“Mostri” di Claire Dederer****
Allora. Non c’è tanto da dire. C’è tantissimo da dire su questo argomento e su questo libro. Ma se sull’argomento okay, suvvia, ci arrivano tutti quelli muniti di un minimo di senso critico e processazione logica del mondo artistico intorno a loro, che ci siano tante cose da dire sul libro non era scontato. Invece…
E io, oggi che siamo giovedì mattina, che avrei da scrivere il pezzo per il Sammardenchio, come dice la vecchia, e che avrei da finire di pulire ‘sta cucina, e che avrei da fare uno straccio di zainetto per andare a Novedrate (novedrate, cazzo!) domani in macchina (in macchina!!! manco so come si guida in autostrada ormai)e dormire dal Vampiro e insomma… avrei anche altre cose. Ecco. Voglio spendere del tempo – e credo sarà abbastanza – per metterlo da parte, questo libro. E per farlo ho fatto una cosa. Sono andato a cercare un cd, da quel centinaio di cd che conservo, che fosse la cosa migliore che mi fa pensare al problema che io conosca.
Sto ascoltando, ora che vi scrivo, Des visages des figures, dei Noir Desir, di quell’esempio vivente che è Bertrand Cantat. Esempio di difficoltà in cui ti mette uno così, che ha fatto un disco così. E ve lo posso dire subito. Anche dopo essermi letto meglio la sua bio, con più dettagli, qualche tempo fa, per caso, ecco, dopo che ho aggiunto cose che mi erano sfuggite (sapevo bene della prima donna, sapevo meno della seconda), io ve lo dico subito e a muso duro: questo disco è uno tra quelli che non smetterò mai di ascoltare, uno di quelli che a tratti, nei miei bui periodici e notturni, continuerò a cercare e ad annegarmici. E forse, non nego, un po’ di quella maledizione che ha dentro è proprio quella, della vita di chi canta, di chi mi parla. Ma è solo una piccola parte. Io avevo la fissa per questo disco, per un paio delle sue canzoni, molto prima, ma molto prima che. E nella mia lista delle “canzoni più belle del mondo”, che per colpa di Marge e della sua idea di farmi radiare sto rivedendo e aggiornando, ci sono due pezzi e no, uno non è quello famoso che conoscete tutti e ci ha smaronato un’intera estate, a noi cinquantenni d’oggi. No. Le due canzoni della lista sono Des Armes e Lost. Se siete giovani o ignoranti, o ignoranti perché giovani o ignoranti e basta, e se non le avete mai ascoltate e se non sapete nulla di Cantat e della sua bio, ecco. Fatemi un favore, fatelo a voi stessi, ascoltate prima le canzoni, ma anche tutto l’album, e poi andate a leggervi la bio. Non fate il contrario.
Non fatelo mai.
Comunque, da dove ero partito? Ah, sì, dal libro. Non dalle canzoni.
Allora. Prima cosa, odio Stefano. Eh, sì perché è lui che mi ha detto che è bellissimissimissimo, e okay, su questo ha ragione, ma è colpa sua se io che lo avevo comprato ma era lì, perso tra i miei disegni e le bollette e i pennarelli e il quadro di occhiali vecchio che volevo fare (anzi, lho fatto poi, eccolo qua, ve lo metto e vi metto anche la sedia vampiro… ho problemi lo so), insomma… a causa sua ho cominciato a leggerlo anche se sapevo che fosse cosa impegnativa. Ma a me ha causato un problema grosso. Un problema che mi sento davvero in dovere di dirvi prima di ogni cosa. E’ una cosa mia, badate, ma potrebbe essere anche una cosa vostra.
Allora…
Ve lo devo spiegare per forza con un esempio. E la chiave di lettura per capire di cosa parlo, di come lo dovete intendere e di come, mi accorgo, va interpretato tutto il libro e tutto l’argomento, è soggettività. Lo scrivere in maiiuscolo se non fossi intollerante al caps lock. Il problema e i comportamenti di fronte all’arte figlia di stronzi è e sarà sempre soggettivo. Ma questo non vuol dire che non si possa discutere, capire, cambiare opinioni e semplicemente riconsiderare le cose guardandole da vari angoli e prospettive. Su questo la Dederer ha vinto tutto, visto che è esattamente quello che fa.
Ma di questo parliamo dopo. Prima parliamo del mio problema, soggettivo, che potrebbe essere anche il vostro. L’esempio è Picasso.
