“Contis di famee” di Raffaele Serafini

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“Contis di famee” di Raffaele Serafini

CONTIS DI FAMEE
di Raffaele Serafini

Edizioni Kappa vu
2015, 128 pp., 12,00€
lingua friulana
ISBN: 978-88-97705-61-1

Indice:
Cyborgane jentrade
Nol podeve jessi il diaul
Anìn
Supereroi
Pennato
Lache
Al è miôr tignissale
Regjine
Là che lin doman
Indenant, cussì
Aghe rosse
Gjat crot magne pantianis!
Miedi e predi
Gusto
Spieli cence bramis
Cyborgane jessude

Dalla postfazione di Carli Pup

“Le storie di Raffaele Serafini vanno avanti e indietro nel tempo lungo un sentiero che ci permette di gettare un occhio su alcune delle vicende cresciute sull’albero genealogico di una famiglia del Friuli di mezzo. Di racconto in racconto cambiano dunque i protagonisti, i tempi, gli stili di vita, il paesaggio che si può vedere tutto intorno e alla fine ne viene fuori un Friuli che è nello stesso tempo famigliare e fuori dagli schemi. Dove finisce la realtà e dove comincia l’invenzione? La verità è che non è così importante saperlo perché una volta coinvolti in un racconto, si entra in un mondo che è reale anche quando è fantastico e che è inventato anche quando è vero.”

 

La raccolta:
Partendo dalle memorie orali e seguendo come traccia l’albero genealogico, mutato per l’occasione in “aquila genealogica”, che trovate all’interno del risvolto, attraverso 14 storie brevi o brevissime si raccontano e filtrano le storie familiari attraverso il setaccio della fantasia e della tecnica narrativa, inserendole in un quesito unico, posto ad una cyborg strega, e contestualizzato in un futuro che verrà.
Ci sono storie che meritavano di essere raccontate.
Pesci luminosi, aquile cadute nella rete, omicidi sistematici o impuniti… sono storie che erano belle e gonfie di mistero già nella voce di chi le riportava e dovevano solo trovare il modo e le parole per farsi narrazione.
Altre invece sono storie di molti: di matrimoni, di vita familiare, di brutte avventure, o di eventi folli ma normali, in tempi che non sono gli attuali. Anche queste si sono meritate di diventare racconto, una volta trovato un modo originale ed efficace di narrarle.
Le vicende si svolgono a Talmassons, Torsa, Virco, Sclaunicco… piccoli paesi del Friuli medio-basso, in cui vivono e diventano protagoniste delle persone semplici, rappresentanti di un secolo, il Novecento, e di un salto generazionale, o forse due.
Lungo questo percorso c’è un friulano, inteso come lingua, che cerca di essere adatto e non scontato, usato in modo moderno, cercando di differenziare le strutture narrative e i registri, pur mantenendo sfumature di genere fantastico e colori scuri lungo tutto il lavoro.
C’è un racconto non presente nella raccolta, Pipins, che prende le mosse da una vecchia fotografia che sarebbe potuta essere la copertina, e che invece trovate sul risvolto. Rende bene l’idea di quello che sono lis Contis di famee contenute nel libro.
E’ possibile acquistarlo:
Nelle librerie, anche ordinandolo
Scrivendomi una mail, combineremo…
Chi lo ha letto, dice del libro:

La epopee di une çocje familiâr furlane, contade traviarsant timps dûrs (il nûfcent), tragjediis privadis jenfri cjasis, campagnis, paîs, personalitâts crudis ma ancje dolcis, e leiendis mâlcuietis e spaurosis che corin sù e jù pe acuile gjenealogjiche platade daûr de cuviertine. 

 

Une lenghe sute, chirurgjiche, moderne, che rive drete tal çurviel dal letôr. 

 

Par furlan si dîs “curtis e che a si tocjin”, par chest il pennato si clame massanc.

 

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L’epopea di un ceppo familiare friulano, raccontata attraversando tempi duri (il Novecento), tragedie private tra case, campagne, paesi, personalità crude ma anche dolci, e leggende inquiete e spaventose che vanno e vengono lungo l’aquila genealogica nascosta all’interno della copertina. 
Un linguaggio asciutto, chirurgico, moderno, diretto alla testa del lettore.
In friulano si dice “curtis e che a si tocjin”, per questo il pennato si chiama “massanc”.
Pauli Cantarut
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“…mi sono commossa e ho riso, a volte contemporaneamente, e questo ai miei occhi ne fa un libro prezioso.
Denso di piccole storie senza storia, o meglio dire dei ‘senzastorie’, persone anonime eppure grandissime nelle loro credenze, ritualità e bizzarrie.
Manca, e per fortuna e ho letto che la postfazione condivide il concetto, tutta quella retorica ammorbante e depressa sul friulano onesto e dedito a prenderle dalla vita (e dalla morte), mentre ogni tragedia si stempera in un’ironia tenerella e vitale.
Mi è piaciuto tanto, e considera la fatica per leggerlo vista la pessiima conoscenza da parte mia della lingua.
Man mano che procedevo, forse perchè il tuo stile diventa subito inconfondibile, ho faticato meno.
Alcuni racconti, come Gusto o Miedi e predi, sono intristi di un certo macabro mistero, e forse per me sono i migliori.

