"Parigi di periferia" di Marilia Mazzeo****
La cosa più importante era l’atmosfera. Cercavo quella, io. Seguivo le altre ragazze camminando col naso per aria, guardando i tetti grigi e lisci, con i loro fitti abbaini e immaginando, là sotto, soffitte e pittori, lungo i quais ammiravo i clochard che dormivano sotto i ponti, con le bottiglie strette nelle mani sporche, e mi chinavo a immergere la punta delle dita nella Senna, perché amavo così Parigi che volevo toccarla.
Sì, era proprio come in tutti quei film che avevo visto. Sotto il pont du lena nell’oscurità calda della sera, qualcuno suonava il sassofono, e io mi impuntai perché ci fermassimo ad ascollarlo. Era struggente e fiabesco. E sempre piantavo radici davanti ai suonatori nel metrò.- i violini che riempivano di pathos le luride volte piastrellate mi facevano battere il cuore.
– Cos’è questa novità che ti piace tanto la musica? -diceva mia sorella ironica.
– Sono bravi.
– Un’altra delle tue fissazioni. L’arte. L’atmosfera. Adesso anche la musica.
– Sono bravi e basta.
I violini mi seguivano riecheggiando a lungo per gallerie, scale mobili e treni, quando infine venivo trascinata via dalle altre; e ancora più a lungo riecheggiavano nelle mie orecchie, e io ancora una volta pensavo al cinema e mi sembrava di essere dentro a un film. Camminavo allora dritta e disinvolta come deve camminare un’attrice, sentendomi addosso l’occhio di vetro della cinepresa, e intorno la colonna sonora, che era struggente e malinconica proprio come devono essere le colonne sonore che si rispettano. Il gioco riusciva così bene che mi convincevo che i musicisti suonassero solo per me: il genius bei di Parigi doveva aver sussurrato nelle loro orecchie: vedi quella ragazzina impalata là davanti? Nessuno lo sa, forse nemmeno lei, ma è un’eletta; una principessa: la attendono straordinarie avventure. Suona per lei, amico, e metticela tutta.
giurisprudenza, nonché medicina:
ed anche, purtroppo, teologia.
Da cima a fondo, con tenace ardore.
Eccomi adesso qui, povero stolto;
e tanto so quanto sapevo prima.
Mi chiamano Maestro: anzi Dottore.
Sono dieci anni che menando vo
pel naso i miei scolari,
di sù di giù, per dritto e per traverso
Ma solo per accorgermi
che non ci è dato di sapere, al mondo,
nulla di nulla.
E quasi mi si strugge, ardendo il cuore.