"ABCdiario di lingua e mitologia urbana" di AAVV (epub)***
In Culonia. Mitica espressione che serve a puntualizzare come un certo luogo sia distantissimo dal punto da cui si parla (GENITORE: «Il pane è finito. Andresti a prenderlo?» FIGLIO: «Ma’, il supermercato è in Culonia!» GENITORE: «…è sotto casa»). Non è facile determinare la natura di tale avverbio, anche considerata la grande varietà di opinioni a riguardo: qualcuno parla di Culonia come di un luogo dell’anima, qualcun altro di un’isola volante che incombe alle spalle di ognuno (sic.!), senza che si possa raggiungere un accordo. Ciò che si può dire con sicurezza è che questa espressione gode di ottima diffusione già negli stadi più giovani e, in seguito, mantiene una certa frequenza nell’età adulta, ma conosce la sua massima impennata d’uso soprattutto a diciotto anni, quando le compagnie di neopatentati si organizzano per raggiungere in auto, e senza controllo parentale, un luogo agognato, per esempio la discoteca, commettendo però l’errore fatale di lasciar guidare il tipo della compagnia che meno si contraddistingue per il senso dell’orientamento. ~ Una sera, un mio amico e io siamo in cerca di un cinema parrocchiale dalle parti di Bovolone, una cittadina della bassa veronese. Vogliamo andare a vedere Io, robot con Will Smith; lo spettacolo è alle ventuno e sono già le venti e quarantacinque. La bassa veronese, voglio dire, la conosci? È Pianura Padana aperta. Un labirinto di strade strette in mezzo ai campi. Qualche volta senza il guardrail. Certi giorni c’è una nebbia così spessa che ti serve il coltello per tagliarla e devi stare attento a non finire in un fosso con la macchina. Comunque, quella sera, a Bovolone ci arriviamo. Ma dal cartello di: BENVENUTI A BOVOLONE in poi, giriamo e rigiriamo sbucando sempre alla stessa rotonda. Per strada non c’è nessuno a cui chiedere. A un certo punto, in mezzo a un gruppo di case, vedo quella che mi sembra una strada che non abbiamo ancora tentato, ci sono delle luci e mi pare di sentire voci di persone. La imbocco, nonostante il parere contrario del mio amico, e un attimo più tardi finiamo nel mezzo di un banco di nebbia fittissima, per cui procediamo a passo d’uomo seguendo le strisce della strada. Quando la nebbia si dirada, siamo in mezzo ai campi. Scendiamo per dare un’occhiata. Da una parte terra arata per la semina del mais e dall’altra filari di vigneti. La strada finisce in uno sterrato e alle nostre spalle non c’è segno di civiltà, né luci all’orizzonte. Tutt’intorno si sentono i fruscii della vegetazione, lo scorrere di un rivo da qualche parte e, a pochi metri da noi, il richiamo di un animale o un uccello. «Che strano» dico io ad alta voce, «non mi ricordavo i vigneti da queste parti». Il mio amico mi guarda con astio e sbotta: «Vecchio, ci hai portato in Culonia».
Zio Billy! Esclamazione di sorpresa che sorge spontanea sulla bocca fin dalla più tenera età. Il Billy in questione, pare sia il famoso succo d’arancia nel cartoncino alimentare, celebre ormai da una trentina d’anni. Questo succo di frutta – nonostante il packaging piuttosto povero e poco fantasioso (arancia su sfondo bianco) – era considerato, all’epoca, il non plus ultra in fatto di sughetti. Basti ricordare che, ai tempi delle elementari, unire il Billy a un panino con la mortadella (ma anche, in verità, affidarsi alla pastosissima formula Billy + Tegolino Mulino Bianco) significava superare di diverse lunghezze gli altri bambini che, per la ricreazione, s’affidavano a una Girella ormai in declino o, peggio ancora, all’inquietante Camilla al sapor di carota. Leggenda vuole che il giorno 13 novembre 1988 il tal Luca Noale di S. Martino Buon Albergo (VR), anni sette, canzonato dai compagni di classe perché unico, quel giorno, a essere senza Billy, abbia detto: «Tanto io di Billy ne posso bere finché voglio, perché li fa mio zio». Calò, com’è ovvio, il gelo su tutta la classe. Poi, interrogato su come si chiamasse lo zio, sostenne che il parente si chiamava proprio Billy e, si poteva intuire dal nome, abitava negli Stati Uniti. Anzi, aggiunse pure che guardando la confezione del succo di frutta da una particolarissima angolazione si riusciva a scorgere addirittura il profilo sorridente di quello stupefacente zio d’America. Quando, poco prima del Natale di quello stesso anno, la famiglia Noale si trasferì proprio negli Stati Uniti, fu subito chiaro a tutti che Luca aveva raggiunto il famoso zio Billy, che da quel momento cominciò – sotto forma d’esclamazione e/o di intercalare – a rappresentare la meraviglia nelle sue più sfaccettate forme. Da ricordare che attualmente zio Billy! può essere usato anche, in certi ambienti particolarmente raffinati, come sostituto soft di una bestemmia, e che l’intensità della pronuncia della b cresce a seconda della gravità della situazione. ~ ATTORE UNO: «Il nuovo X mi è costato 400 euro!» CORO: «Zio Billy!»