Andiamo (breve racconto weird)

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Andiamo (breve racconto weird)

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“Andiamo” – Colori a cera su carta

«Andiamo!» dice Angelo avviandosi, scalzo come sempre, in direzione delle paludi, verso Torsa.
La Luna ha regalato al buio solo un sorriso, nascosto a tratti dalle nuvole grigie, gonfie di pioggia, che scendono dalle montagne lontane.
Tullio fatica a stargli dietro. Non lo sorprende sia per molti il pescatore più abile di Talmassons e lui non è certo il primo ad aver bussato alla sua porta, all’imbrunire, per chiedergli d’essere accompagnato a pesca, e riuscire a prendere una trota, un cavedano o qualche gobione soltanto, così preziosi in quei tempi di miseria.
Ma di accompagnare lui non aveva voglia, quella sera, lo aveva capito subito.
Angelo non dimenticava, e tra loro era ancora in ballo un litigio per un confine, a causa di un sasso spostato e di un filare di mais in più o in meno, rubato da uno all’altro.
«Non so», gli aveva risposto, in piedi sull’uscio, osservando la piazza come se ne fosse il padrone. E non so, detto da lui, significava no.

Così Tullio aveva deciso di dirgli la verità, nonostante gli pesasse.
In tutto il giorno, ai suoi figli – e ne aveva ben tre – non era riuscito a dare altro che un uovo, mescolato a qualche erba di campo commestibile e bollita. Se non avesse trovato qualcosa da mangiare, l’indomani sarebbe stato costretto ad ammazzare una gallina.
Angelo allora lo aveva lasciato ad aspettare, mentre lui andava in fondo all’orto, per guardare l’acqua del rigagnolo e capire se era una notte in cui valeva la pena gettare le reti o meno. Dopo mezzora, che Tullio trascorse appeso a una cicca, la porta si era aperta e Angelo aveva detto , di farsi trovare di lì a poco con la fiocina e perché no, un secchio, perché c’era aria di temporale e se erano fortunati potevano catturare un’anguilla.
«Andiamo!» dice Tullio, prima di imboccare la Napoleonica.
Da Talmassons a Palmanova ci sono un bel po’ di chilometri e non c’è tempo da perdere, se vogliono scoprire ciò che conservano nel secchio.
«Sei sicuro che dobbiamo andare fino a Palmanova?»
Tullio solleva il braccio e una luce splendente gli percorre il viso. Ad Angelo ricorda i volti al giorno dell’Epifania, davanti al falò, deformate dal fuoco.
«Hai sentito quel che hanno detto quelli del paese, là dovrebbero saperci dire qualcosa di più».
Così partono in fretta, a piedi, uno dietro l’altro, in piena notte.
Per illuminare la strada mettono avanti il secchio, portandolo a turno.
«Andiamo per di qua, e cerca di non fare troppo rumore», bisbiglia Angelo.
Sembra conoscere ogni arbusto, ogni ciuffo d’erba, fuori e dentro il ruscello. Scavalca le rive quasi avesse vent’anni, portando la rete sulla schiena e prestando attenzione a non calpestare qualche biscia.
Si ferma una volta sola, dentro un rigagnolo, e con un gesto rapido cava dall’acqua due rane, una dopo l’altra. Si ode chiaramente il croc delle zampe che si spezzano, poi chiede a Tullio di porgergli il secchio.
«Buttale dentro!» gli intima, «Stanno bene anche queste. Alla peggio, domani mattina, le cucini ai tuoi figli per colazione».
Tullio non apre bocca, anche perché l’altro si è già dileguato, verso la Roggia Bianca.
«Stiamo andando nel Torsa?» chiede boccheggiante, dopo un po’ di tempo speso a costeggiare il canale, senza alcuna pausa.
«No, ci fermiamo prima».
«Ma prima non c’è niente! Ci sono stato anche oggi, con la canna di bambù…»
Ma Angelo non gli rivolge nemmeno la parola, attraversa i rovi fino ad arrivare a un’ansa del fiumiciattolo, che forse solo lui conosce.
«Buttiamo le reti qui, non si vede,  ma c’è un fondale».
«Va bene», risponde Tullio, che comincia a capire di aver concluso un ottimo affare, poi, distratto, osserva il fiume verso valle e il suo borbottare al buio. Non c’è più Luna, oramai celata del tutto, eppure si coglie un riflesso. Sembrerebbe una luce provenire da… sott’acqua!  
«Andiamo per di qua, dobbiamo sostituire l’acqua».
I due riposano all’altezza di Fauglis, approfittandone per bere e cercando di scuotere il secchio il meno possibile.
Una volta in più ne osservano il contenuto e non possono trattenersi dallo spalancare gli occhi.
L’azzurro sta sbiadendo ed è da un po’ che non odono più lo sciabordio, mentre camminano. I colori sono però ancora meravigliosi e mai visti prima. E tutti i minuscoli puntini, sparpagliati ovunque, continuano a brillare, anche se meno intensamente.
