"Neve" di Maxence Fermine***

"Neve" di Maxence Fermine***

Ogni tanto penso che “Il piccolo Principe” abbia fatto tanto male ai lettori, e soprattutto agli scrittori.
No, non ce l’ho col Petit, ne con l’aviatore francese. E non ce l’ho nemmeno con questo libro di Fermine, che in fin dei conti, è carino, e se la cava egregiamente, in quell’immensa macchia editoriale dei “libri che in qualche modo ti fanno pensare o vogliono che tu pensi, che si avvicinano al Piccolo Principe“.
Mi riferisco più che altro a un certo stupore letterario per poveri, che ormai, proprio in seguito al capolavoro di Saint-Exupéry, riceve spesso molti Osanna e molti AlèAlè, da tutto quello che sta in mezzo tra chi scrive e chi legge. Io sono sempre stato a favore della semplicità. Distinguo addirittura la poesia in due categorie e, pur apprezzandole entrambe, ho sempre parteggiato per la poesia semplice, e non l’altra.
(Forse per invidia, certo, ma tant’è)
Tanto per farvi un esempio, trovo che “L’animale che mi porto dentro […] si prende tutto, anche il caffè” (Battiato), sia tra i versi più belli ma ficcati in una canzone. Ed è semplice, semplicissimo.
Insomma, diciamo che anche questo “Neve” di Maxence Fermine, soffre un po’ di questa malattia, del voler farci credere che se in una pagina ci scrivi solo una decina di parole, ma in mezzo, allora è poesia, se scrivi semplice semplice, allora è bellezza, se racconti come fanno i grandi ai bambini, pur non raccontando ai bambini, allora è meraviglia.
Per capire che la colpa di ciò, non è dell’autore, e nemmeno del lettore, basta leggere i commenti faraonici riportati in quarta di copertina, che riporta, a sua volta, commenti di vari giornali francesi. Cioè: “Un libro che prova […] che la letteratura esiste ancora.” Ma vi rendete conto?
In ogni caso limitiamoci ai fatti, ovvero al libro, e lasciamo stare i contorni e le sorgenti.
“Neve” è un romanzo, piccolo, così piccolo che bisognerebbe chiamarlo racconto lungo, (a occhio e croce saranno un 30mila k, forse anche meno), ma la struttura è da romanzo, e quindi lo chiamiamo così.
Un romanzo rarefatto, dunque, che mette insieme alcuni ingredienti:
Una forma poetica (gli haiku)
Un colore (il bianco)
Una storia (d’amore)
Un’ambientazione (orientale)
Un mood (la rarefazione)
E quella semplicità poetica di cui si diceva a inizio post che che richiama la piacioneria letteraria del baricchianesimo e dintorni. E’ un libro che, se lo prendete con la coscienza di torglieli le sovrastrutture mediatiche e commerciali, potrete anche apprezzare; ma se tentate di cogliere ciò che tali sovrastrutture promettono… beh, no, lasciate perdere. Lo odiereste.
Dico questo perché se da un lato, qui, l’accedere al mondo degli haiku e della filosofia orientale, è fatto con criterio e senza spocchia, resta un punto fermi che è concepito “all’occidentale”, e io, da perfetto, umano e disumano, occidentale, non ho mai avuto, ne mai avrò la pretesa di entrare in quel mondo e di capirlo. Figuriamo poi di raccontarvi una storia con protagonisti un poeta giapponese e un vecchio pittore cieco…
Anzi, l’unica cosa che ho capito, è che quel tipo di cultura orientale non è, per noi, comprensibile e non potrò mai capirla fino in fondo. Quindi sì, prendetelo con attenzione, questo libro.
Entrando nel libro, invece, i pregi aumentano. La storia di Yuko, che vuol fare il poeta e che scrive solo haiku con il kigo invernale, bianchi come la neve, è una bella storia. Yuki si innamora, di una donna misteriosa rinchiusa nel ghiaccio, di una donna bellissima che forse, Soseki – il pittore cieco a cui si rivolge perché i suoi haiku trovino finalmente il colore – sa qualcosa. 
Ed è proprio Soseki, una figura in cui si rivela tutto il potenziale filosofico e riflessivo della cultura del Sol Levante, il mastro che gli insegnerà il colore della poesia, affinchè lui possa diventare il poeta di corte dell’Imperatore. Insomma, semplicità, si diceva, ma semplicità nella forma immersa in una trama che non è banale e che si rivela, via via, solida, nonostante la rarefazione piaciona di cui viene farcito il romanzo.
(per rarefazione piaciona intendo quando venti pagine le fai stare in 107, però con criterio).
Per il resto, è un ottimo romanzo da regalo (no, non certo come i Corti :), tant’è che io, appassionato di haiku e di atmosfere rarefatte e colorate e di libri piccoli e brevi, l’ho gradito davvero parecchio. (Grazie Noè).
Anzi, vi ricordate quando vi ho parlato di Coraline, che era un libro che dovevo leggere in un giorno e invece l’ho finito già nel pomeriggio? Ecco, poi ho letto questo, terminandolo quasi al tramonto, di fronte al mare, e devo dire che la lettura e la riflessione ne hanno beneficiato.
[Bellissima, tra le varie immagini, quella della funambola]
E’ tutto, su neve, anche perché altrimenti faccio un post più lungo del libro.
Vi saluto con due cose, se le trovo.
Una è il dirvi che è uscito il nuovo dei Massimo Volume.
Sì, i Massimo Volume. Quei Massimo Volume là, quelli che ci hanno insegnato come separare e unire musica e parole, e tutto nella stessa canzone. C’è anche il video nuovo, e non pare che il tempo gli sia corso lungo i bordi:
L’altra cosa, visto che si parlafa di filosofia zen, è una tra le più belle battute di bart Simpson in proposito. La puntata è nell’episodio “Dead putting society” ovvero Mini golf Kid, per noi, dove Bart affronta Todd flanders in un torneo di minigolf, e per la preparazione Lisa introduce Bart ai misteri dello Zen…
E’ costretta a insegnargli il suono di un albero nella foresta, perché quando tenta di fargli capire qual’è il suono del battito di una mano sola… Bart lo sa benissimo!
Qui trovate la puntata… In italiano non l’ho trovata. E’ intorno ai tredici minuti e venti della puntata… tremila anni sputtanati in pochi secondi. 🙂