Voi potete credermi o meno, ma io, la mia testa, il mio hard disc di immagini, conservo solo una foto di Pablo Picasso, o forse è un video, non so. E’ quella di lui, pelato, vecchio, se mi sembra si in salute e pieno di creatività, su sfondo nero. Ma pur sempre un vecchio. Non mi dice niente. Non so in che buco io abbia vissuto, ma io, se mi dite Picasso, metto nella RAM solo quadri, colori, linee… Li ho visti, i Picassi, un po’ dappertutto, compreso Madrid. Io penso a lui per le donne al bagno, più che per Guernica, e per i suonatori, più che per quei visi di donna con gli occhi sulle guance. Mi viene in mente di come è stato fumettista, in certe cose, riducendo al minimo il numero di linee per rappresentare che no so, una figura umana o una faccia o una colomba… Insomma. A me viene in mente solo arte.
Non ho mai letto una bio di Pablo Picasso. Sono un ragioniere. Ho fatto economia e commercio. Insegno Economia Aziendale. E queste cose qua mi mancano, benché scriva storie e mi piaccia disegnare e dipingere. Quindi magari sarò un eccezione, ma non credo di essere una cosa rara.
Ecco.
Leggo questo libro. Leggo il capitolo 5, che parla proprio di lui, Pablo Picasso. Anzi no, lui è l’esempio che gli serve per parlare del genio, non è che si parli di Picasso in sè, ma di quello che rappresenta. Vengo a scoprire delle cose. Scopro che era tipo una rock star di adesso. Non lo sapevo. Scopro che era una stronzo, un maschio bianco classico (che brutto pensare che questo “classico” già ve lo descrive) prevaricatore misogino e violento… e al netto del si dice si mormora, diciamo pure che – riassumendo – era una persona demmerda. Ma io non lo sapevo, cazzo! Io ero ignorante, del tutto. Non sapevo che faccia avesse da giovane, non lo so tuttora, così come ignoro come il mondo lo considerasse a livello non artistico. Non sapevo fosse ricco famoso e stronzo. Non mi interessava e sono onesto, non lo volevo sapere. Ora è chiaro che non riuscirò più a guardarlo con gli stessi occhi. E la stessa cosa mi è successo con Hemingway. Io non sapevo nulla della sua bio. Ho letto pochissimo – e me ne vergogno – delle cose che dovrei averl letto. E li volevo leggere prima o poi, quelli famosi. Ma ora? Come faccio? Non volevo sapere che era una persona demmerda pure lui. Avevo giusto intuito che si scopava le tipe a destra e a manca, ma insomma… pace (e qui già c’è un problema. Se è uno normale possiamo dire “pace” ma uno famoso, celebre, che ha un potere di un qualche tipo la cosa diventa più delicata. Non ti scopi le tipe perché capita, ma perché tu sei tu).
Vabbè. Non sono gli unici due casi.
Io ho scoperto di essere una persona che si interessa poco alla vita della gente. Non so se è un bene o un male. Tra l’altro lo ritengo importante, tipo che ne so, quando studiavo storia economica, per capire un atto politico, una scelta di un individuo, trovavo e trovo fondamentale capire chi è, come ha vissuto, cosa gli è successo durante la vita. Come si è comportato. Per l’arte non mi succede lo stesso. Un bel quadro, una bella canzone, un bel libro. Mi bastano. Se voglio sapere chi li ha dipinti composti e scritti è per poterne trovare altri, non per interpretarli. Ma sto divagando di nuovo, però è una cosa importante da chiarire, prima di leggere questo libro.
C’è ovviamente un capitolo che tratta questa cosa stessa eh, ci mancherebbe. In breve si parla della “macchia”. Di come io, forse adesso, ho appena macchiato qualcuno che nulla sapeva della bio di Cantat, di Hemingway, di Picasso. Ed è una macchia indelebile. Quindi, sappiate che questo libro vi macchierà. Leggo con voi alcuni nomi: Woody Allen, Roman Polansky, JK Rowling, Richard Wagner, Virginia Woolf, Joni Mitchell, Michael Jackson, Doris Lessing, Willa Charter, Miles Davis.
Sono quelli su cui dovete mettere in preventivo della possibilità di restare macchiati. Di modificare i vostri comportamenti futuri (e le emozioni, certo, ma quelle probabilmente le ho già modificate io solo elencandoveli) dopo aver letto questo libro. Insomma… è un viaggio per cui bisogna partire attrezzati, leggere Mostri di Claire Dederer. Tra l’altro, la persona che conoscerete meglio e su cui, proprio in tema di mostri (mostriciattoli, dai) è proprio lei, Claire Dederer, americana, donna, bianca, critica cinematografica e scrittrice e altre cose. Lei parla di sé. E a fine lettura capirete che è impossibile parlare di questo argomento o leggerne senza parlare (e leggere) di noi stessi. Im-pos-si-bi-le.
