"Le sabbie immobili" di Giuseppe Pontiggia***

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"Le sabbie immobili" di Giuseppe Pontiggia***

Eccomi!Ordunque, vediamo se combiniamo di sistemare in mattinata le cose e il sorteggio de “Un par de copioni” e così vi do già, cari i miei 21 aspiranti plagiatori, il lavoro da fare.

Ora però voglio liquidare questo numero dei Racconti d’autore, di Giuseppe Pontiggia, che ora non conosco ancora, come scrittore, ma che mi è piaciuto assai e almeno non è più un Carneade qualunque.
Vi dico subito di non farvi ingannare dalle 90 pagine del numero, perché
a) c’è un glossario, alla fine.
b) ci sono pagina bianche e mezze pagine in mezzo.
c) per buona parte è fatto di decaloghi, definizioni, ironiche e lapidarie e brevi affermazioni.
C’è un po’ di tutto, in queste Sabbie immobili, ma c’è, soprattutto, un diario di un uomo che ama il proprio Paese, il nostro Paese, e che soffre terribilmente a vederne la decadenza, la rovina, la metamorfosi invertita, che da farfalla lo sta portando a bruco.
Subito vi spiego. Calma.
Prima volevo lasciarvi una sensazione che mi stava accompagnando durante la lettura. Mi continuavo a chiedere, a ogni riga, quando aveva scritto queste cose, perché le definizioni erano attualissime. La data dell’edizione Mondadori da cui è tratta è 2007 ma gli scritti sono precedenti, visto che il Pontiggia (adesso ogni volta che uso articolo+cognome penso a Piero Chiara) dicevo, il Pontiggia ci ha lasciato nel 2003.
Fatto sta, ammettendo anche che siano scritte a fine sua vita, e quindi prendendo anche il periodo possibile più recente, ovvero 10 anni fa, le definizioni di questo giornalista-scrittore (in quest’ordine) sembrano guardare avanti, prevedere, indovinare le traiettorie che alcune parole, alcune espressioni, hanno poi avuto e verso cui si sono dirette.
Vediamo…
Vi copio qualcuna di queste cose.

SELVAGGIO Aggettivo diffuso nellItalia contemporanea. Sciopero selvaggio, sosta selvaggia. Unisce arroganza, prevaricazione e impunità. Immaginario il rapporto con i selvaggi.
MEDIA Vanno pronunciati “midia” per differenziarli dai mezzi di informazione di massa.

LUCCIOLE Peripatetiche notturne. Sostano nei viali sotto i lampioni, vicino ai fuochi sulle strade. Una volta erano insetti.
Ecco… capite? Sono di adesso. E se per questi, magari, non c’è stata questa gran lungimiranza, vi assicuro che a leggere tutto ti sembra strano che sia stato scritto più di dieci anni fa.
Perché è chiaro che c’è un altro amore, di Pontiggia.
L’italiano. Intendo la lingua italiana. Infatti qui sotto vi lascerò un paio di pagine, e me frego se quelli del Sole o della mondattori vengono a dirmi che non posso copincollare. 🙂
Le pagine che mi sono piaciute di più, assieme ai raccontini iniziali, e che parlano degli aggettivi. Aggettivi che scompaiono, che cambiano significato soprattutto, e spesso – anzi sempre – non vi è un guadagno linguistico. Insomma… è un difensore, questo Pontiggia, delle sfumature e dei colori della nostra splendida lingua e devo dire, davvero, che benché con il sorriso sulle labbra, un po’ di malinconia te la mette, rispetto alla lingua.
Sembra di essere a un funerale. Un funerale lungo, molto lento, ma che è inesorabilmente cominciato. Per dirvene una, Pontiggia vi fa venire voglia di usare l’aggettivo “umbratile” perché ti duoli che è scomparso e, come è successo a me, mi è doluto molto scoprire che un tempo ne conoscevo il significato, l’avevo cercato nel dizionario, ricordo, ma ora avevo solo un vago senso del sapere. Una cosa odiosissima, rispetto a una parola, a un termine. Un termine, una parola, sono tuoi quando li domini, quando riesci a sentire perfettamente il potere dell’uso, e se io adesso dicessi di me di avere un carattere umbratile, mi verrebbe quasi da pensare a taciturno, volubile, melanconico. E invece no, perché viene sì, da ombra, ma sarebbe meglio pensassi (ho dovuto cercare) a solitario o tutt’alpiù scontroso.
Insomma… non poteva non piacermi, un amante delle parole come costui.
Poi, gli si deve riconoscere una qualità: l’ironia fredda, l’abilità del portare il lettore al ghigno, piuttosto che al sorriso. C’è della cattiveria, sotto, da qualche parte, ma è una cattiveria che – lo si percepisce con chiarezza – scaturisce dal fastidio di vedere un Paese scivolare nel banale e nel superficiale, nelle cattive abitudine e nelle cattiverie.
E quindi sì, ironico e soprattutto sarcatistico, il tono di Pontiggia, ma non di condanna, bensì più vicino al compatimento.
Certo… non tutto è riuscito, in queste sabbie immobile. Ci sono zone di obsolescenza e zone che sembrano molto personali, e che magari, per un lettore medio, sono noiose e non dotate di appeal. Ma è poca roba. Un po’ di definizioni, un paio di decaloghi un po’ spocchiosi, qualche calembour scontato. Difettucci, che non inficiano la bontà di un libro da treno, o da cesso, perché è tutto un collage di racconti brevi o aforismi ed è perfetto per le micro letture e le micro pause (come i Corti, insomma 🙂
E ora basta, mi fermo e passo altrove.
Vi lascio queste due pagine scannate dal mezzo delle 5-6 sugli aggettivi e il loro uso, che sono, per me, il cuore pulsante del librettino e la parte migliore. Deliziose.
A voi!

