Ammicca in agosto (breve racconto psicologico)

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Ammicca in agosto (breve racconto psicologico)


Ammicca in agosto

L’estate se la mangia Ferragosto.

Lo penso ogni anno e credo d’averlo imparato presto. Da ragazzino, addirittura, mentre giravo le sagre della bassa in Garelli: la maglietta, schiaffeggiando il buio, non bastava più.
La chiesetta me l’ha solo ricordato.
Una sera mi guardava e ho sentito un brivido, qualcosa che con la bella stagione non ha da spartire. 
Quante volte ero passato di lì? Duecento? Trecento? Forse più. Com’era possibile non mi fossi mai accorto che ha la faccia? Me lo chiedo da anni.
La trovate in via Gemona, sulla destra, uscendo dal centro. Gli occhi sono due mezzi cerchi e poggiano sulla parte piatta. Sono murati e dentro, a mo’ di pupilla felina, si apre una finestra. La prima volta mi sorridevano… anzi, no. Ammiccare, è la parola giusta.
Ma l’espressione non è mai la stessa, soprattutto in questi giorni afosi, in cui Udine si svuota e molti, ignari della sua dipartita, cercano ancora l’estate prendendo la via delle spiagge.
Io no. Io resto qui. Sempre.
L’ho vista piangere, sotto la pioggia; gridare dalla porta aperta o sbalordire, quando spalancate erano le finestre. L’ho immaginata persino morta, con il rosone centrale infranto dalla grandine, come il foro di un proiettile. È una meraviglia, questo viso. Una meraviglia che non mi stanca mai.
Non so come ci si entri: c’è una vasca, intorno, un tempo popolata di carpe e tartarughe e ora solo d’acqua putrida. Lei pare arroccata su un’isola, fra le case, inarrivabile. Non so se abbia un nome, o sia davvero una chiesa: non ci ho mai visto una messa, né persone nei paraggi.
Dopo averla scoperta ho sempre preso le ferie in questo periodo, rinchiudendomi in città. 
Per questo Irma mi ha lasciato e dopo di lei non ho avuto altre. Non importa: a me basta passeggiare qui, in zona. 
Dopo la pensione pensavo l’avrei vista ammiccare più spesso, invece accade solo a fine agosto. 
Ho capito che è il mio regalo di compleanno. 
Io so che lei sa. Di me, dell’attesa che mi strugge… Mi premia così e sono certo che lo farà ancora.
Oggi ho faticato un po’, ad arrivare. Le gambe scricchiolano e il petto sembra scoppiarmi, se cammino troppo in fretta. Il bastone e le medicine non mi aiutano granché. Del resto, sono quasi novanta.

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Questo è il mio racconto per la Narragenda, e nella foto vedete proprio lei, la Chiesa che ammicca in agosto. Uno dei tanti casi di pareidolia regalati dagli edifici, certo, ma questo viso ha proprio una espressione strana, ammiccante, che non inquieta, ma nemmeno rassicura. E anche la chiesa ha una sua storia, oltre ai dati storico-artistici. Volevo scriverci una storia di quelle un po’ così, delicata, che parla di una cosa che abbiamo in tanti, e io purtroppo tra questi: l’indolenza, non tanto nel senso di pigrizia, ma di rassegnazione allo status quo, al cercare scuse per non osare. 

Comments

  • 8 Dicembre 2014

    Tu non lo sai, ovvio come avresti potuto saperlo. Io ho una figlia che sin da piccolina vede le facciate delle case o chiese come il vecchio uomo del tuo racconto.
    Felice di averti letto.
    Ciao

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