"In onore a Caino" di Francesca Raffaella Guerra**

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"In onore a Caino" di Francesca Raffaella Guerra**

Io lo so, questa è una recensione a rischio.
Temo che mi arrivi il solito amico dell’amico, e conoscente o interessato a darmi del livoroso, invidioso, colloso, moroso, e altre cose in (c)oso.
Però questo “In onore a Caino” di Francesca Raffaella Guerra è bruttino, ma bruttino di quel bruttino che alla fine, benché sia solo 133 pagine, io ero convinto che non ce l’avrei fatta ad arrivare alla fine, vuoi per le botte in testa che mi davo a ogni dieci righe, vuoi per le risate che mi prendevano, fra l’isterico e il simpatico.
Per carità, io non voglio buttare la croce a nessuno, soprattutto sputare in casa mia, visto che la casa editrice è di Castions (ci abita mia sorella) e il libro è stampato a Basaldella (ci passo ogni volta che vado a Udine) ed è ambientato a Cividale (ci vado con piacere ogni volta che posso, e son tutti posti che conosco) e l’autrice è giovane e inesperta e forse, quasi tutte le colpe sono dovute a una mancanza di un editing, perché la correzione bozze, no, quella c’è abbastanza, e a parte la copertina (che okay, sarà pure adatta, ma è una foto così così con un filtro buttato lì, e bella non è) la forma si salva.
Però, pace se il titolo fa già da spoiler al romanzo, e pace se dopo venti pagine, con un dialogo inverosimile quanto surreale, si capisce già tutto e poi è un trascinarsi di un finale annunciato. E pace anche se i dialoghi sono legnosi, irreali e gettano, a tratti, nell’umorismo involontario.
E pace anche alle molte incongruenze, che magari una lettura superficiale, di lettore da ombrellone, non biasima più di tanto, ma bioparco, se siamo in quasi estate, e fa caldo e tutti sudano non è mica normale che il protagonista accenda il “fogolâr”. E non è mica normale che uno che va via dall’Italia da bambino, vive a Barcellona per 25 anni, ha un cane, e arriva in Italia e improvvisamente al cane parla in… italiano! Ma perché? Così come parla come se li conoscesse perfettamente di persone che non vede né sente da 25 anni. E poi ancora cose tipo una riesumazione, una nuova autopsia, risultati compresi, tutto nel giro di 24 ore, e nel week end, per giunta, e senza mandati o richieste/indizi scritti, tutto sulla parola! E poi via, altre incongruenze legali, con persone che se ne “vanno” e si parla di eredità, e nessuno, dico nessuno, si fa vivo per dire che questa poveretta è sì scappata dal letto coniugale, ma nessuno sa più di lei! Sola al mondo? Genitori, fratelli, cugini… tutti se ne fregano? Che poi, anche se se ne va carica di soldi, anzi, a maggior ragione per quello, non è plausibile che si faccia finta di nulla.
Per non parlare poi del protagonista che chiama il suo cane Caligola e poi lo vezzeggia continuamente chiamandolo “Cal”… Cal di qua, Cal di là… brrr, brividi ogni volta.
Ma soprassediamo. Sono disattenzioni che un editor avrebbe beccato subito, queste e molte altre, ma alla fine la struttura del romanzo poteva essere facilmente cambiata per risolverle. Non sono determinanti.
E soprassediamo che praticamente un termine straniero su due è scritto sbagliato “decolltè” invece di “décolleté”, o “pelouche” al posto di peluche e gli ok, al posto degli okay, e i trattini a fine di ogni dialogo, che non ci vanno, o gli apostrofi, tutti errati, ma quello è un baco di word, e pace, se non lo sai, non lo eviti, oppure le ore, messe tutte tipo 7.00, 19.00, che pare che a parlare siano degli automi, ecc..
Poi che dire, la storia è la solita, ovvero l’investigatore che si trova senza volerlo immerso in un mistero, investigatore bravissimo che ha già arrestato i serial killer cattivi, con una vita travagliata, una storia alle spalle, una che ovviamente arriverà, e…
…ecco, la trama la potete immaginare,
fin qui, alla fine, son tutte quisquiglie. Posso indulgere. Ma ci sono almeno due o tre cose che proprio ho sopportato male.
La didascalicità, la dettagliatezza inutile dei movimenti… cioè, voglio dire, se mi dici che Manuèl ha preso il barattolo del caffè dalla credenza, non serve che mi dici che gli si è avvicinato, che ha aperto le ante, ecc,,, voglio dire… mica pensavo che sfondasse la credenza con una testata o smaterializzasse l’oggetto per rimaterializzarlo al di qua?! E vi assicuro che per tutta la prima parte, non succede praticamente niente (20 pagine per presentare un investigatore, mi sembrano onestamente troppe, soprattutto pensando che alla fine si ricade per buona parte in uno stereotipo). Lo so, lo so… non mi capite, ma a leggerlo alla mia donna ci siamo divertiti un sacco, perché in effetti, dopo un po’, capisci che è solo inesperienza narrativa e ci fai due risate.
Vi riporto un esempio, magari quello della credenza… che così potete scoprire che è tutto okay e sono io eccessivamente pignolo, as usual.
Ecco qua, trovato, mezza paginetta iniziale, che un po’ vi riassume anche il registro e lo stile del romanzo:

Si alzò e si diresse verso la dispensa, poi aprì gli sportelli e, da un ripiano, afferrò un voluminoso involto dalla carta dorata.
I   grossi  quadrati  di  cioccolato   scuro,   extra  fondente,  affascinavano  la   vista   del  giovane   uomo   quasi   quanto   ne soddisfacevano il palato. Ne mangiò tre con estremo trasporto e subito si sentì rinvigorire, come succedeva ogni volta che si portava   alla   bocca   quel   diabolico   impasto.   Ricorreva   al cioccolato per allentare le proprie tensioni o per darsi una spinta quando doveva affrontare qualche situazione particolarmente delicata.
Un frenetico rumoreggiare attrasse la sua attenzione: erano dei passerotti, che si rincorrevano tra un intrico e l’altro della pianta di gelsomino, per poi tuffarsi nella fontana in sasso che Manuèl aveva costruito, pezzo dopo pezzo, con le sue stesse mani.
Caligola, il suo carlino di due anni, stava seduto sul divano, in paziente attesa di incontrare lo sguardo del suo amico. Trascorsi un paio di minuti, la bestiola scese dal suo giaciglio preferito e gli si avvicinò: voleva a ogni costo la sua dose mattutina di carezze.
Quando gli si sedeva accanto, ritto come un soldatino e con la sua espressione seriosa, gli ricordava i suoi collaboratori, pronti a scattare a un suo ordine.
II piccolo molossoide pareva sempre sul punto di parlargli, ma non era necessario lo facesse: dai suoi occhi, Manuèl sapeva cogliere ciò che l’amico gli avrebbe voluto dire. Il loro intenso rapporto,    quasi   simbiotico,    faceva   sì   che    entrambi   si intendessero a meraviglia.

Poi… e forse chiudo, non so, come la vera cosa irritante è stata quella del friulano.
Okay, ci lavoro. Okay, l’ho studiato. Ma bioparco di un bioparco, era tanto difficile fare una ricerchina su google e scrivere in friulano corretto? Almeno il menù del ristorante! Ché veder scritto cialcions è una cosa che fa rabbrividire. Perché ortomio, abbiamo una grammatica, una fonetica, un dizionario… abbiamo la bibbia, la divina commedia, le fiabe, i sonetti, i classici, vichipedie, openoffice, firefox, la app per gli smartphone abbiamo una lingua, e questa lingua ha un suono bandiera, anzi due, le palatali cj e gj, e cjarsons sono una delle bandiere della cucina carnica e tu, bioparco, sputtani una lingua così? Ma una ricerchina su google? magari copiare il menù del locale, no? Faceva schifo? E mi si dirà… ma è il menù del posto, che ha sbagliato. Okay, vero, ma molti, da queste parti, sbagliano, ma un libro è un’altra cosa! non è un menù da osteria! Cultura, dovrebbe essere…
Che poi questa è poco, la peggiore viene dopo poco, ovvero in questo estratto, dove il vecchietto Mario entra in scena:

