"Davì" di Barbara Garlaschelli**

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"Davì" di Barbara Garlaschelli**

Lo so… lo so… è un libro per ragazzi, alla fine, ma lo stesso, non mi è piaciuto granché, anche se di solito le cose che ho letto della Barbara Garlaschelli avevano tutte il loro perché.
Stavolta no.
Mi ha ricordato, questo Davì, per certi versi, un altro libro che aveva protagonista un borderline, un senza tetto, anche se di stampo diverso, e che anche quello non mi era piaciuto (Zorro, della Mazzantini).
Il difetto, alla fine, è lo stesso: una visione stereotipata e gnagnosa del vagabondo, dell’homeless, che è sempre mezzo poeta, pieno di libertà, con tutte le ragioni del mondo, mentre la società cattiva e becera è persa dietro i propri vacui ideali fatti di nulla. 
Alcune cose, per dire, mi hanno proprio sparato via dal libro.
Che ne so… Davì è un punk. Uno con la cresta di capelli verdi sparata che tutti guardano e giudicano.
Okay…
Ma Davide è anche povero, vive di elemosina e lavoretti.
E allora io mi chiedo, ma sai quanto durano i capelli verdi prima di stingersi e rovinarsi? E sai quanto costa ritingerseli brillantemente in quel modo? Ecco… e allora dove prende i soldi, Davì?
Ché a comprare gli spray si spende anche di più eh, e insomma… io mi chiedevo questo genere di cose.
Non so perché non riusciamo a uscire da questa visione nostra che abbiamo dell’homeless. Tipo, ecco, un’altra cosa. La puzza. Perché chi dorme per strada puzza, e puzza di suo, ma non ci fa più caso, o comunque, anche se ne ha coscienza, non valuta la cosa come la valutiamo noi, ma ha parametri del tutto diversi. Mentre Davì, per un appunto sull’odore sgradevole, si sente sprofondare dalla vergogna, la furia gli sale a ondate ecc… E anche lì, boh, non mi convincevano queste reazioni che sarebbero nostre, ma non di uno che vive per strada senza documenti e da anni, per quanto giovanissimo.
E così anche il fatto che uno, senza documenti, viaggi pacifico per l’Europa come gli gira… okay che era qualche anno fa, che è stato scritto questo libro, ma era ancora peggio, la cosa, perché c’erano le frontiere. Queste le cose che non mi convincevano, insomma. 
Poi certo… nessun ragazzetto adolescente ci farà caso, e guarderanno tutti alla dolcissima storia d’amore tra il topo da biblioteca Davì e Nicla, ragazzetta scappata di casa con la solita visione del mondo, anche qui molto classica…
Incontra Davì, che pensa questo genere di cose: “Non sopportavo la scuola. Non sopportavo l’idea di trascorrere ore e ore intrappolato dietro quel banco tra compagni di classe con il cervello nero come la lavagna che avevamo davanti. E pronti a lasciarci scrivere frasi di cui non capivamo il senso. I professori erano brave persone, ma anche loro avevano la stessa espressione di mia madre: arresa. […] Non c’era passione nelle loro parole.”
E certo, insomma, è una prima persona… sono i pensieri di Davì, ma si va per luoghi comuni. I professori son così, e in tutti gli intermezzi in terza persona, dove si racconta dei flash di qualcuno che vede il nostro crestone verdognolo, si va per luoghi comuni. Il manager sempre troppo preso dal lavoro, L’automobilista che odia i pedoni, il medico divorato dalla routine… e niente, tutti sfigati quelli della “società” mentre Davì è l’unico che ha capito il senso della vita. 🙂
A parte questo, però, è comunque un discreto racconto per far leggere gli adolescenti, anche perché è ben chiaro di cercare empatia con l’età degli adolescenti e ci si riesce, così come è encomiabile l’idea di far percepire agli adolescenti come la lettura sia compatibile con a) la libertà b) la fighezza c) l’autonomia di pensiero. Anzi… la lettura è la via, per queste cose, anche se magari lo fai da borderline. Poi, tra l’altro, storie come quelle di Davì, con bibliotecarie che danno una mano ai vagabondi in questo senso, ve ne sono tante e magari anche se non sono fiabesche come questa, con dentro la storia d’amore, ci vanno vicine.
Insomma, dai… se vi capita per le mani, come è capitato a me, questo racconto scritto a punti di vista alternati (prima persona interna e terza esterna) e piani temporali alternati (quasi tutta analessi uno, presa diretta con flash forward brevi il secondo) va apprezzato se non altro per la costruzione. 
E io ne ho parlato pure troppo, che subito faccio la rece più lunga del racconto.
Mettiamolo via va.

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