Comments

  • 1 Novembre 2010

    Mi hai incuriosita. Forse lo comprerò. Comunque ho scoperto con grande vergogna che ho riletto il Petit Prince due anni fa e di nuovo non mi ricordo come va a finire.
    A proposito di Oriente cosa ne pensi di Murakami Haruki, "Kafka sulla spiaggia"?
    Gloria

    reply
  • 1 Novembre 2010

    Di Murakami m'innamorai, anni fa, di Tokio Blues, poi non so perché l'abbandonai e ci sono ritornato con a Est del confine, a ovest del sole, che non era granché
    Kafka… è stempre stato tra quelli che mi ispiravano di più.
    E credo che lo leggerò quando lo vedo in versione non copertina rigida.
    Altro non mi pare di conoscere
    di lui.
    E comunque nemmeno io mi ricordo come finisce il petit
    e vivo bene lo stesso
    La verità è che il petit
    dà il suo meglio nella prima metà e vino all'addomesticamento.
    🙂

    reply
  • 1 Novembre 2010

    Anche a me Neve fu consigliato come libro da regalo
    e infatti l'ho regalato a tre persone.
    Il riscontro però non è stato troppo positivo:
    i tre sono rimasti un poco indifferenti
    e forse è per questo che non l'ho mai letto
    e ho anche smesso di regalarlo.
    Che peccato 🙁

    reply
  • 1 Novembre 2010

    Mi sa che l'hai regalato a quelli che l'hanno detestato… 🙂

    Mi farai sapere cosa succede regalando i Corti 😀

    reply

Post a Comment

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.