“Il sogno di una cosa” di Pier Paolo Pasolini****

“Il sogno di una cosa” di Pier Paolo Pasolini****

Leggere e recensire un libro di PPP nell’anno dedicato a PPP sembra quasi una piacioneria, ma è capitato e ci sono un sacco di perché sia capitato. E ve li racconto, perché nulla c’entrano con il libro ma dicono come arrivano le cose. Che poi, secondo me, potreste ascoltare, mentre leggete, e anche se non leggete, Michael Kiwanuka, che è uno bravo davvero, e serviva una canzone usata da netflix perché la gente se ne accorgesse. Tra l’altro è la mia quintultima notifica youtube delle 124 che ho lasciato indietro. Vi aggiornerò anche su quelle.

Allora, l’anno scoarso e anche l’anno prima ero giurato in un concorso dove partecipavano anche traduzioni in friulano. E tra le traduzioni in friulano ce n’era una che non era granché, ma quando mi sono letto il brano in italiano da cui era tratta ho fatto: esticazzi, che librone è questo. Io non lo conoscevo, era una scena tragica ed era una scena verghiana, ma senza quell’essere volutamente povero. Nel senso, mentre Verga guarda i poveri da fuori, qui mi sembrava che la miseria, la crudezza, il dolore, fosse guardato da dentro. Era la scena [spoiler] degli ultimi istanti di vita di Eligio. Insomma… era scritta divinamente. Un romanzo ottocentesco, friulano, dal sapore verista ma più vero. Il sogno di una cosa.

Intanto vado avanti con le notifiche. Forse li aspettavate anche voi, sono tornati gli Arctic Monkeys. Il primo singolo è una ballata, una roba… bella, ma che non ti aspetti. E però si era capito che prendevano questa strada. Ma torniamo al Sogno di una cosa. Il libro che ho letto fa parte di una collana di classici. Ne ho due. I classici del Novecento e classici della letteratura del/sul Friuli. Sono quelle edizioni che uscivano con non mi ricordo quale giornale, ma io le ho recuperate al bancolibro… accazz… chissà se sono tutti vivi. Devo andare. Insomma… dicevo. Ho tutti questi mattoni e mattoncini narrativi perché ogni tanto, a tratti, devo leggerli e rifarmi una cultura. Ci sono libri che voglio fortissimamente leggere, ma che sono impegnativi e grossi, che ne so… Gadda, Celine, Kypling… roba così. E poi ci sono quelli più magri, e quelli è più facile che ogni tanto gli pigli. I classici, ne sono convinto, vanno letti da vecchi, e non da giovani. E insomma… io sono contento di leggerli adesso.

Ah, un’altra bella canzone nuova. I National, con Bon Iver. Cosa dicevo? Ah sì, che insomma… ho pescato questa edizione con in copertina, se non erro, una scena del documentario del ’79 relativo al libro, che è bello anche quello, ma non ho guardato tutto, ma se volete… qui e qui. Io vi metto la copertina del Garzanti più facile da reperire… Ma di cosa parla il libro? Be’ la faccio breve. Racconta storie, di tre ragazzi e di un periodo storico fatto di emigrazione. Si parte dalle sagre friulane della destra Tagliamento, e quelle prime venti, trenta pagina, per quanto mi riguarda, sono la parte migliore, assieme a quelle finali. Il libro, segnatevelo subito, è un frammento di qualcosa che doveva essere molto più ampio. Questi tre giovanotti si conoscono e sognano, appunto, una cosa, un futuro, un avvenire diverso. Sono figli della guerra che la guerra ha mancato, per età. Siamo nel 1948, è l’anno della Costituzione. E uno emigrerà in Svizzera, per provare sulla sua pelle un po’ del razzismo verso gli italiani, ma anche per passarsela bene, alla fine. Gli altri due sono attratti dal sono di Tito e fuggono, comunisti, letteralmente, oltre confine. E rischiano di morire di fame. Ecco… anche quella parte è davvero molto precisa e piacevole. Tornano, nel ’49, tutti e tre. Si raccontano le esperienze. Una storia di amicizia (maschile) che si intreccia a un momento storico complesso. Ohccazzo, sapete chi sta tornando anche? Beth Orton! Avete presente? Disco in arrivo addirittura… Gran pezzo… e non ve li sto dicendo a caso eh, questi pezzi… sono tutti ottimi come colonna sonora di questo libro. Tipo questa qui, di Beth, è perfetta per il momento della nostalgia, del voler tornare in Friuli, dove un tozzo di pane lo si trova sempre, per quanto ci sia miseria.

Ma insomma… la trama l’avete capita. Il finale tragico, forse, non sarebbe necessario, ma ci sta tutto. Ma è quel che c’è in mezzo che conta. Io la chiamere voglia di vivere sincera, ecco. Ti vedi questi tre giovanotti belli e puliti e semplici che fanno cose che ci sarebbe da definire cringe, adesso, e ne dicono di altrettante, con la semplicità della bassa istruzione ma la forze di un animo piuttosto puro. Sono tre bei personaggi. Critiche gliene possiamo fare eh… tipo l’analessi sulla Svizzera, gestita male, o tipo un essere slegato delle diverse scene, dei diversi momenti, o un seguire senza un ordine ottimale le storiie che si intrecciano… o meglio, che si intrecciano male e quasi a casaccio, ma oh, tenete presente che è un lavoro giovanile, scritto tipo boh, nel ’49, circa a 27-28 anni, anche se dopo è stato revisionato (uscito nel ’62).

E che poi, la parte centrale, quella più politica, era la rivolta contadina, per fare attuare il Lodo De Gasperi, che i sorestans non applicavano. Ingenuità e rabbia da una parte, le ragioni dello stato dall’altra. Ma invece di cadere sulla letteratura di protesta si resta appiccicati ai protagonisti, alle loro emozioni, all’orgoglio, all’amore che cercano. Drammatica, a suo modo, è la storia di una ragazzina che si innamora senza nemmeno dirlo per essere tradita senza che il traditore se ne renda conto. L’amore è negli occhi, insomma. Vabbè… direi basta. O meglio, mi piacerebbe farvi leggere qualche riga, tipo l’incipit che è bello-bello. Vediamo se lo trovo che non ho coioni di copiare.

No niente… Arrangiatevi. Direi che è anche troppo, per un libro che è una piccola cosa, di PPP, ma da qualche parte dovevo pur cominciare. E sono contento così.

 

Comments

  • a.v.
    3 Settembre 2022

    Proprio domani ai Colonos c’è la prima di uno spettacolo teatrale di e con Marco Baliani ispirato proprio al Sogno di una cosa

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