"Il segreto del Morbillaio" di D. Giovanelli***
Dovevo leggerne uno di Carroll (Jonathan) che avevo beccato a un tre euro il giorno prima (Il mare di legno) e ancora gasato per l’affare mi ero portato dietro al mare.
Poi succede che l’affare era un bidone (quarta legge dell’emodinamica) e al libro mancavano tipo 8 pagine delle prime 20, in ordine sparso (anzi, se qualcuno lo possiede…). E allora, siccome tutti sanno che “niente libro e niente musica rendono gelostellato al mare pazzo” ecco che l’ho rubato alla donna, (l’avevo comprato per lei) e me lo sono riletto.
E’ vero, è vero… lo avevo già letto all’epoca della sua valutazione, e me lo ricordavo abbastanza, almeno riguardo le sue caratteristiche. Credo anche di avervene parlato, dicendovi che era un libro spassoso, e mi ero ripromesso di rileggerlo, anche se non subito.
Ebbene.
Ve lo riconfermo: Il segreto del Morbillaio è un libro spassoso.
Spassoso non vuol dire necessariamente che fa ridere. Vuol dire che diverte, e non è la stessa cosa.
Non dovete attendervi meraviglie nell’intreccio, o nello stile, o grandi innovazioni. Non ce n’è.
Ci sono tanti piccoli ingredienti. Cose semplici, ideuzze, simpaticherie, disegnini… ma così ben amalgamati da risultare un dolce gradevole, leggero, digeribilissimo.
In fin dei conti, bene ricordarlo fin da subito, è un libro i cui protagonisti sono i bambini e può essere letto anche da bambini. Anzi, è adattissimo per far venire voglia di leggere. Se avete un marmocchio di quinta elementare che le uniche cose che ha letto in vita sua sono le istruzioni per la wii, beh, il Morbillaio può effettivamente fare centro.
Due parole sulla trama, che è importante quel tanto che basta per trascinare la lettura per i capelli e voler scoprire il mistero che si cela dietro a una poesia ritrovata. Una poesia di chi? Ma del Morbillaio, naturalmente. Il poeta che vedete in copertina e di cui ben volentieri vi lascio la spiegazione del nome, ottima per capire il tono e i colori del libro. Dalla prima pagina, infatti:
“Quando dalla valle attigua, tre o quattro volte l’anno, giungevano i parenti, in occasione della polentata di rappresentanza, Saturnetto si confondeva con la calda pietanza e riceveva da tutti diverse dolorose forchettate. I minuscoli forellini, cicatrizzando, gli conferirono il caratteristico aspetto maculato che gli valse il soprannome di Morbillaio.”
E Saturnetto Vinceslovo è appunto il poeta sulla cui memoria vive, prospera e ruota il piccolo paese di Vermiziano, luogo fantastico dove Danilo Giovanelli (con una sola ‘n’, che sennò, poverino, gli viene l’orticaria) ambienta l’avventura di un gruppo di ragazzini della locale scuola elementare, che casualmente scoprono uno scritto inedito del sommo Morbillaio, stranamente occultato e ricercato, pare, da parecchi…
Cosa nasconderà la poesia?
Lo si scopre leggendo, ovvio, ma è certo questo il cuore (o il tallone, in questo caso) del libro. L’anima libresca la trovate in tante piccole, divertenti, trovate. Surreali, ovvio, ma mai troppo da sconfinare nel completamente incredibile. Diciamo pure che siamo solo di fronte a esasperazioni di difetti attuali, riscontrabili in quei disgraziati che popolano le scuole elementari di questi tempi.
Come non provare simpatia incondizionata per Ebète Gomez Ahmet, l’affascinante cosmopolita che ha i nonni (separati e risposati) di dodici etnie diverse e quindi, ormai, parla una lingua che è una specie di esperanto fatto di tutto e di più? Oppure come non amare Crescione Vetropo, videogamemaniaco che va in cristi di astinenza dopo pochi minuti di separazione da una qualsivoglia tastiera o videogame? E figuriamoci quando arriverete al povero Rospo, il bambino con le palpebre disgiunte e il ruttorandom, piuttosto che al cande Deficenzio, così grasso che non cammina più, perché le zampe non toccano terra. Insomma, dovreste aver intuito cosa potete trovare a livello di personaggi.
A livello di ambientazione impossibile non nominare la scuola elementare, coacervo di stili architettonici che alla fine sembra un mix tra un’opera di Bosch e una di Escher. A livello di trama, invece, impossibile scordarsi il duello tra messaggiai, epico mezzogiorno di fuoco in cui si scontra la rapidità nello scrivere un sms con il cellulare.
Ovviamente, è un libro che va preso con il giusto senso della misura e del divertimento. Se siete odiatori di Benni, per dire, beh, siamo in quelle zone, e c’è il rischio che troviate tutto molto sciocco e addirittura fastidioso. Non ci sono molte seconde letture nascosto, da scavare e dissotterrare. Ci sono i classici temi del romanzo di formazione: l’amicizia, la verità, l’unione fa la forza, le cose non vanno sempre come devono… Però sono molto in secondo piano. Lo spasso surreale domina. Aspettatevelo.
Se invece ricercate un po’ di sano divertimento, con retrogusto fumettistico, beh, siete capitati bene. Il libro è completato (e non solo impreziosito) dai disegni di Danilo, (con lontanissimi echi jacovittiani, tanto per darvi una vaga idea del tratto). Dico completato perché i disegni non sono una scorciatoia per lesinare sulle descrizioni, ma sono una guida per l’immersione offerta al lettore. Non c’è scampo: una volta che hai visto il disegno dei Deficenzio, o del rospo, o della Spilunga… beh, ti pare di conoscerli, anche se non esistono, e non te li dimentichi più.
Difetti? Mah… non molti. La deriva Benniana è innegabile, ma vuoi per una maggior semplicità, vuoi per i disegni, vuoi per una giocosità maggiore il libro si discosta parecchio dall’accusa di clonazione et similia. Forse qualche riferimento, qualche nome, potrebbero essere stati scelti per risentire meno del tempo (per dire, il nome della figa della 5E, Naomi Campobella, ormai i giovinotti di adesso non sanno nemmeno più a chi si riferisca) ma sono quisquiglie. Il romanzo regge e dona spasso. Non vi aspettate altro. Lo spasso c’è.