
"Grottesco" di Patrick McGrath***
Non saranno nemmeno due settimane, che ho letto questo “Grottesco” di McGrath, eppure quando l’ho preso in mano per parlarmene e metterlo via ho avuto un vuoto totale. Non mi ricordavo assolutamente di cosa parlasse.
Mi ricordavo solo che il grottesco del titolo si riferiva alla complessa figura di chi narrava e alle sue malfunzioni fisiche.
Nient’altro.
Mi sono rifiutato di sbirciare e mi sono obbligato a ricordare, però mi ci sono voluti alcuni minuti, per riuscire a ricostruire tutto.
Non è un bene, credo. Proprio no.
Certo, quando ho cominciato a rimettere insieme i pezzi è stato facile. C’è questa voce narrante, Sir Hugo Coal, che quasi subito ci dice di essere un corpo in stato vegetativo ma pienamente cosciente, anche se gli altri, a parte qualche intuizione di sua figlia, non lo sanno.
Un libro che parte così, come questa lenta e pomposa narrazione di Hugo che divaga ed stira la trama che ci vuole raccontare, instilla una curiosità di fondo, nel lettore: come diavolo è che ci stai raccontando tutto ciò?
E non è un danno, va detto, la scelta di non chiudere in modo pulito, su questa enorme black box. Ve lo dico subito, così non vi fate il sangue amaro, a fine libro, quando non avrete nessuna Grande Rivelazione, nessun Evento Risolutivo e nessun Dramma Improvviso.
Si va avanti con lo stesso passo, fino alla fine, con un ritmo oppressivo e pesante, che non riesce a nascondere, in alcune parti intorno alla post-metà del romanzo, un velo di noia.
La storia.
Abbiamo questo Sir Coal, nobile, paleontologo, tirchio, insopportabile, brontolone, acido e quasi stereotipato, nella sua figura di austero e antico dominatore di casa, abituato a trattare l’umanità con un misto fra indifferenza e disprezzo (eccetto la figlia minore Cleo). E’ lui che ci racconta tutto, e ovviamente impariamo fin dalle prime righe a dubitare di quello che dice, perché insomma… se un cannibale ti dice che sua moglie era una donna cattiva, un certo dubbio ci verrà, sul presunto cattivo carattere di questa poverina.
E così quando Hugo parte e fonda l’intera narrazione sul maggiordono Fledge, dicendoci subito che questi lo ha portato alla rovina ed è stato artefice e catalizzatore della decadenza che di lì a poco avvolgerà lui, l’intera famiglia e la stessa magione. Ecco che quando fa questo, descrivendo in sè i tipici tratti del paranoico con manie di persecuzione, siamo portati a non credergli, o per lo meno a credergli con molti dubbi.
Poi, mentre ci racconta i fatti, ecco che veniamo a conoscere i vari personaggi. Harriet, moglie oca e credulona, Sidney il fidanzato insopportabile (per Hugo) della figlia Cleo, il buon giardiniere George, la moglie alcolizzata di Fledge, la madre apparentemente racchia e decadute di Sidney… Personaggi tutti riusciti, tutti ben delineati, e tutti, senza dubbio, decadenti e decaduti.
E’ quest’aria di sfascio e mondo che cade a pezzi, infatti, quella che si respira lungo tutto il romanzo. McGrath fa il parallelo tra la decadenza delle vicende e quella di un’epoca di nobili inglesi che, così come non si rassegna a veder finire il periodo dei maggiordomi e dei tenutari padri-padroni, ne è pienamente conscia e affonda con la propria nave. Il maggior pregio del romanzo è forse proprio questa seconda lettura, questo Sir Hugo che si perde nel suo lavoro in modo ossessivo (costruisce uno scheletro che dovrebbe rivoluzionare la stessa classificazione del regno animale, con l’animale anello di congiunzione tra rettili e uccelli) e ci descrive la sua fine, incolpando e sviando, addossando colpe invisibili, fedele al motto che è quello della sua famiglia e della sua forma mentis: nil desperandum (mai disperare).
E sarebbe stato davvero un ottimo libro se tutto questo avesse avuto una degna conclusione e non si fosse incartato in un finale che ha scelto la non chiarezza. O meglio, l’interpretazione lasciata al lettore, e sticazzi, io dopo l’ultima pagina avevo un giramento di palle non indifferente, per non avermi chiarito tutto. Sì, okay, continuavo a pensare, logico che l’assassino è X, logico che tu vuoi che io pensi così, però uffa, io preferivo se me lo dicevi in faccia. Credo sia questa mancanza di finale limpido e ben gestito che poi mi ha fatto dimenticare il libro. Il senso di grottesco, che durante la lettura compare in molti momenti, viene quasi svilito da una chiusura che pare frettolosa. Boh… peccato, ho pensato, si poteva fare meglio.
Ah, una particolarità. Lo humour nero di cui si parla nel retrocopertina. Mah… non è proprio così scontato. Anzi, le situazioni pseudo umoristiche sono molto più vicine alla tragedia, che al sorriso. Non è nè un bene nè un male, solo una precisazione.
Per il resto, beh, la scrittura è adatta a quella di un vecchio nobile e burbero che ti racconta il suo mondo con le sue ragioni e si perde nei suoi perché, e quindi la pesantezza di alcuni passaggi posso anche tollerarla, perché è la stessa noia che sopporterei se un vecchio nonno di parlasse “di quando era in Africa” o “di quanto è bravo e integerrimo il suo fido giardiniere George”. What a coions, penserei nel retrobottega, ma ascolterei.
In conclusione… libro da leggere?
E’ un buon libro, ma l’ho comprato per la coincidenza di due motivi: mi era piaciuta la raccolta “Acqua e sangue” e le edizioni Adelphi erano in sconto. Nel complesso non lo promuovo del tutto, però a sufficienza per dargli fiducia di nuovo. Leggo in giro, infatti, che forse farei meglio a leggere “Follia” e “Morbo di Haggard”. Voi ne sapete qualcosa?
abo
Ciao Gelo, io ho letto Follia.
E' un buon libro, a mio avviso, me non esente da alcuni dei difetti che attribuisci a Grottesco.
Se decidi di leggerlo non ti aspettare uno stile scoppiettante o agile, le paludi mentali rallentano il tutto anche lì.
gelostellato
danke!
e in effetti il titolo lasciava presagire quello…
è in effetti uno dei suoi temi ricorrenti, mi sa.