“La svastica sul Sole” di Philip K. Dick****
Questo è un romanzo del 1962.
Sì, 1962. Credo sia importante tenerlo a mente, se ne vuoi parlare, o se lo vuoi leggere. Perché, okay, possiamo anche liquidarlo in breve: è un romanzo distopico che è perfettamente utilizzabile per spiegare il termine distopia. O almeno, alla maggioranza delle persone, se vai a chiedergli a bruciapelo un evento del millennio scorso che – se non fosse andato come è andato – cambierebbe le sorti del mondo, molti cadrebbero, e credo con ragione, alla Seconda Guerra Mondiale,
Pensa a come sarebbe il mondo se avessero vinto i tedeschi-giapponesi, se la tecnologia nuclerare fosse arrivata prima lì, se lo sbarco in Normandia fosse stato respinto, e i codici dei sottomarini non decifrati, ecc. ecc.
Insomma… sarebbe stato un mondo diverso.
Peggiore?
Sì, se lo valutiamo con la nostra forma mentis attuale. Da incubo, se oltre a quella avete anche un minimo di cervello e di empatia per il genere umano.
E Dick immagina questo evento distopico e costruisce questa ucronia, questo mondo diverso, con diversi confini geografici, diverse forme di governo e ovviamente un modo diverso di viverci.
E quindi, se vuoi spiegare i termini ucronia e distopia con un libro al posto delle parole, ecco, un libro che fa al caso tuo è questo.
Comunque, detto questo, parliamo di cazzate con la calma dell’autunno, ché il blog serve a questo.
Vivo dall’inizio delle mie ferie, oramai finite, in una sorta di euforia intima e subcosciente per i fatti politici. Prima mi sentivo come un soldato a Caporetto, in attesa dell’esercito crucco che mi avrebbe fatto fuori. Ma mentre attendevo la fine, l’esercito si è fermato per ordine del suo generale in un bordello a bere mojiti e boh… intanto sono arrivati gli alleati, e se proprio si perde, intanto possiamo respirare e prendere tempo per evitare il default.
Poi certo… vedi gli invasati verdi ululare mentre lo stregone agita bambini, ti rendi conto che il doublethinking orwelliano si è fatto norma, e tornare a deprimersi è un attimo, ma non ci voglio pensare, in questa mezzora che mi separa dalla prima ora di lavoro, ascolto Sam Fender, tanto hype e poco arrosto. Ma ci sono cose belle. C’è per esempio che Giulia mi manda questo pezzo di Fibra riarrangiato e rifatto chitarra e piano da Canova e Fulminacci e ti rendi conto che è una meraviglia, tuo malgrado, anche il pezzo di Fibra. C’è che ho vinto il Premio Scerbanenco, ed è stato una bella cosa, anche perché, essendo cronicamente senza soldi, mi sono potuto permettere le scarpe da ginnastica, le scerbanenke, le ho chiamate, e posso buttare giù i dieci kg presi in una settimana di Spagna, manco fossi un attore che deve interpretare la parte di John Candy in un film su John Candy. E poi c’è che mia madre per ora non ha la leucemia e grazie al cazzo, lo sapevo già visto che mangia come un bove ma sentirselo dire dall’ematologa forse è più sicuro e soprattutto sono un sacco di rogne in meno. E pace se devo trovare i soldi per gli occhiali doppi del papi che non imparerà a usare, e resteranno là, in qualche cassetto. Ieri poi sono andato al mare, e non ho corso un cazzo perché c’era un tramonto bellerrimo e ho perso troppo tempo a guardarlo. E non ho letto un cazzo perché pur essendo Levi meraviglioserrimo, ho dormito. Ho dormito quasi dodici ore ieri. Una enormità, per me, dalla media di 4-5 ore. Ecco. Ci sono tutte queste cose intorno, e volevo metterci anche il gusto di aggiornare questo blog, di mettere via un libro che mi è piaciuto, e forse non come le pecore elettriche, ma che è comunque più difficile, più complesso, e per un lavoro simile, è da dire, più riuscito.
Ma la Svastica, è molto, molto meno celebre. Perché? Ovvio. Manca un film, un film che lo consacri. E non credo ci sarà mai, questo film. Un po’ perché non ci sono i film, un po’ perché siamo fuori tempo massimo. Un po’ perché il raccontare di celluloide si è fatto breve, e ci sono le serie TV e quella c’è, ma io non ne so nulla e amen.
Ma veniamo al libro, come si conviene.
