Non è destino, a volte

Non è destino, a volte

Ogni tanto uno ci prova. Decide di viversi meglio un giorno, che se lo merita.
Oggi volevo andare al mare, a correre, finito di lavorare, la sera. Al mio mare, non quello surrogato, lontano, che è senza ricordi e senza dolori. Il mare del delfino addosso, del pezzo di cuore messo sul cemento del frangiflutti, delle solitarie giornate piene di righe. Del bagno nudo, della gaytudine, dei granchi cucinati e di tanto che è là, lontano, sepolto, ugualmente doloroso. Oggi ci ho provato, a smettere di precipitare per una sera. Significava farsi la cena, di insalata e pomodori e mais e tonno e peperoni e carote e cetrioli. metterla nello zaino frigo, con le pesche e da bere, per il dopo corso. E bisogna ricordarsi tante cose. Di mettersi il costume, di prendere le scarpe i calzini la fascia i ciclisti i pantaloni e maglietta e l’ipod e che sia carico e il cosetto per mettere telefono e chiave dell’auto e insomma… mi sono ricordato.
Mi sono dimenticato il limone e altro per condire, ma no, oggi non non mi sarei fatto scoraggiare. E allora con quei quattro spicci che ho nel portafoglio me lo sono andato a comprare, qualcosa per condire, il limone, e il sale, e quel che è. Perché no, uno vuole tornare sé, farsi una corsa vicino al mare, sudare, farsi il bagno, e poi cenare, sì, con la schifosa insalata e il culo sulla risacca. Non serve tanto.
Poi ho perso la lente a contatto. Non so come, sulla sabbia. Erano nuove.
E per me perderne una significano soldi, e restare mezzi ciechi, fastidiosi.
Eppure, non è per quello, no. E’ che quando uno ci prova e non va, capisce che è destino così, che la felicità docile è lasciata altrui, che è inutile provarci, che la sua un cane che finge di voler mordere un gatto, come Obama e Gandalf, ieri, a recitare per nessuno. Solo che la sua, sembra non fingere.
Almeno per quel giorno.

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