"Le lune di Giove" di Alice Munro****

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"Le lune di Giove" di Alice Munro****

L’ultimo Nobel, è questa, Alice Munro.
Questa che scrive soprattutto racconti, che è una simpatica vecchiettina, che non dovrebbe essere stata una lettura per maschio (così mi ha detto una signora sapendo che). Questa che, alla fine, si chiama Alice, ma che letto all’anglosassone (elis) ha riverberi di cose grunge e di cose glam, mentre se come i pitoccolinguali lo leggete alla italica vi viene in mente quella del paese delle meraviglie. Il cognome poi, che varia da Manro a Munro, aggiunge proprio una differenza abissale tra le due pronunce, tanto che, molti, penseranno a due cose diverse.
Ebbene, niente di tutto ciò o anzi, forse anche tutto ciò.
Perché?
Perché Alice Munro, in effetti, pur essendo davvero una sorta di Alice carroliana che getta uno sguardo molto, ma molto disincantato sull’umanità canadese e sui suoi interni e intorni, è anche qualcosa di non convenzionale, di alternativo, di poco politically correct, e in questo sì, potrei dire che pur non mostrando mai contorni ruvidi, ma anzi, dolci e levigati, è comunque piuttosto grunge, per certi giudizi, e pure glam, per certi colori.
Vediamo se riesco a farvi capire perché.
Prima però un po’ di cazzi miei, che così allontano gli intelligenti e criticoni.
Lessi la Munro prima del Nobel, con dei racconti, nella collana dei Racconti d’autore. Li stavo leggendo e persi il libro. Non lo trovavo e alla fine non l’ho più trovato. Devo averlo lasciato in giro. Per fortuna che Gloria, che ancora ringrazio, mi regalò la sua copia spedendomela, sennò, forse, non avrei l’intera collana.
Sempre Gloria, se non erro, in uno scambio della GeLotteria, non chiedetemi quale come perché, mi ha procurato e regalato questo libro, Le lune di Giove, con i racconti della Munro, compreso uno che c’era già, Prue.
E Prue, questo racconto, brevissimo, di poche pagine, l’ho persino scelto, a inizio di anno scolastico, da dare da leggere ai bimbini, così, solo per dargli da leggere la fresca vincitrice del Nobel, e pensavo mi sbranassero, in quanto “che lagna chemmerda chennoia” e invece è piaciuto più o meno a tutti, maschi compresi. Io credo sia soprattutto per la scrittura, più che per i fatti. E’ semplice, a suo modo, ritmica, e si legge. E io approfitto che ce l’ho già scannato per farvi leggere un lungo incipit:

Una volta Prue viveva con Gordon. E stato dopo che Gordon ha lasciato la moglie e prima che tornasse con lei: un anno e quattro mesi in tutto. Qualche tempo dopo, la coppia ha divorziato. Poi c’è stato un periodo di indecisione, di coabitazione intermittente; dopodiché, la moglie se n’è andata in Nuova Zelanda, molto probabilmente per sempre. Prue non è tornata a Vancouver Island, dove Gordon l’aveva conosciuta quando lavorava come responsabile di sala nel ristorante di un albergo estivo. Si è trovata un impiego a Toronto: commessa in un negozio di piante. A Toronto ha tanti amici, perlopiù conosciuti tramite Gordon e sua moglie. Le vogliono bene e sono pronti a mostrarsi solidali, ma lei non ne vuole sapere e ci ride sopra. E una persona piacevolissima. Ha quell’accento che i canadesi dell’Est definiscono britannico pur essendo nata in Canada – a Duncan, su Vancouver Island. Grazie a quella particolare inflessione riesce a dire le cose più ciniche in modo spensierato e seducente. Racconta la propria vita sotto forma di aneddoti e, sebbene quasi tutti tendano a dimostrare che le speranze sono destinate a venire spazzate via, i sogni a essere ridicolizzati, le aspettative ad andare deluse, e la vita a cambiare in modo strampalato e inspiegabile, la gente si sente sempre più allegra dopo averla ascoltata. Dicono tutti che è un sollievo incontrare una persona che non si prende troppo sul serio, che è serena e garbata, non ha nessuna pretesa e nemmeno cede al vittimismo.

