"Moto ondoso stabile e altri racconti" di Anne Tyler****

"Moto ondoso stabile e altri racconti" di Anne Tyler****

Velocissimi!
Questi racconti di Anne Tyler si leggono davvero in un attimo. E sono strani… Avevo messo tre stelline, inizialmente, ma poi mi sono reso conto che hanno un fascino particolare, non fatto di “bello scrivere” o di intuizioni narrative o storie incredibili.
Niente di tutto questo.
Ci sono tre storie, in questo libro, tre piccoli cortometraggi rubati a tre vite, con tanto di flashback necessari per inquadrare il momento e pensieri interni per rendere partecipe il lettore.
Nella prima storia c’è Bet nel giorno in cui consegnerà Arnold, il suo bambino difficile, affetto da deficit d’attenzione e ormai ingestibile, a una clinica apposita. 
Nella seconda storia c’è Susan, che si è fidanzata e poi sposata con un prof che ha il bernoccolo delle lingue, okay, e che va a trovare il predre, dopo parecchio, per natale, dopo che sua madre si è suicidata, e scopre la distanza e il gelo tra di loro.
Nella terza storia c’è di nuovo una donna, che ha un marito che è insegnante e non sa fare assolutamente niente, a casa. Nulla di nulla, ed è costretta a fare tutto lei, soprattutto con la manutenzione dell’auto, fino a far diventare la cosa una mezza ossessione.
Sono personaggi femminili, quindi, circondati da maschi che sono di solito inetti o comunque dotati di qualità che non sono adatte al rapporta di coppia in cui sono dentro.
Sono storie di imperfezioni, quindi, storie di una normalità che tende all’eccentrico ma senza mai sfociarvi. Personaggi che fanno cose tragiche o cose che fan ridere, così si va dalla struggente “consegna” del figlio del primo racconto, che poi sembra quasi surreale, nel momento in cui il treno è in ritardo, e lo diventa del tutto quando la banda comincia a suonare, per caso, proprio per quei minuti d’attesa, che forse avrebbero potuto far cambiare idea alla madre disgraziata.
Pieno di humour, per dire, l’essere inetto del marito insegnante, che nel momento in cui tenta di aiutare – falciando il prato – riesce solo da distruggere la falciatrice e rovinare l’erba.
Storie normali, quindi, che però nascondono tensioni. Ecco, forse è la parola chiave, questa della tensione. Quella quotidiana, quella della vita che non è un ingranaggio perfetto, ma un qualcosa che gira, che ruota, che procede, ma piena di fruscii, grattaine, cigolii… Sono proprio questi la materia trattata dalla Tyler.
Vediamo se vi saluto con un estratto, tanto per far capire.
 Trovato! Un paragrafo intero vi faccio leggere. E’ Susan che ci parla di suo marito, delle sue auto, dei loro modo diversi e non troppo coincidenti di usare le auto.

La Plymouth di mio marito ha il parafango sinistro ammaccato, un fanale posteriore rotto e una specie di piccolo sole di incrinature sul finestrino posteriore destro. Sembra che abbia deciso di cosumarla fino in fondo, spremerla come un limone per poi abbandonarla; la tratta come se fosse una creatura da sottomettere. Come i suoi abiti frusti e le sue scarpe con i tacchi consumati solo da un lato.

Qual è il suo problema? Io ho una Ford, perché sono convinta che sia più facile trovare i pezzi di ricambio. Ha cinque anni, ma sembra nuova di zecca. Anche il motore è come nuovo; l’anno scorso l’ho fatto pulire con il vapore. Alcuni non sanno neppure che si può fare.
Quando non piove per un po’, invece, sui parafanghi dell’auto di mio marito si possono leggere i nomi di decine di studenti della scuola. Per non parlare delle parolacce, delle faccine sorridenti e dei cuori. Dentro ci sono vecchi raccoglitori e riviste sparpagliati sui sedili, e pacchetti di sigarette appallottolati per terra. La leva del cambio automatico fa un rumore allarmante quando la sposta in posizione di guida, e il motore, una volta spento, ha un lungo ritorno di fiamma. E poi ha la cinghia allentata, ogni volta che prende una curva stretta si sente un rumore simile a un gemito di cucciolo. Io insisto che dovrebbe farla aggiustare. «Non puoi trascurare queste cose» gli dico. «Una macchina vale solo il tempo che le dedichi.»
A volte mi sento ridicola. Mi sembra di diventare come mio padre, un uomo pedante e metodico che non mi ha permesso di prendere la patente prima che imparassi a cambiare una ruota. Comunque so di avere ragione. «E se una volta ci lascia a piedi?» gli chiedo. «E se mentre stiamo facendo un lungo viaggio si ferma in mezzo a un’autostrada a otto corsie?»
«Ma è un’ottima macchina» dice mio marito.
Però si offende, lo vedo. Sprofonda nel sedile e guida con un polso solo appoggiato sul volante. La sua guida è sempre da brivido: partenze improvvise,^ curve secche, fermate brusche. Ai semafori si rifiuta di mettere in folle. Io sostengo che dovrebbe farlo, ma secondo lui è inutile. «Che senso ha comparare un’auto col cambio automatico se poi devi lo stesso cambiare di continuo?» obietta.
«È per risparmiare la frizione, ovviamente.»
Lui mugugna qualcosa e riparte con un cigolio. Mi riprometto di non dire più nulla, ma non riesco a evitare una critica silenziosa: quando ci avviciniamo a una curva a cento all’ora, appoggio una mano sul cruscotto per tenermi.

Fatto. Direi basta. Domani c’è un racconto di Claudio Magris, che non ho mai letto e che quindi devo ricordarmi di comprare e leggerò volentieri, credo, se non altro per sapere come scrive.

Comments

  • 26 Luglio 2012

    Sì, tanto piaciuti anche a me. Dopo l'uccellaccio del malaugurio, ci voleva proprio. Peraltro, mi sa che ora mi sono impelagato con un altro mare che mi sta parendo palloso assai.

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