"Bicchiere pieno e altri racconti" di John Updike****
C’era un che di confortante in questo, pensava Lee. I suoi guardiani erano ancora con lui. Se li portava dentro, e di là seguitavano a prestargli le loro cure e la loro tutela. Da Nonnino, con il suo caratteristico modo incerto di alzare la mano dalla pelle sottile come per impartire una benedizione o per chiedere un attimo di tregua alle autorità costituite, aveva ereditato la longevità, e da Nonnina la rustica tenacia e la tempra robusta che avevano ceduto solo lentamente agli assalti degli anni e della malattia. Gli appartenevano anche l’elusivo realismo del padre e il calore intenso e insoddisfatto della madre. I suoi guardiani vivevano in lui, manovrandolo come una sorta di minuscolo equipaggio umano racchiuso in un’alta armatura di DNA deambulante. Non l’avrebbero guidato nella direzione sbagliata; la morte l’avrebbe raggiunto con garbo, ed era ancora molto lontana.
La beatitudine risale, suppongo, ai momenti di sete soddisfatta dell’infanzia, qualche stato più a sud di questo, dove c’erano fontanelle pubbliche in tutti gli edifici municipali e i grandi magazzini, dove le tavole calde mettevano bicchieri d’acqua ghiacciata a disposizione dei clienti senza neppure bisogno di chiederlo e gli empori offrivano Alka-Seltzer al banco delle bibite per curare qualsiasi malanno affliggesse gli avventori, dai postumi di una bevuta all’orticaria. Abitavo dai nonni, all’epoca, un bambino alloggiato presso due anziani grazie ai dissesti provocati dalla Depressione, e nella cucina di casa loro c’erano un pavimento rivestito di linoleum e un profondo lavandino di ardesia dai rubinetti di rame, con i lunghi cannelli macchiati di verde dall’ossidazione. Allora i bambini arrivavano sempre di corsa’ da un posto o dall’altro con una gran sete innocente: correvano, oppure pedalavano a tutta forza su una bicicletta dalle gomme larghe, immaginando che fosse un bombardiere sul punto di distruggere una nave da guerra giapponese. Riempire un bicchierone d’acqua al vecchio rubinetto del lavello era un modo per entrare in contatto con la vastità del mondo.
E’ tutto, dunque. Una bella lettura.
Updike, tra l’altro, è quello che ha scritto le streghe di Eastwick, quelle del film col grande Jack, e ha pure vinto il Pulitzer.
E io, adesso, mentre penso a queste cose e mi metto i Kordz nel lettore, vado a farmi una corsa. buon pomeriggio, cari amici del blog di gelo!
Alessandro
C'è sempre qualcosa di imperscrutabilmente straordinario in queste recensioni…
No, non le definirei recensioni… ma messaggi appassionati sì…
gelo stellato
un'inperscrutabile straordinarietà è il sogno di qualsia diffusore di cose belle. Graazie. 🙂
Fini Tocchi Alati
che fine ha fatto il post che avevo scritto qualche giorno fa? Boh. In sintesi: mi è piaciuto molto avevo letto solo le streghe e credo bisogna leggere le storie del coniglio.
ora leggo conrad: meraviglioso!
gelo stellato
ehi, io non ho letto nessun post? qui? in effetti forse ti avevo risposto? spero non spariscono i commenti da soli sennà metto le dita negli occhi al signor Google, la prossima volta che lo vedo. Conrad, eh… appena smetto quella merda di Lorca, leggo quello!