dei mostri” senza scavare in esso per dargli un minimo di profondità.

Si, lo so, è poca roba e il libro nel complesso rimane più che sufficiente. Ma ripeto, lascia quel languorino. 🙂

Comments

  • Anonymous
    4 Agosto 2008

    Anche a me ha lasciato un senso di inappagamento, confesso…

    Ian

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  • gelostellato
    6 Agosto 2008

    poi
    tra l'altro
    ieri mi sono trovato a farci una tesina (non per me) e mi sono accorto che prendendolo nel suo lato intimo il libro non è male
    ci sono buone intenzioni dentro
    ma è come se non si fossero sviluppate.

    reply

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