E quindi, dopo tutte queste righe, tutto questo parlare di me (che poi qua, su ‘sto sito, non faccio altro, quindi ci siete abituati) ecco, possiamo cominciare a parlare del libro.
Ma come vi ho detto, è difficile farlo senza parlare di voi.
Ci provo, ma non ci riuscirò.
Prima cosa: siete dei maschi bianchi? Fate attenzione. Non vorrete più esserlo. Il potere “di serie” di cui il maschio bianco gode è cosa di per sé mostruosa e intrinseca e dopo aver attraversato e conosciuto così tanti mostri, solo per il fatto di averli messi insieme, sarete un po’ in difficoltà ad essere quella cosa lì. Se non siete bianchi, okay, vi dico che vi basta aggiungere il terzo ingrediente – un certo potere fama genio dovuto a un qualche tipo d’arte (qualunque tipo, anche la trap, per capirci, e non è il momento per riflettere su cosa sia arte e cosa no, qui si parla di fama e potere) ecco, non vorrete essere lo stesso quello che siete. Se invece siete donne, e vabbè, avrete già un fegato grosso così, per come va il mondo, preparatevi a farvelo venire ancora più grosso, per certe parti soprattutto.
Il discorso sui Mostri e sul come giudicare la loro arte spalanca una porta enorme sulle differenze di genere nell’arte (e in generale) e sul come, per farla breve, un genere distrugge l’altro a tal punto da non dargli nemmeno la possibilità, di diventare un mostro. Alle donne non è concesso manco di essere donnemmerd… insomma.
Seconda cosa, importantissima. Già detta. La soggettività. Il fatto che certe cose le prendiamo in un modo, certe altre in un altro. Per me, per dire, la Rowling è un caso chiaro, limpido. Non ci voglio avere nulla a che fare, mai più. Certo, in parte perché è vivente e attiva, perché le sta dicendo adesso, quelle cose, quindi la sua opera si confonde meglio con la sua persona che va via via peggiorando. E’ un po’ come se lei avesse la possibilità di non essere quella che è. E’ ancora viva. Però non dovrei ribaltare su HP il suo dire quello che dice. E invece… io non li leggerò mai più (mi mancavano gli ultimi, cartacei). E non è per non darle soldi. I libri li ho già. E’ proprio che è un fastidio che provo solo all’idea di leggerli. E devo confessarlo… è per il tipo di mostro che lei è. Per me è mostruoso quello che dice, ma scoparsi una fuori dal matrimonio non lo è e quindi continuerò a voler bene a Dave Grohl e ad ascoltare i nuovi dischi dei foo fighters. (okay, per me è mostruosa l’idea di pensare alle relazioni come esclusive, che è mostruosa) . Quindi di nuovo. Sono io. E non voglio indagare più di tanto perché tollero Dave Grohl. Potrei scoprire, come dice la Dederer, che il suo essere mostruoso è la mia mostruosità. Vorrei pure io scoparmi le ragazzine, lo vogliamo tutti, ovvio, basta essere sinceri, dice. E quindi, okay, David, che vuoi che sia che fai il quarto figlio fuori matrimonio. Mentre le cose di violenza, per esempio, quelle no, quindi no, ecco, quel film là, non lo guarderò, perché te violentavi le tipe e io quella cosa non la farei mai, non ha nessuna attrattiva e mi è facile condannarti. E anche qui, dov’è il confine?
E’ per dire che la mostruosità è una sfumatura, e ognuno la sfuma a modo suo, anche tra due estremi condivisi fissi. Come dire. Prendiamo Polansky e Allen. Ammettiamo da un lato che il comportamento corrretto sia fare sesso allegro tra persone che si piacciono. Colore bianco. Dall’altra parte ci mettiamo fare sesso con violenza quando una persona non lo vuole. Colore nero. Per andare dal bianco al nero ci sono i grigi. Infiniti grigi, lo sappiamo. Ma quando giudichiamo noi scegliamo un grigio. Uno di questi infiniti grigi diventa il nostro. Quindi Polansky che violenta la sedicenne è sul nero (e anche lì, mica per tutti eh, c’è chi vede del grigio scuro scuro scuro) mentre… Allen che si fidanza con la sua figlia adottiva? In quale grigio lo mettiamo? Per la Dederer, se leggete il suo capitolo, è un grigio molto scuro. Così come la predazione, in generale, anche quando è la rock star con la groupie contenta e felice (la groupie, dico, non la rock star) va sullo stesso piano di mostruosità. Lei fa le sue considerazioni sui film di Allen di Polansky partendo da questa scelta.
