“Morire di classe” di Basaglia/Ongari/Cerati/Berengo Gardin****
Un paio di settimane fa c’era arte non mente.
E’ una manifestazione che fanno a San Osvaldo, che per chi non fosse di Udine è il centro di salute mentale ed ex-manicomio.
Siamo la regione dove Franco Basaglia ha operato. Sua moglie di cognome fa Ongaro, e diciamo che forse abbiamo, in qualche modo, un legame forte, con il problema della salute mentale.
Mi piace andare ad Arte non mente perché è bello, c’è arte, ci sono cose belle da vedere, ci sono quelli che hanno una storia da raccontare che non è facile da leggere, e che infatti a volte ti fanno ridere, o piangere, o paura, ma non riesci ad entrare nella loro storia.
Una cosa bellissima, e terrificante, ma bellissima, che penso ogni volta che vengo qui, è che non puoi mai dire chi è sano e chi no. Il concetto di sano, che crediamo nostro e intoccabile, quella linea che crediamo ci divida, ecco, qui non c’è. Solo chei viene in occasioni come queste capisce cosa intendo.
Un paio di settimane fa, Salvini ha dichiarato che vuole riaprire i manicomi, togliere i malati dalle famiglie e rinchiuderli, o comunque qualcosa che suonava molto simile a questo. Io non so, non ho molto interesse a sapere come la pensate politicamente, ma vorrei che voi veniste una volta a San Osvaldo, o che semplicemente leggeste e sfogliaste questo libro. Lo trovate qui, in pdf. Lo scaricate e lo leggete. Ci mettete meno di mezzora.
Io non so quale rapporto avete voi, con la malattia.
Io so che Giorgia, mentre eravamo lì a bere birra e mangiare dei panini buonissimi, mi ha fatto presente una cosa.
Facevo le facce. Io faccio sempre le facce. Chi mi conosce lo sa.
Che ne so… prendo la schiuma del caffè macchiato e fingo di essere zombi sbavandovi sulla maglietta e blaterando “ti pvego aiutami…” oppure fingo la doppia personalità sussurrando fra me e me “uccidi quella troia” “stai zitto che ti sente” “uccidila uccidila mentre dorme” ecc.
Ecco… Facevo le solite cose, insomma.
E mi è stato fatto presente che io dovrei essere qui, e che in altri tempi questo sarebbe stato il mio posto.
Per i miei attacchi d’ira, gli istinti suicidi, le piccole follie, il non dormire, il girare di notte, il fatto che fosse per me non parlerei. Tutte cose che sì, sono normali, ma potrebbero anche non essere normali. Dipende da come le guardi, da chi le guarda, dal senso degli altri per l’essere tuo.
E allora ecco… dicevo, io non so voi, ma questa a me, è la cosa che spaventa più di tutte, nella vita. La perdita della libertà, per motivi mentali.
E uno come Salvini che si permette di dire che situazioni come quelle che vedete in queste foto, che potete vedere in questo libro fotografico, ecco… non so. Uno così non dovrebbe esistere. Dico davvero. Non dovrebbe esistere una persona che si augura un ritorno a queste cose.
Ma vi devo parlare del libro. Il libro era gratis. Il progetto era di ristamparlo. Perché il libro dalle librerie è scomparso. Il libro è del 1969, lo ha voluto Franco Basaglia.
Le fotografie sono di due fotografi che poi sarebbero diventati qualcuno e che all’epoca erano giovani. Sono Carla Cerati, e qui sul sito trovate altre foto, e Gianni Berengo Gardin.
Le foto sono molto belle. E non sono così forti come si potrebbe pensare. Sono l’immagine di un universo che vorreste non fosse mai esistito. Non so come state messi con la pietà umana, non so se siete di quelli che volete la gente morta, però è difficile non provare qualcosa per questi luoghi, per queste persone. Difficile restare indifferenti. Guardandone alcune il pensiero a me è arrivato come una fucilata: ma sono poi tanto diverso, io? No. La so già la risposta. No.
Vi posso dire alcune cose che hanno detto. Vi posso dire che le foto le hanno scelte Franco e Franca, litigando anche coi due fotografi, perché evidentemente l’urgenza di mostrare, di rivelare, di colpire, non era sempre d’accordo con il metro artistico.
Vi posso dire che le foto sono state scattate dai due fotografi in giro per diversi manicomi fingendosi due infermieri. Non era certo gradita, questa inchiesta, nel ’69 e non lo fu per molti anni ancora, credo. Vi posso dire che non è stato un lavoro tranquillo. E’ capitato che riuscissero, a volte, a sfuggire a controlli, perché da quei mondi poco e nulla doveva trapelare.
Le foto sono corredate da frasi, aforismi, brani…le ha scelte la moglie di Basaglia, mi pare, per buona parte, e si va da Bertold Brecht a frasi rubate a un bando di concorso per la costruzione di un manicomio. Alcune sono aberranti, nella loro terribile semplicità. Altre sono molto belle e ti lasciano cadere dentro riflessioni lunghe un fiume intero.
Vi posso dire che il libro è stato quasi “boicottato” anche se non in modo palese. E mi fa strano per dire scoprire che la wikipedia in italiano non si trova, ma si trova solo in inglese.
Altre cose direi basta, non ne ho.
Ho comprato il vino, quello con l’etichetta di arte non mente. E devo ancora berlo.
Stasera mi faccio la sangria, perché mi va, ma quella si beve domani. Proverò a fare la caipipesca con le pesche che avanzano. Forse mi piacerebbe anche riprendere in mano un pennello, anche se sono le 22.22 e io ancora sto in mutande… ma chisse, è presto e basta dormire poco.
E poi, sono in tema. Mi secondo cugino stava là, a san Osvaldo. andava a prestare servizi ogni pomeriggio. E’ lungo quella strada che l’hanno investito. E’ ancora vivo ma non è propriamente vito. Ora è un simulacro di essere umano. Dipingeva. Ricordo che aspettava come se fosse la cosa più importante di tutto l’anno la possibilità di esporre i suoi quadri. Una volta mia zia gliene ha comprato uno, per 50mila lire. Che lui si fumava subito. Erano belli. Un altro ce l’ho qui davanti. Uno, bellissimo, lo ha mio zio. Ho scritto una storia su quel quadro. Un racconto. Forse tra i più belli di Altris contis di famee, anche se non a livello narrativo, ma emotivo.
Vi metto qui sotto il quadro. Dovrei averlo sull’hd.
Vi saluto. E voi guardatevi le fotografie.
astrid
Alcuni anni fa sono stata all'isola di San Servolo, che sta tra Venezia e il Lido. Una volta su quell'isola c'era il manicomio. Adesso c'è un centro congressi e un piccolo museo che racconta la storia del manicomio, quella volta l'ho visitato. Quello che mi colpì non furono tanto le varie attrezzature o metodi più o meno impressionanti (camicie di forza, elettroshock) ma una serie di fotografie con i ritratti dei malati, che riportavano anche la malattia di cui soffrivano. E per tanti di loro la diagnosi era: pellagra. La pellagra è causata da carenza di vitamine, era diffusa tra i contadini delle nostre campagne che mangiavano solo polenta. Può causare demenza e disturbi psichici, ecco perché questi poveretti erano finiti in manicomio. E spesso proprio in manicomio miglioravano, perché il vitto era migliore e più vario di quello che mangiavano a casa. E anche se la pellagra adesso non c'è più, mi spaventa l'idea che essere povero, emarginato, possa farti diventare anche un matto da rinchiudere, da imprigionare.