"Povera Barbi" di Chiara Rapaccini***

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"Povera Barbi" di Chiara Rapaccini***

Ieri al lavoro non ho letto uno di questi librettini, ma solo un capitolo.
Ce ne sono cinque. Altri due ieri sera, tipo dopo cena e doccia, poi un altro a notte, prima del sonno, poi l’ultimo adesso, cinque minuti fa, e ho deciso che posso anche liquidarlo qui, al volo, questo simpatico libretto.
Mi accorgo che c’è un lungo filone di scrittori famosi che scrivono storie narrative su personaggi.
Vi ricordo Baldini, letto poche settimane fa, che scriveva di Topolino.
E adesso questa Rapaccini, che scopro essere anche disegnatrice affermata, a scrivere di lei, Barbi, sì.
La bionda e magra e figherrima Barbie. E Kenn, naturalmente, con la sua v al posto della r. E la sorellina minore e pestifera di Barbi, Skifer, che immagino ma non so possa essere del tutto inventata.
Fatto sta che lo capisci subito che è Barbi, già dalla prime righe, ed è abbastanza esilarante quel mixare caratteristiche giocattolesche (non trovate un aggettivo bellissimo “giocattolesco”? Piace solo a me?) con una realtà da stereotipo e copertina patinata.
Sì, perché Barbi sta in California, a Beverly Hills, ovviamente, e indossa le sue collezioni, si veste e usa i suoi gadget e insomma… tutto quello che sa benissimo una bambina che ha la casa della Barbie con annessi e connessi. Certo… tutto fino a che la sorella minore, gelosa e insopportabile, ma con un caratterino non da ridere, non decide di combinarne una grossa a Kenn, che – ed è il pezzo forte del libretto – è affezionatissimo a un peluche da 1.5m che lui tratta come persona vera.
Insomma, la Povera Barbi viene mandata via e finisce sulla strada, e si vedrà come ne esce.
Che dire?
Che se si ha un minimo di immagine mentale di Barbi e del suo mondo, il libro è simpatico. Diciamo che gioca molto bene con quello che noi pensiamo rappresenti quel tipo di bambola e alla fine riesce anche a dare un messaggio sensato. Alla fine, la povera Barbi, tira fuori le unghie e vede di cavarsela da sola, e non è che sia una cosa pessima da comunicare, soprattutto se si mantiene l’ironia,
Ed è abbastanza ironico, sì, anche se un pochin prevedibile, quest’avventura.
Vediamo se riesco a strapparvi due risate con un pezzettino preso a caso.

Dal canto suo, Kenn faceva finta di nulla; cercava di non accorgersi dei gesti (ahimè) volgari che mia sorella faceva al suo apparire (che, sei già arrivato, sedanone?), delle smorfie di disgusto che mal celava, dei disegni appesi nella cameretta rosa che lo ritraevano, trafitti da centinaia di minuscole frecce.
– Quisquilie, sciocchezze, – mi rassicurava Kenn, – lasciala cvesceve e smetteva.
Per ingraziarsela, le permetteva persine di baloccarsi con l’orsacchiottone Bubù, un portafortuna dal quale non si separava mai, in nessuna occasione e per nessun motivo.
Bubù era un orso di peluche alto un metro e mezzo. L’aveva regalato a Kenn la vecchia tata Ambra quando aveva solo un anno e da allora non l’aveva mai lasciato. Gli dava sicurezza, come un amico fidato che non ti tradisce mai.
Bubù lo seguiva alle riunioni aziendali (ormai nessuno ci faceva più caso), ai cocktails (anche se a volte era imbarazzante ballare in tre), stava tra di noi a letto a dormire. Ormai l’avevo accettato anch’io come un’appendice di Kenn e gli volevo bene.
«Se ami Bubù ami me», era solito ripetere il fidanzato. «Se non ami Bubù non ami me, tesovo» concludeva con una sottile ma ferrea logica.

Insomma… Kenn è un simpaticone, inutile negarlo.

E per questo qua direi che è tutto. Me ne mancano ancora 5-6 che ho in mano, e poi sarà divertente vedere di reperirli 🙂
Intanto vado avanti a preparare la Santa Lucia, dopo averla studiata ho in cantiere di scriverci qualcosa, e sto facendo un bel disegno per la mother dove invece di una pacifica natività l’asinello e il bue mi sono usciti con lo sguardo satanico…e vabbè, questo è. 🙂
 Anzi, vi saluto con alcune illustrazioni prese dal sito dell’autrice.
Alla fine, questi libretti servono per parlare d’altro, e io qualche cosa bella ve la voglio sempre regalare. sfogliate questa gallery.

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