Ma per voi?
Per voi è lo stesso grigio? O quello di Allen è un grigio molto molto chiaro? Ecco, non voglio discutere di questo, della scelta della tonalità di grigio. Ma discuto di quello che è un difetto intrinseco e fisiologico del libro. I suoi discorsi sui film di Allen hanno un senso, per lei, filtrati da quella tonalità di grigio. La sua. Per noi potrebbero essere diversi. Per me lo erano, per esempio. E leggendo, in queste pagine, ero dubbioso.
Ci ficco dentor un’altra cosa. I tempi. Un mostro è sempre un mostro allo stesso modo? Ovviamente arriviamo alla cancel culture e qua siamo tutti d’accordo… io, la Dederer, voi credo. E’ una stronzata. Ma quello che secondo me non è una stronzata è che non si può prescindere dai tempi. I modi moderni di vivere la sessualità e il corpo e il rapporto con la socialità e il potere sono cambiati a tal punto, negli ultimi anni, post social media, che non riuscire a dare la stessa tonalità di grigio a due fatti identici in tempi diversi. Che ne so, due Woody Allen a distanza di trentanni. Il grigio di adesso, inutile che lo nasconda a me stesso sarebbe più chiaro. E’ un punto che la Dederer non tocca abbastanza. E non avrebbe potuto credo, perché sennò per leggere il libro sarebbe servito un corso di algebra e matrici.
E io sono lungo. E lo sapevo cazzo, che andavo lungo. E sta suonando mezzogiorno. Però sono contento. Ci sono quasi. Posso mettere via questo libro che mi ha fatto molto male, ma anche molto bene. Ascolto un’altra canzone: questa qua. Anche qua, capisco che è una canzone che non smetterò di ascoltare. E anche qua, nonostante sia morto a vent’anni, il simpaticone ne ha combinate abbastanza.
La ascolto perché mi serve per dirvi un’ultima cosa, sul libro, che è bene dire. Ovvero che le sfumature di grigio di prima sono diverse a seconda del tipo di arte, e non solo del tipo di mostruosità. Io, per esempio, con la musica sono molto trasparente e ho meno blocchi. Posso leggere di tutte le cattiverie di questo mondo, ma faccio davvero fatica a non ascoltare qualcosa che mi piace. Che poi, i mostri nella musica sono molti, molti di più…. ma se non voglio ascoltare qualcosa è perché non mi piace. Punto. Se mi piace la ascolto. Eppure la musica è diversa, soprattutto se c’è di mezzo la voce. La voce è personale. E’ la persona.
Con i film, per me, è diverso. Non ne dipendo. Non c’è un film che mi fa dire, la mia vita senza sarebbe molto peggiore. Vuoi perché è un’arte più spot, e non riproducibile, ma non è quello. Sono semplicemento meno coinvolto.
E adesso non mi dilungo. Coi quadri è una cosa diversa ancora, e con la letteratura è ancora un’altra cosa. E per dire, la poesia è diversa dalla narrativa. Tra i capitoli più interessanti c’è Nabokov e Lolita. Il nostro perenne bias cognitivo, rafforzato nei romanzi in prima persona. E io, che scrivo, la vedo da dentro. Se scrivete, quel capitolo lì dovete leggerlo assolutamente. Perché non siamo quello che scriviamo, anzi. Però quello che scriviamo, da qualche parte anche lo siamo. Resta che per ogni tipo d’arte ci saranno filtri diversi. Per me, per dire, potrebbero dirmi che i quadri di Schiele in realtà sono stati dipinti da Hitler e non cambierei di una virgola il giudizio. Se invece fossero i libri di Saramago… be’, ecco, non so se leggerei quelli che ancora non ho.
[E possiamo aprire anche un discorso su quanto sia (poco) possibil/probabile che delle cose meravigliose e “buone” fuoriescano da persone cattivissime. Ma anche no]
Chiudo.
Troppo parole. Non se se qualcuno mai le leggerà. Eppure… il libro le merita. Ti costringe a fare i conti non tanto con la questione eterna della divisione tra vita e opere, quanto con te stesso, con quello che sei, che vuoi essere, che non sai di essere. E come dicevo, fa male, a volte, ma migliora, e si sa, non si dimagrisce mangiando torte e pasticcini.
La Meacci
Chiarissimo!