“Dimentica il mio nome” di Zerocalcare****
Breve. Breverrimo sarò.
Ho letto anche Dimentica il mio nome, e in realtà ho già letto anche Kobane. Ma questo mi è rimasto indietro e due righe le voglio dire.
Non solo quelle del non tutti sanno che.
Tipo non tutti sanno che è libro dell’anno 2014 per Fahrenheit, e che s’è pure piazzato al premio strega gggiuovani. Kissene, direi.
Mi piace dire altro.
Che mi è ripiaciuto di più per deformazione mia.
Perché è un libro del fantastico, e per chi scrive di fantastico, come facevo un tempo, beh, piace leggere le cose di fantastico, quelle dove si interseca col reale, che non sarà ma potrebbe essere.
Ecco.
Qua la storia è di quelle, e per la prima volta dai precedenti, pur rimandendo nell’estrema biografizzazione delle cose, la sceneggiatura va oltre e racconta una storia.
Si parte dalla nonna.
Le nonne muoiono e non è mai una bella cosa, e non si sa bene che fare, ma certe cose, tipo la casa vuota da rovistare per cercare cose che servono, ecco, bene, insomma… si devono fare, e la storia parte da lì. Perché è una nonna misteriosa, quella di Zero, e non solo perché è francese, che si sa, mica è una bella cosa, ma perché ci sono buchi, nella storia passata, che uno non si è mai chiesto niente. E Zero, con l’immancabile Secco, personaggio come al solito riuscitissimo, comincia a farsi domande, flashback, pensieri… si chiede cose. Finché salta fuori persino una volpe che parla.
Ecco… avete capito perché è fantastico.
All’inizio, dopo aver letto gli altri lavori, ci resti un po’ strano. Ti aspetti oramai uno Zerocalcare che ti racconta la vita (la sua) a modo suo facendoti accorgere che è anche la tua, oppure, se non lo è, è raccontata bene e ti piace. Qua il raccontare resta, ma c’è una storia, della suspense, i soliti personaggi che fanno le controfigure, e ci sono cose che Zero è bravo a nascondere al lettore, come nei libri belli, quelli che a un certo punto ti fanno fare “Oh” (no, scemotti, non intendo povianamente) e io l’ho fatto “Oh” un paio di volte. Ed è stato piacevole.
Insomma, la faccio corta e la finisco qua.
Gli Zero sono fumettoni grossi (qua siamo a copertona di cartona e formato grosso e molto variopinto) ma rispondono e ripagano. Potrei dire, e ne sono felice, che è un po’ come, con questo libro, quando hai esaurito lo slancio iniziale di cose che hai da raccontare e ti chiedi – ho altre storie da aggiungere? – e sì, la risposta è sì, ho storie buone, che possono fare ridere e pensare.
Poi certo… è un fumetto di formazione, eh, intendiamoci. Sul diventare grandi superando il piterpanesimo estremo, ma poi pur senza diventare grandi davvero. Restando deboli. Perché senza mamma tutti lo siamo, e lo siamo per sempre. E boh, basta così. Ho da fare la doccia, spaccare ancora un po’ di legna, e rivedere altre cose prima di mangiare uno degli ultimi pasti prima del tornare essere umano. E niente… dai. Questo è quanto, per oggi.
E siccome è da tanto che non vi lascio cose da sapere e condivido cose belle, oggi vi dico di guardarvi tutte le performance da Jimmy Fallon con le cose giocattolo e i roots.
Indiscreto Empatico
Ho concluso e condiviso la lettura proprio al termine del 2016 e, oltre a trovare molto piacevole il modo in cui ne hai parlato, mi rivedo nelle impressioni a pelle.
Tra poco passerò a Kobane Calling, assolutamente
gelostellato
oh sì, leggi leggilo Kobane che forse è anche più bello di questo, anche se è più fumetto-inchiesta, ma bellobello!
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