"Roqueval" di Nina Berberova**(*)
No, stavo per spegnere, ma mi sono detto. Eccheccastello, non gli lascio nemmeno un pezzettino da leggere? E ho aperto a caso, e indovinate? proprio nella pagina in cui avevo trovato uno dei momenti più incisivi e belli ed eleganti.
Ve lo lascio, dài, voletemi piùbbene!
L’estate volgeva al termine. […]
Il cielo azzurro è alto; i grandi alberi brillano silenti, la ghiaia del giardino è bagnata.La fontana verde-rossiccia all’ingresso lascia cadere un’ultima goccia, come se fosse piena fino all’orlo, il leone di pietra senza testa si è già asciugato al sole. Ma non mi va di essere ingannato e allora mi affretto a scendere inoltrandomi nel folto del giardino: ho bisogno di testimonianze che attestino questa prima scorreria notturna dell’autunno; cerco prove. Ed ecco da un ramo che ho urtato mi cade addosso uno scroscio, il mio piede affonda nel fango e il pesante ramo di melo, spezzatosi cadendo sulla stradina e sui rossi lombrichi venuti all’aperto, rappresenta un terribile indizio: la sua caduta modifica il profilo amabile e familiare di quell’albero.
E così, non era nelle persone che secondo me avevano dovuto abitare la misteriosa Roquenval, e nemmeno nei vivi, estranei a questa casa, né in me o in tutti noi, che andavo in cerca di ciò che tanto mi aveva attratto nelle prime settimane della mia vita qui. Certo, il viale di tigli davanti all’ingresso faceva resuscitare o meglio dava vita nella memoria al mio passato scomparso; nella camera da letto di Praskov’ja Dmitrievna, accanto al crocefisso, era appesa l’icona di Suzdal’ racchiusa in un’antica cornice; un nome di donna in caratteri cirillici era inciso sulla parete del chiosco in giardino. Potevo tentare di immaginare lo “zio Robert”, il conte russo, la rosea fanciulla dal nome fintamente russificato, gli sconosciuti – vivi o morti – dei quali indovinavo la presenza. Ma i residenti o gli ospiti che mi attorniavano erano ormai distanti dal foltissimo fascino che ancora viveva nei nomi e nelle cose.