Angelo e Tullio si guardano in viso e senza dirsi nulla ripartono.
Sta morendo.
«Vieni via da lì, Angelo! Non è cosa di dio, questa…»
Ma l’altro pare non averlo sentito. Si avvicinano alla luce – gialla, con una sfumatura verdognola – che proviene da sott’acqua, vicino alla riva opposta.
Angelo vuole andare a vedere, non c’è modo di dissuaderlo.
Scende in acqua e lento guada il canale. La luce è vicino all’argine, nell’acqua poco profonda, e sembra muoversi, andare persino controcorrente, per poi indietreggiare di qualche metro. Tullio grida sottovoce di andarsene, di mollare tutto, ché un fuoco sott’acqua non può che essere opera del demonio. Ma Angelo è testardo, e foss’anche stato il diavolo, lui lo vuole toccare.
Quando l’ombra dell’uomo copre la luce, Tullio rimane al buio più completo.
Si sente solo uno scrosciare d’acqua e qualche bestemmia, prima del silenzio.
«Angelo! Angelo! Che succede? Tutto a posto?» Tullio stavolta grida, ma è lì lì per voltare i tacchi e scappare.
«Tirami il secchio!»
«Che cos’è? Che succede?» gli chiede Tullio, spaventato, strizzando gli occhi per poter bucare il buio..
«Eccotelo! Lo getto più avanti, ma piuttosto mi dici se è tutto okay?»
Ma il tormento nella sua voce si trasforma ben presto in meraviglia, quando Angelo si gira con qualcosa in mano, e Tullio, da lontano, vede la luce limpida, brillante, illuminare a giorno il viso di dell’amico.
«È un pesce!» gli dice l’altro, senza aggiungere altro.
«Andiamocene», dice Tullio.
Il pesce è nelle mani di Angelo, che lo solleva come fosse una reliquia.
La bocca larga, piena di denti finissimi, ora non si apre più e le strisce azzurre e gialle e verdastre, che vanno dalle branchie alla coda, si sono fatte più scure, perdendo la lucentezza. Dà ancora qualche colpo di coda, debolissimo, ma oramai è quasi morto e la luce che gli ha illuminato la strada, lungo l’intera notte, e rimasta solo un ricordo.
Lo scienziato, o biologo, come gli ha detto di chiamarsi, li guarda come fossero due idioti.
«Non esistono pesci d’acqua dolce che presentano il fenomeno della bioluminescenza».
Angelo e Tullio non capiscono molto, ma abbastanza per realizzare che gli sta dando dei bugiardi.
L’uomo, da dentro il suo camice bianco, insiste perché gli lascino il pesce, per studiarlo e capire di che specie si tratti. Sostiene che forse è una specie antichissima, che dovrebbe essere estinta. E secondo lui, per di più, somiglia a un pesce marino, diffuso anche nel Mediterraneo, ai tempi di Nerone. Sarebbe già un fatto più unico che raro, se una creatura di quel genere esistesse ancora, ma che questa faccia luce fino a illuminare la strada… impossibile!
«Sì, andiamocene», ripete Angelo, dando le spalle al biologo.
«Andiamo a dormire, è meglio», dice Angelo.
Sono giunti in paese all’alba e si sono fermati.
«E con il pesce, che ci facciamo?» chiede Tullio, che non ha ancora avuto il coraggio di toccarlo.
Angelo ci pensa per qualche istante, osserva l’animale riempire, attorcigliata, metà del secchio. Peserà un chilo e mezzo, forse due.
«Facciamo così,» dice, «oggi vieni a cena a casa mia, e porti anche moglie e figli».
Tullio non fa in tempo a protestare: Angelo se n’è già andato, dandogli le spalle senza restituirgli il secchio. Fa qualche passo, poi si gira. «Chissà, magari ci riesce di sistemare quella questione del confine», aggiunge.
Da tanto volevo mettere in forma narrativa le storie su mio bisnonno Angelo. Due in particolare mi hanno sempre affascinato. Questa è la prima. In breve, la storia è più o meno come nel racconto. Catturarono un pesce stranissimo, luminoso, di notte, durante una battuta di pesca, e decisero di andare a Palmanova, saranno un 15km, a piedi, con il pesce nel secchio. E il pesce illuminava la strada, ma via via andava spegnendosi. Verità? Una bugia? Chi lo sa. Ho indagato ma pare che sia difficile che esistano pesci luminosi d’acqua dolce. Però ce ne sono alcuni su cui cresce un batterio che assorbe la luce e poi la diffonde, non da queste parti, però…. Onestamente, non è importante. Si sa che è successo… mio bisnonno, per capirci, era uno che non ha mai indossato un paio di scarpe e andava ovunque scalzo. A pesca, a caccia, a messa… ovunque. Il racconto non ha una gran scrittura, perché è nato prima in friulano, e la verità è sempre nelle madri, comprese le lingue.
In ogni caso sono altri tempi, altre storie… che forse hanno bisogno di non essere dimenticate. Questa, ora, è salva.

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