"Moto ondoso stabile e altri racconti" di Anne Tyler****
La Plymouth di mio marito ha il parafango sinistro ammaccato, un fanale posteriore rotto e una specie di piccolo sole di incrinature sul finestrino posteriore destro. Sembra che abbia deciso di cosumarla fino in fondo, spremerla come un limone per poi abbandonarla; la tratta come se fosse una creatura da sottomettere. Come i suoi abiti frusti e le sue scarpe con i tacchi consumati solo da un lato.
Qual è il suo problema? Io ho una Ford, perché sono convinta che sia più facile trovare i pezzi di ricambio. Ha cinque anni, ma sembra nuova di zecca. Anche il motore è come nuovo; l’anno scorso l’ho fatto pulire con il vapore. Alcuni non sanno neppure che si può fare.
Quando non piove per un po’, invece, sui parafanghi dell’auto di mio marito si possono leggere i nomi di decine di studenti della scuola. Per non parlare delle parolacce, delle faccine sorridenti e dei cuori. Dentro ci sono vecchi raccoglitori e riviste sparpagliati sui sedili, e pacchetti di sigarette appallottolati per terra. La leva del cambio automatico fa un rumore allarmante quando la sposta in posizione di guida, e il motore, una volta spento, ha un lungo ritorno di fiamma. E poi ha la cinghia allentata, ogni volta che prende una curva stretta si sente un rumore simile a un gemito di cucciolo. Io insisto che dovrebbe farla aggiustare. «Non puoi trascurare queste cose» gli dico. «Una macchina vale solo il tempo che le dedichi.»
A volte mi sento ridicola. Mi sembra di diventare come mio padre, un uomo pedante e metodico che non mi ha permesso di prendere la patente prima che imparassi a cambiare una ruota. Comunque so di avere ragione. «E se una volta ci lascia a piedi?» gli chiedo. «E se mentre stiamo facendo un lungo viaggio si ferma in mezzo a un’autostrada a otto corsie?»
«Ma è un’ottima macchina» dice mio marito.
Però si offende, lo vedo. Sprofonda nel sedile e guida con un polso solo appoggiato sul volante. La sua guida è sempre da brivido: partenze improvvise,^ curve secche, fermate brusche. Ai semafori si rifiuta di mettere in folle. Io sostengo che dovrebbe farlo, ma secondo lui è inutile. «Che senso ha comparare un’auto col cambio automatico se poi devi lo stesso cambiare di continuo?» obietta.
«È per risparmiare la frizione, ovviamente.»
Lui mugugna qualcosa e riparte con un cigolio. Mi riprometto di non dire più nulla, ma non riesco a evitare una critica silenziosa: quando ci avviciniamo a una curva a cento all’ora, appoggio una mano sul cruscotto per tenermi.
Fatto. Direi basta. Domani c’è un racconto di Claudio Magris, che non ho mai letto e che quindi devo ricordarmi di comprare e leggerò volentieri, credo, se non altro per sapere come scrive.
Fini Tocchi Alati
Sì, tanto piaciuti anche a me. Dopo l'uccellaccio del malaugurio, ci voleva proprio. Peraltro, mi sa che ora mi sono impelagato con un altro mare che mi sta parendo palloso assai.