 Fatiscente: era l’aggettivo preferito nell’Italia della ricostruzione.
 Aggettivo raffinato del primo dopoguerra era occiduo, che significa al tramonto. È scomparso quando sono scomparsi i pochi che lo usavano.
 Un aggettivo che allora non ricorreva, graffiante, può introdurci all’oggi. Graffiante fonde una aggressività felina con l’idea di graffiti. Una zampa di gatto su un muro che si scrosta. Ha una connotazione lievemente femminile, forse associata alla lunghezza delle unghie e ai graffi che negli amplessi letterari e cinematografici di anni fa lasciavano una traccia sulla schiena del partner. Oggi si usano meno (parlo dei graffi).
 Graffiante appartiene alla famiglia degli aggettivi da taglio. Gli altri due sono tagliente e incisivo. Si possono sovrapporre. Il taglio incisivo di questo racconto. Li si può associare all’idea di penetrare. Il taglio incisivo e penetrante di questo racconto. Suggeriscono una feconda convergenza tra l’idea dell’omicidio e quella del sesso. Sono tra gli aggettivi che io uso di più, ma esito a trame conclusioni.
 Importante: prediletto fino a poco tempo fa, è caduto in disuso per abuso (vestito importante, rapporto importante, serata importante). Gli stessi che scandivano, in un silenzio gravido di attesa: «È un libro importante», oggi ripiegano su interessante.
 Interessante: che suscita interesse. Detto generalmente da chi è disposto a provarne pochissimo per quasi tutto. Va preceduto da una pausa prolungata. Favorisce la laconicità.
 Alla grandezza si preferisce la grossezza. Grande scrittore si usa come una sigla, scrittore grande rischia di apparire enfatico. Sublime è rigorosamente vietato, tranne che per Hòlderlin.
 Grosso è famigliare e quotidiano. Grande unito a scrittore ce lo allontana, ma grosso lo avvicina alle taglie forti di nostra conoscenza.
 Possente: variante estetico-erotica di potente. Possenti erano gli dèi greci e, per l’omosessuale cólto che scendeva in Italia, la loro reincarnazione: generalmente i marinai di Venezia e i bagnini di Viareggio.
 Possente, come grosso, rientra negli aggettivi della buona salute. Nonostante la pubblicità delle diete e i rischi alimentari, il peso ha una importanza ancora rilevante nella critica letteraria, stavo per dire un peso decisivo. Opulento, detto indifferentemente dello stile del Bartoli o di un passo di Gadda, ha una connotazione invariabilmente positiva: come forte, vigoroso, robusto.
 Una prova a contrario è offerta dagli aggettivi della cattiva salute: debole, stentato, smorto, pallido, incolore.
 Gracile è l’aggettivo che i giovani, nel fiore degli anni, si sentono attribuire più spesso. Ma anche esile li getta nella costernazione. Invece sottile e asciutto hanno la salute proverbiale dei magri che praticano lo sport. Anche lo scarno attrae, come il più raro “prosciugato”, forse perché li si ricollega non alle privazioni, ma all’ascetismo.

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