Ecco, se volete per caso leggere anche il resto (saran 2-3 pagine) mailatemi e ve lo mando.
Tra l’altro, ho letto questo libro al contrario, cominciando dall’ultimo racconto che è poi quello che dà il titolo alla raccolta. Vi lascio, perché mi va, l’elenco dei racconti contenuti, così anche io me li ricordo e vi dico se mi è piaciuto o meno. Dalla fine, ovviamente.
Le lune di Giove, che parla del rapporto dell’autrice, pare, con il padre, e di età, e dell’invecchiare, e della morte e del modo di affrontare una malattia. Bello!
La visita, godibile, con molti dialoghi, che ha il pregio di scorrere e non sembrare ripetitivo nonostante ogni due tre righe si cambi soggetto e i soggetti son quattro soprattutto, due coppie, una in visita a casa dell’altra.
Storie finite male, parla di tre amici in macchina che se la raccontano, due donne, un uomo, tutti con le loro da raccontare, da riderci sopra, forse, ma alla fine, ci resta il punto di vista di una delle due lungo l’intero racconto, e sono sempre risate amare. Questo mi era piaciuto, sì, nascondeva una profondità non da poco.
Mrs Cross e Mrs Kidd, comincia con un gran piglio, e parla di due vecchiette in ospizio, parla di malattia, del nostro volere o non volere comunicare. Tra i miei preferiti della raccolta. Forse al numero due.
Festa di fine estate, ovvero, una donna stracarica di paranoie, un uomo nuovo, figlie viziate e antipacissime, ma alla fine, normali, e l’uomo, come al solito, visto da fuori e pieno di difetti, che però lei filtra. A un certo punto viene da dirle Sveglia!!! ma poi, subito dopo, ti viene da dire Boh, cazzi tuoi allora. Se ti va bene così. Una delle figure femminili più fragili e al tempo stesso complesse dei racconti.
Prue, vi ho già detto, parla di una donna e del suo ex uomo, che si vedono ancora, che lei sembra aver superato il trauma, se mai trauma è stato, che pare vivere bene, ma… il finale è davvero un piccolo capolavoro, secondo me, e c’è una “epifania” da fare invidia a Joyce. Molto bello.
Bardon, autobus n. 144. Lungo, fatto di capitoletti, triste. Una donna – che non è triste – ci parla di un amante, del farsi belle per uno che forse lo vedrà e glielo riferirà. Il tradimento è una cosa, quello che c’è prima e dopo, è davvero un mondo da esplorare. Qui lo si fa. Mi è piaciuto di meno, questo, ma è comunque molto denso, come pensieri.
L’incidente. Questo è molto, molto bello. A un certo punto ti strappa il cuore e te lo rimette dentro. C’è il tradimento, il solito, c’è lei, perché noi vediamo le storie con gli occhi di una lei, e c’è un momento chiave, un incidente, un prima e un dopo che sono abissi diversi eppure, alla fine, ti viene da chiederti cosa sia cambiato. C’è la religione, qui, il credere o meno, anche, ma è un qualcosa di laterale.
La stagione dei tacchini. Volete ridere? Ero uscito a bere una birra alla sagra del tacchino, dove lavorava la donna, e poi okay, boh, fermiamoci ti aspetto ci mangiamo qualcosa e vado in macchina, e indovinate che racconto leggo? Questo. E rientro alla sagra dei tacchini sapendo tutto di come si sventra un tacchino e lo si fa a pezzetti… poi okay, il racconto parla di rapporti e questa volta, anche se con gli occhi di una donna, i protagonisti son anche gli uomini… 
Dulse, che poi sono delle alghe da masticare. Questo è quello che ho faticato un po’ a finire. Boh… un po’ meno denso di altri, con una protagonista un po’ allo sbando, soprattutto psicologicamente. Si cambia, nella vita, e qui si gioca molto a mostrare questo cambiamento. Gli uomini, anche qui, non ci fanno una gran figura. Un po’ lungo, questo, ecco forse il difetto.
I Chaddeley e i Fleming è il racconto per cui ho cominciato dalla fine. Non digerivo il primo. E col senno di poi, confermo la scelata a mio avviso sbagliata di metterlo all’inizio. Non è brutto, ma tutti quei nomi ecc. rischia di stoppare la lettura. Il racconto è fatto di due parti, la prima è Agganci, che è quello così così; la seconda è Il sasso nel pascolo, che invece ho trovato molto bello. I personaggi sono sempre quelli di queste due famiglie, e sono persone davvero descritte alla perfezione, va detto.
E adesso?
Ho finito? No. C’è un sacco da dire, di questa qua e di questi racconti. Ma sarò breverrimo, promesso.
Vado per punti:

  • sono racconti che hanno dentro tantissimo Canada.
  • la Munro dice cose di te che sai, ma che non hai mai voluto ammettere a te stesso, e ci resti così male, perché spesso son cattivissime, che sorridi e vai avanti fingendo quasi di non averle lette;
  • sono storie scritte da chi ha vissuto tanto, lo si vede. parlo di età, si coglie che l’autrice ne sa molto, di se stessa e soprattutto degli altri.
  • C’è una profonda, profondissima visione della donna dal di dentro, dei pensieri, delle attenzioni, delle rinunce, delle ambizioni, del vivere quotidiano. Le donne di questi racconti, più che pianeti son galassie e chi legge è un satellite.
  • C’è anche tanta visione dell’uomo, del maschio, anzi. Però è una visione sempre filtrata, ma azzeccata. E ti chiedi, ma ci conosce davvero così bene, quella?
  • I legami umani e lo scorrere del tempo sono al centro di tutto. Indaga nei pensieri, la Munro, dentro le persone, nei loro tradimenti, nelle bugie e nelle verità. Indaga e ti apre sipari. 
  • Mi ha ricordato Carver, in qualche modo, anche se, alla fine, non c’entra niente con lui.
  • Scrive decisamente bene. Molto bene. Semplice, ma efficacissima. Melodica, potrei dire della sua scrittura.
Difetti? Boh… può non piacere. Alla fine non racconta una mazza, di trama. E se uno ha voglia di leggerla per poter dire di, può anche evitare, perché rischia di farsi travolgere dalla noia. Se invece apprezzate la buona letteratura, beh, sono bellissimi racconti che danno anche un grande contributo all’idea di narrativa breve. Non potresti mai vederne uscire un romanzo, da queste storie. Sono di quella misura, e sarebbe come cercare di allungare un grissino.

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