Alessandra Zenarola

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A mi mi son plasudis une vore e o consei la leture a ducj! No covente disi altri… 
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Mi sono piaciute moltissimo e ne consiglio a tutti la lettura! No serve dire altro…
Checo Tam

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O concuardi cent par cent cun ce che al à dit Carli Pup te post-fazion, […]. Mi soi divertide un grum a lâ indevant e indaûr tal timp cun lis tôs contis, e no dome. O ai gustât il to mût di scrivî franc e sclet, cussì di famee, che cence fadie mi soi cjatade imberdeade tal to vivi di pais, di îr come di vuê. Mi sa che o larai a lei ancje chês contis che tu âs publicadis sul blog!
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Concordo al cento per cento con ciò che ha scritto Carli Pup nella post-fazione, […]. Mi sono divertita un sacco ad andare avanti e indietro nel tempo con i tuoi racconti, e non solo. Ho gustato il tuo modo di scrivere franco e schietto, molto “di famiglia”, che senza fatica mi ha coinvolto nel tuo vivere di paese, di ieri come di oggi. Mi sa che andrò a leggermi anche i racconti che hai pubblicato sul blog. 

di Marie M.

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Ho trovato momenti di intensa commozione quando hai trattato con Valerie il tema dei maltrattamenti, della cattiveria della depressione post partum e della trasmissione del disagio psicologico. Hai tratteggiato con tanta gentilezza e delicatezza il mal di vivere, e soprattutto non hai giudicato. Il giudizio viene dato da altri, da coloro che non possono capire soffocati nel calderone della loro limitatezza, della loro pochezza. Mio zio materno diceva che non si potevano permettere sen
timenti raffinati e tu sei riuscito a dare, malgrado questo, anche levità. Ho ricordato con le lacrime agli occhi gli ultimi internati di Sant ‘Svualt, quando nel 1977, a 17 anni mi è capitato di conoscere quelle creature destinate al confinamento dell’anima. Il tuo racconto mi ha catapultato là fra i cedri e il verde, e il verde dei pavimenti di fòrmica degli stanzoni.
E poi Regjine e le Cyberaganis mi colpiscono ancora a ripensarci. E’ mondo crudele, è crudele è l’essere umano, e paradossalmente è pieno di imperfetta umanità, questo leggo fra le tue righe.
Eppoi ho ritrovato la poesia in una delle contis più intense, “Indenant cussì”. Tutta pagina 74 è una poesia, quando scrivi di quelle giornate piene di silenzio e di scarne essenziali parole, ed anche per come disegni i contorni di Michêl, la sue crittografie, i suoi sospetti e le sue pre-visioni. Mi hai ingannato con il windings, ed anch’io sono andata alla ricerca delle parole nascoste ma poi ho ricordato come fossero solo consonanti e sparute vocali, così ho preferito guardare i segni, le cornicette per chiudere una storia.

di Lucia G.

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Non ritengo sia corretto sottolineare troppo il fatto che sia scritto in friulano, insomma non vorrei che nell’apprezzare i pregi della tua opera si puntasse su questo aspetto. A mio parere, non potrebbe essere altrimenti, nel senso che questi racconti nascono “friulani” e qualsiasi altra lingua sarebbe stata impropria, ma allo stesso tempo vorrei che in questo frangente il friulano fosse considerato come qualsiasi altra lingua, non una lingua da promuovere a tutti i costi. Insomma, il tuo libro è pregevole di per se stesso, non perché è stato scritto in friulano. 
Il tuo libro ha la capacità allo stesso tempo di farmi vedere i tuoi racconti dal di fuori, come se osservassi i particolari di un bellissimo dipinto, e contemporaneamente di farmi sentire nel corso della lettura, protagonista della vicenda come se ad un certo punto qualcuno mi avesse preso per il bavero e mi avesse trascinato dentro al dipinto. E’ questa la sua bellezza.
La sua bellezza poi è quella di raccontare esperienze semplici,  di persone semplici (passami il termine) che hanno saputo essere protagoniste nella loro vita, che non se la son lasciata scorrere a fior di pelle, ma l’hanno vissuta di cuore, di pancia  e di testa, con piena coscienza, capaci di prendere decisioni importanti e di saperne vivere le conseguenze.
Son racconti tuoi e allo stesso tempo, sembrano essere scritti non solo per raccontare il vissuto, ma anche per insegnarci qualcosa; ogni racconto nasconde, ma neanche troppo, dei fini insegnamenti. Non so se questo aspetto sia voluto o spontaneo, casuale, sembra così “educato”, così proposto, non imposto, frutto della saggezza dello scrittore e del narratore, frutto della saggezza che permea i racconti dei “nostri vecchi”.
di Mmc




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Comments

  • Anonimo
    13 Novembre 2015

    La epopee di une çocje familiâr furlane, contade traviarsant timps dûrs (il nûfcent), tragjediis privadis jenfri cjasis, campagnis, paîs, personalitâts crudis ma ancje dolcis, e leiendis mâlcuietis e spaurosis che corin sù e jù pe acuile gjenealogjiche platade daûr de cuviertine.
    Une lenghe sute, chirurgjiche, moderne, che rive drete tal çurviel dal letôr.
    Par furlan si dîs "curtis e che a si tocjin", par chest il pennato si clame massanc.

    Pauli Cantarut

    reply
  • Anonimo
    14 Novembre 2015

    A mi mi son plasudis une vore e o consei la leture a ducj! No covente disi altri…
    Checo Tam

    reply
  • 18 Novembre 2015

    Per me avete scritto delle parole a caso, tanto chi vi capisce?

    Ohé, ciccio, complimenti! Ma in italiano ci sarà un'edizione? 😀

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  • 1 Aprile 2016

    Da lei asolutamentri. Lu consei a ducj. Ancje a mi:-)

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