
“I veri credenti” di Joseph O’Connor***
Varie cose, adesso, ma allcune le lascio da parte e altre, come ascoltare le canzoni che sono rimasto indietro, le mescolo a questo post che mi va di scrivere. Perché con le canzoni, e i dischi, da quando si può, cerco di non rimanere indietro, anche se poi dimentico, che è il prezzo da pagare per non rimanere indietro. Sì, okay… non è chiaro, ma non importa.
Resta che adesso vi parlo di questo libro, letto in due rate, e mentre lo faccio vi beccate anche le canzoni rimaste indietro, così voi che non eravate indietro, se sapete della loro esistenza e non le ascoltate, be’… vi avrò ceduto la mia lacuna. Ancora meno chiaro, vero?
Ve lo spiego con un esempio. Questo week end, tra i tanti figli celebri del mondo, sono usciti allo scoperto almeno due. Uno è Maldini, il figlio di Paolo e nipote di Cesare che ha segnato un gol e tutti ora sappiamo che esiste, gioca pure lui al Milan, e se non è generazione record di calciatori siamo lì. L’altro figlio, quello che non ho intenzione di lasciare indietro, si chiama Yorke. Sì, il figlio di Thom. E ha uscito un pezzo a suo nome (aveva fatto uscire altro, ma si faceva chiamare Owen qualcosa). Il pezzo me lo sono segnato e volevo ascoltarlo. Trying too hard (lullaby).Quando dice I promise fa molto radiohead di quella canzone b-side del disco famoso che si chiamava così. E anche il suo falsetto, sembra ma non è. Che dire… il pezzo è triste il giusto, ma boh… diamogli tempo di far rotolare la sua pera lontano dall’albero da cui è caduta. Ecco… dicevo, se ora siete appassionati di Radiohead, e siete curiosi di sentire questa canzone di Noah Yorke (cioè… Noah, lo doveva chiamare… capite? Noah Yorke… dove la tiene la statua della libertà!) e non lo fate adesso, siete rimasti indietro di una canzone. Per colpa mia, tra l’altro.
Ma io dovevo parlarvi di un irlandese, e non di inglesi, e dovevo parlarvi di libri, e non di figli famosi. Ma mi ci posso avvicinare dicendovi che O’Connor, l’autore di True Believers, è il fratello. Sì, il fratello di Sinead, altra spannata. E questo libro è sui miei scaffali da abbastanza anni, e il motivo per cui l’ho comprato non è certo il cognome, visto che sta cosa della fratellanza celebre l’ho scoperta cinque minuti fa. L’ho comprato perché c’è stato un periodo della nostra vita dove una casa editrice ha fatto une mezza rivoluzione, con questa collana dal dorso giallo e gli sfondi bianchi. Stile libero. Erano i tempi tipo seconda metà dei ’90 e si leggeva Lucarelli, Nove, Ammaniti… italiano che avevano davvero strette parentele con il surreale, l’orror, lo splatter… il nome Gioventù cannibale dovrebbe dirvi qualcosa, se siete vecchi quanto me. Insomma…. lo comprai pensando che fosse uno di questa serie, e in un certo senso lo è. La copertina è bella, tra l’altro. E adesso che ho ascoltato tre volte Yorke cambiamo canzone.anzi… una che avevo ascoltato, ma è uscito il video. Sono loro, sì, i Radiohead che faranno uscire Kid A Mnesia, per festeggiare anniversarivari. Straniante, il video. La canzone è bella… straniante, anche lei. Certo… sono i vecchi Radiohead, sarà un avanzo di quei due dischi, ma avercene…
Dicevo, a proposito di perdenti e persone che cantano cose cupe, che questo libro parla di borderline. Anzi… credo che il concetto stesso di borderline sia stato plasmato – in parte – da collane come queste. (Intanto mi ascolto questo EP di Kendrick… pieno di bei feat). Ci sono due ingredienti fondamentali, in questo libro, mescolati, che fanno l’intera pietanza. Sono l’idea classica di Joyce e dei suoi Dublineers unita all’ispirazione carveriana nei personaggi e nelle storie. Mi spiego meglio: è un libro di racconti, racconti irlandesi, che parlano di Irlanda (e Inghilterra) ai tempi in cui gli attentati erano una realtà concretissima e presente, in cui l’Irlanda era idealmente schiava e nemica di Londra e dei suoi dintorni, ma anche orgogliosamente cattolica, semplice e rurale. Okay… direte voi, non è poi troppo diverso, adesso, ma questo libro non è di adesso, ma è del 1991, anno dove sono cominciate parecchie cose di cui si festeggia il trentennale. Ed è importante, datare il libro, altrimenti si rischia di pensare cose che non sono più.
