"American Dust" di Richard Brautigan****
Richard Brautigan nasce a Tacoma, Washington, nel 1935 e muore in California nel 1984. Due anni prima, quando il successo mondiale di Pesca alla trota in America del 1967 è un ricordo lontano, Brautigan pubblica American Dust, il suo ultimo lavoro. Un capolavoro minore, nel quale ironia e dissoluzione confluiscono l’una nell’altra. Nei ventitré anni trascorsi da allora, il romanzo – fino a oggi inedito in Italia – ha avuto continue riedizioni ed è stato tradotto in sette lingue.
Seconda pagina, tipo:
Mentre sono sedito qui, in questo 1° agosto del 1979, accosto l’orecchio al passato come ai muri di una casa che non c’è più.
Oppure un po’ di pagine più avanti, quando è l’autore bambino a raccontare:
Pensieri infantili di morti precoci continuavano a dipanarmisi in testa, ma forse sbucciarsi è il modo migliore e più accurato di descrivere la cosa, proprio come una cipolla che, sbucciandola, diventa una palla sempre più piccola e gli occhi mi si riempiono di lacrime finché, a forza di sbucciarla, la cipolla non c’è più e smetto di piangere.
Il mio nuovo vicino aveva sempre i vestiti tutti in ordine. I miei vestiti, invece, il più delle volte non si capiva se me li stavo mettendo o togliendo. Sembravano sempre mezzi messi e mezzi tolti.
I suoi genitori gli volevano molto bene. Lo capivo da come gli parlavano.
Mia madre tollerava a malapena la mia esistenza. Che io ci fossi o no, non le cambiava molto. Di tanto in tanto attraversava dei brevi periodi di affetto intenso nei miei confronti, che mi rendevano sempre abbastanza nervoso, e alla fine ero quasi contento quando tornava semplicemente a tollerare la mia esistenza. Vi prego di perdonare questo interludio edipico fumettistico, tanto più che il rapporto con mia madre non c’entra con questa storia.
Il mio nuovo vicino era più grande di me e controllava la nostra amicizia. I ragazzi più grandi lo fanno spesso.
Per me diventò una specie di fratello maggiore astratto. Era sempre molto gentile e comprensivo nei miei confronti, ma fissava delle distanze tra noi. Io avrei voluto vederlo un paio di volte al giorno e invece ci vedevamo tre o quattro volte la settimana. Questa era una sua scelta. Era lui che decideva quanto tempo passavamo insieme.
Insomma… diciamo che dovrei avervi reso l’idea.
Ora la storia… be’, la storia. La storia è un lungo racconto di un ragazzino e della sua estate in cui, al posto di comprarsi un hamburger, si è comprato dei proiettili. Una storia di un rimorso, quindi, ma che racconta di come vede il mondo un ragazzino, non certo avvolto dall’affetto, senza una figura paterna solida, ma nemmeno materna, che però ha fantasia e abilità nell’osservare il mondo, nel coglierne le stranezze, come guardare i funerali o la routine di una coppia che va a pescare al lago scaricando prima tutti i mobili e pescando dal divano.
Insomma… una storia breve che mette un pennello in mano a un preadolescente americano degli anni ’30 e ci racconto sia di lui, sia della Grande Crisi, sia di come si può guardare il mondo e di come, a volte, possono capitarti delle cose brutte quando meno te lo aspet
ti.
Credo che vorrò leggere, prima o poi, il libro più famoso di Brautigan, quello là della pesca alle trote. Intanto mi accontento di questo. Grazie noè, un bel controregalo!
Noè
Grazie a te!!! Un contro regalo presuppone un regalo!!! Me l'hai regalato tra Natale e Capodanno…ed è diventato il mio libro del primo dell'anno, perché l'ho letto quel giorno.
^_^
Contenta ti sia piaciuto!
Anche a me è piaciuto!
gelo stellato
🙂