Il libro ha una bella copertina, di quelle che tu dici, oh ma che cazzo c’entra, e poi leggi le prime pagine, e niente, è perfetta. Perfetta perché le cose cominciano da un orologio, un cimelio, una cosa antica del mondo pre guerra, di cui i collezionisti van ghiotti, soprattutto se sono ricchi giapponesi. Ma può succedere che ci siano dei falsi. Può succedere che la bolla dei falsi possa scoppiare. E quando c’è qualcosa di falso in nuce, nascono i ricatti, nascono i reati, le ritorsioni, le cose noir. Qui si sfiorano, le cose noir, ma non per il fatto dei falsi, ma per un libro. Un libro nel libro. (La cavalletta non si alzerà mai più, di Hawthorne Abendsen) Un libro che parla del mondo come sarebbe, del mondo come potrebbe essere bello, se fosse quello dove vincono gli alleati. C’è un microcosmo di personaggi costruito in America (divisa in tre) che vede incrociarsi le proprie vicende senza rendersi conto, o quasi, attorno a esso si muove un ingranaggio che può modificare – di nuovo – le sorti del mondo. C’è un avvicendamento al potere, nella Germania Nazista. I nomi sono anche di gente che leggiamo sui libri di storia e che, con la modifica distopica, non è morta, tipo Goebbels, tanto per fare un nome.
E in America c’è un orafo ebreo, operaio, Frank F(r)ink, che attua un cambiamento. E c’è uno stronzo di nome Robert Childan, commerciante che lecca ai giappo ma ama i nazi, e c’è un diplomatico tedesco, che deve incontrare un vecchietto giappo, per cose importanti, che saranno ancora più importanti. E c’è Juliana, una gran quaglia, ex di Frink, che in qualche modo, grazie al libro che lega tutte le loro vite, entra di nuovo nella vicenda. E poi c’è l’autore del libro, che è una specie di Dick al contrario, ed è figura decisamente interessante. E c’è l’i-ching, altro filo di ragnatela che tesse le storie di tutti, o forse le prevede.
Si, capisco che a dirle così, le cose, sono difficili. E’ una trama difficile. Un film, forse per questo, non è stato sceneggiato. Ti usciva una cosa da tre ore o due parti, con budget incredibile (E che, non li vogliamo far vedere il Mediterraneo riempito di terra per farlo coltivabile, o i tedeschi su Marte, o il mancato quasi genocidio di tutto il continente africano?).
Insomma… è una roba da leggere. E io penso proprio sia un libro PEM. Adesso vado a vedere se è nella lista….no. C’è Ubik, però, ma questo e le pecore elettriche no. Mi toccherà leggere Ubik. Regalatemelo! Ma per adesso pausa ucronica, direi. Sto leggendo La chiave a stella.
Io dico che è basta.
Cose più tecniche, non so se azzardarmi. Dick ha quella scrittura magra e semplice che si adatta bene a una trama così complessa. Le descrizioni non si dilungano e lascia il passo al “do things” dei personaggi e ai loro pensieri, disegnandoli come sono le persone, ovvero con i chiaroscuri, i difetti. Segue l’antica strada del cambiamento. Fink passa dall’essere un delinquente regolare a tentare una via sana e autorealizzativa, mutando la propria natura, e rischiando ovviamente di finire nella merda (se rubi tanto, non ti succede niente, se rubi un sasso… muori). Childan sembra medio, camaleonticamente medio, per rivelarsi l’opportunista che poi è. Tagomi acquisisce spessore, via via che passano le pagine, mentre anche Baynes, il commerciante, si rivela per qualcosa di atteso, ma comunque inaspettato. Juliana è forse il personaggio più controverso, perché poi, pur entrando in sordina, quasi antipaticamente, si rivela essere decisiva.
E anche i personaggi minori. Il vecchio giapponese, il nazista burocrate, il camionista belloccio trombatore seriale, si rivelano essere altro. L’ultimo personaggio, il mondo, solleva domande. Una domanda soprattutto. Libri così farebbe bene a tante persone. Persone che non hanno una visione storica millenaria della storia umana e non si rendono conto da quale baratro sociale stavamo uscendo nella seconda metà del secolo scorso e in quale fogna galattica ci stiamo infilando, soprattutto grazie al loro non capire questa cosa. Ecco… gli farebbe bene, ma oramai temo che la media di questi cervelli non sia in grado di capire il libro, di seguire la trama, le stesse microvicende. Si limiterebbero a dire: Wow, che tette questa Juliana! o E vai così, dalli al negro, dalli all’ebreo!
E niente. Per tutti gli altri, soprattutto se scrivete/leggete/pensate storie che si staccano dalla realtà e che hanno l’ambizione di essere complesse, La svastica è un libro da leggere.