Cambio canzone, e vedo un po’ delle notifiche su youtube, per vedere se ci sono cose interessanti. Tipo Anna B. Savage, che fa cover fighe, ma adesso ha uscito una rarefatta canzone sua che volevo ascoltare, e pure un’altra cosa ancora più strana. (Che mi ricorda il carattere di PJ Harvey dei primi anni) Ma tornando al libro di storie irlandesi, dicevo che son fatte di perdenti, ma non perdenti sfigati, bensì persone normali, che fanno cose normali, e non necessariamente sono poveri, ma è una sorta di ceto medio irlandese, con le sue paranoie e le sue fisse, tipo la City meta amata e odiata, tipo la religione, tipo la duplice visione della questione politica e di tutto ciò che viene dopo la bloody sunday. Insomma… l’intento si capisce ed è riuscito. Raccontare l’Irlanda che crede di non meritarsi di essere raccontata. E così vi beccate storie che parlano di matrimoni che vanno a rotoli e restano in piedi, di tensioni inglesi-irlandesi durante vacanze assurde, di gente che beve troppo e sputtana la propria vita facendo cazzate, di studenti che tentano il salto e poi finiscono a fare hamburgher o a tornare a casa senza soldi da famiglie bigotte. Sono storie di sconfitti, più o meno, ma di quegli sconfitti che non si possono definire pienamente tali, visto che ci sono vite molto peggiori. Ah, sempre per chiacchierare delle cose da ascoltare che sto recuperando, conoscete Lola Young? E’ brava. E poi se volete ascoltate ancje il nuovo lavoro di quell’iperattivo di Sufjan, che molla l’elettronica (per fortuna) e riprende a fare cose gnagnose ma dolci e armoniche assiema a un tizo che non conosco.
Non è dolce, invece, O’Connor, che ha una prosa asciutta e secca, si perde poco ad abbellire, ma racconta soprattutto fatti e dialoghi, lasciando che le emozioni trapelino dalle azioni. Certo… non è Carver, eh, voliamo basso. Ma tutti i racconti sono piacevoli e riusciti, e anche se forse un paio potevano essere più corti, è abbastanza piacevole vedere come descrive le debolezze. Tutti credono, direi, e questo li salva. Se il marito carica la macchina di roba e scappa di notte dalla moglie per liberarsene in modo super vigliacco non è che riesce proprio a trovarlo una merdaccia, perché le sue debolezze sono anche le nostre. Se poi finisce in mezzo alla vacche in campagna con un autostoppista che forse è un evaso… boh, che dire. Forse è meglio lasciar stare. Ecco… una buona frase per riassumere questi tentativi irlandesi di cambiamento è proprio questa: Forse è meglio lasciar stare.
Okay… direi che è ora di andare a dormire, va. Vi ho tediato pure troppo, tra canzoni nuove (tipo questo pezzo strumentale dei Badbadnotgood) e questa raccolta di racconti che ha comunque un difetto di fondo: vanno contestualizzati, e se non siete interessati almeno un po’ a scoprire la vita borderline dell’irlanda negli anni ’90, potrebbe essere che questi Veri Credenti abbiano meno mordente. A me, che sono comunque ignorante in manteria, non è dispiaciuto leggerlo.