Vedrai, sarà un momento piacevole. Alcune cose si trovano sui libri, ma è la dovizia di particolari, di curiosità tramandate da padre in figlio che non si legge da nessuna parte.-
-Interessante, quindi lui riporta la storia dei soldati, non quella dei generali.
-Vedo che hai capito.-
-Ooh! Eccomi qua.- sospirò soddisfatto, mentre si sedeva in mezzo a loro con il suo bicchiere colmo di buon vino rosso.
-Dončhe, cui esal el ğovin?- chiese Mario in lingua Friulana.
-E mio nipote, viene dalla Spagna.- puntualizzò Luciano per indurre il narratore a parlare in italiano.
-Dalla Spagna? Ma allora bisogna partire da lontano con i racconti. Luciano, cosa ne pensi della leggenda del Ponte del Diavolo?-
-Ponte Del Diavolo!?- esclamò meravigliato Manuèl, che aggrottò la fronte guardando perplesso lo zio. Luciano toccò il braccio del nipote:
-Sentirai sentirai.-
-Forza Mario: credo sia la storia più adatta per cominciare a far conoscere il territorio a Manuèl.- incitò l’anziano uomo.
-Bene; tanti secoli fa, gli abitanti di Cividale…

E poi giù con la leggenda del Ponte del Diavolo, in corsivo, che poi non è nemmeno originale, essendo una decina, i ponti del diavolo, in italia, con la stessa identica leggenda… Ma è quella grafia là, che non abbiamo più da oltre ventanni, bioparco. Da. Oltre. Ventanni.
E con la fatica bestia che si fa a scolarizzare ed educare e insegnare la nostra lingua, uno sforzo per conoscerla e sapere come si scrivono le cose si poteva pure fare, soprattutto se cerchi di diffonderla. 
Insomma, basta, è meglio che non ci penso a questa cosa, solo che, con tutta la mia indulgenza mi riesce difficile non pensare che si sia stati un po’ superficiali, nel legare alla terra friulana un racconto lungo che di friulano ha ben poco… potrebbe essere ambientato più o meno ovunque, visto che nulla dell’ambientazione ha rilevanza sulla trama…. Vabbè.
Mi metto l’anima in pace e spezzo una lancia a favore dell’autrice, anzi due.

E’ giovanissima, e i 12 libri che seguono questo, credo sempre con lo stesso protagonista ispettore-scrittore famoso (ah sì, dimenticavo di dirmi che Manuèl, come nel 95% dei libri di esordienti, è uno scrittore) sono sicuramente migliori, quindi bisogna lasciare il beneficio di opera prima, e quindi imperfetta.
Seconda lancia, (una gamma berlina del 1981, 2400 benzina, se vi serve contattatemi), dicevo secondo lancia spezzata, è che se poi riesci a fare pubblicare una serie, allora vuol dire che si incontra il gusto del pubblico, e la scelta delle ambientazioni friulane è – marketing speaking – azzeccata.

E’ tutto.
Anche troppo.
Al prossimo…. no, okay, forse.
E buona giornata a tutti! Siate buoni e vogliatevi bene.

Comments

  • 9 Luglio 2013

    Uno dei diritti del lettore, secondo Pennac, è quello di non finire il libro che sta leggendo.

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    • 9 Luglio 2013

      ma, diciamo che ci arrivavo anche senza Pennac. 😉 ma un libro breve, che magari poi riserva un colpo di scena finale, si può anche finire dai. E poi non riuscivo a prendere sonno 😀

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    • 12 Luglio 2013

      Chiunque ci sarebbe arrivato anche senza Pennac. Epperò, pensandoci poi, è brutto lasciare un libro a metà. Se poi non riuscivi a prendere sonno, magari ti è pure stato utile.

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  • Anonimo
    12 Dicembre 2013

    Non hai capito niente del libro In onore di Caino

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    • 12 Dicembre 2013

      la grammatica la sintassi le ripetizioni e la scrittura didascalica non sono da capire, però per il resto può essere che hai ragione, ovvio. 😀

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    • 12 Dicembre 2013

      e jo speri che no tu sedis furlan parcè che se no tu sês dôs voltis cocâl, une par che tu dispreseis la tô tiere, dôs par che tu ti platis daûr dal no pandi il non. 🙂

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