"Cento poesie d'amore a Ladyhawke" di Michele Mari***

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"Cento poesie d'amore a Ladyhawke" di Michele Mari***

Mi dispiace restituire un libro senza lasciare nemmeno un paio di righe sul blog.
A volte capita.
Ieri sarebbe potuto, ché dovevo ridare ad Astrid del ciel questo librettino che le rubai due settimane fa. Ma mi sono fatto fare delle foto alle poesie, così ora che le voglio cancellare, mi ricordo di scrivere qui due righe.
Poesie.
Poesie a ladyhawke.
Ci sono cento poesie, quasi tutte brevissime, eccetto una, che ho letto ieri, e chiude la raccolta, e cita una paccata di fiori in una sorta di metaanafore che può rischiare di esser stufosa ma che melodicamente, se letta ad alta voce, alla fine, mi è piaciuta. E’ una tra le pochissime cose di questo libro che ho letto due volte.
Perché sì, sta cosa del leggere le poesie, ultimamente, è diventata un buon metro di giudizio. E’ una ricetta. Per me la ricetta comprende: divano, silenzio, gin tonic caipi o birra (dipende dalle poesie), pace, notte e doppia lettura ad alta voce. E vicino, spesso, anche carta e penna, per i pensieri che si avvicinano, richiamati dalle parole. Se leggo due volte, o addirittura tre, è perché sono belle, o difficili ma belle, o complesse ma meritevoli di essere scrutate, anche se colte. Facendo così, il libro di Cappello di qualche mese fa, di cui vi parlai, ci misi boh, 5-6 mesi. Perché una a volte mi impegnava tutta la sera. Come a masticare la liquirizia, quella di legno.
Ecco. Con queste poesie di Michele Mari non è accaduto. Vuoi perché sono corte, vuoi perché erano così dirette, diluite nel poco spazio, che una lettura era sufficiente. 
Mi hanno fatto pensare ai miei pensieri di gelo.
I pensieri di gelo non sono poesie. La poesia è distillato. I pensieri di gelo servono a fissare le intuizioni, le idee, le immagini soprattutto, le emozioni. Li butto lì, e poi chissà, un domani magari vorrò scrivere le poesie, quelle vere, e allora andrò a cercarli, a spremere, a distillare le parole. Diciamo che da una dozzina di pensieri di gelo, a spremerli, ne escono una decina di versi buoni. Non buonissimi, o eccelsi, ma buoni.
Ho avuto più o meno la stessa sensazione. Come se volontariamente si fosse lasciata liquida la sostanza di cui sono fatte queste poesie. Tante citazioni, qualche calembour, qualche ellisse e comunque delle belle trovate. Non posso proprio dire che non mi sia piaciuto leggerle, queste cento poesie, ma a prenderle una per una, no, non riesco a dire che siano molte che mi sono rimaste addosso, che leggerei e rileggeri, cercando.
Ieri, dicevo, ho fatto fare ad Astrid delle foto, scegliendo quelle che piacevano a lei. Ma sarebbero dovute piacere anche a me. Vediamo. Vi lascio qualcosa, perché sappiate cosa c’è in questo piccolo libretto della Einaudi dalla copertina con la penultima poesia che a me, onestamente, non pare né rappresentativa né tra le migliori.
Ecco questa. Questa è rappresentativa.
Sulla tovaglia piena di briciole
avete risolto tutto in famiglia
giocando a poker coi borlotti
mentre io sul panno verde
lustravo la medreperla
di fiches leggendarie
come il mio amore.
Ecco. C’è quella bella idea del poker, l’utilizzo della parola borlotti, davvero perfetta qua dentro, in quel verso e poi la madreperla che prelude a un gran finale e poi boh, muore lì, si perde, quasi ti infastidisce quella chiusura, quel fiches. La leggi, e no, non la rileggi fino in fondo, veramente. Ti fermi a madreperla e giri pagina. Mi è piaciuta, sì, ma un po’.
Vediamo un’altra.
Ecco, questa mi è piaciuta. Il lupo è caro a queste poesie, come il falco. Ovvio.
Non piangere sul latte versato
verrà di notte il lupo
a leccarlo
perché il lupo è vago
delle cose perse.
Sì, questa è bella. Il cuore è in quel vago, e nel ribaltamente con il “delle” del verso successivo, che cambia sapore e rende lo smarrimento invaghimento. Questa è tra quelle che ho riletto.
Vediamo una ultima, ché così vi spiego anche la cornice. Sono tutte dedicate a una donna, ovvio, o meglio, a una bambina, con l’amore dei banchi di scuola che percorre una vita. Sono piene di riferimenti vetusti, in modo bello, che un giovane non capirebbe né ha senso che capisca. E questa donzella (mai trombata, a quanto pare) attraversa le cento poesie, entrando e uscendo dalla vita di chi gliele scrive. Separati inseparabili, alla fine, come la leggenda. Ecco questa, dunque, che è rappresentativa.

Se mi emoziona
pensare una targhetta sul citofono
con i nostri cognomi congiunti
se prima di addormentarmi
mi studio di variarla
in ottone
in ferro smaltato bombé
in plastica oro a caratteri rossi
in plastica grigia a caratteri blu
in cartoncino manoscritto
nell’antica striscia di dymo
immagina
quanto male mi faccia
pensare a un figlio in cui congiunti
fossero i nostri occhi.

Ecco. anche qui io luci e ombre. Non l’ho riletta, quei versi sulla targhetta, piaciuti, e poi quasi mi muore stucchevole mentre leggo. Boh. Però resta che di base mi ha fatto piacere leggerla. E quindi, siccome di poesie nuove non è che si trova spesso cose belle da leggere ad alta voce, ecco, questa lo è comunque stata. E ora posso uscire a bere birra.

Comments

  • 6 Dicembre 2019

    L'amore. Il titolo sarebbe Cento poesie d'amore a Ladyhawke.
    Ma è comprensibile che sia sfuggito via l'amore perché in realtà non si capisce bene se son poesie scritte per amore o per dispetto.

    reply
    • 7 Dicembre 2019

      Ma quale minuto… ho scritto il giorno dopo 🙂 gnè gnè gnè 😀

      reply
  • 9 Dicembre 2019

    Per chi cerca poesia forse fare un giro su Interno Poesia potrebbe far trovare qualcosa di bello.

    reply

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